Chissà che succederà in quel di Arcore? In fondo il Cav. e il super ministro sono da sempre una strana coppia
Il carattere unico di Tremonti alla prova della doppiezza politica
Chissà che succederà, chissà se l'amato Giulio cadrà o no, in quel di Arcore. Chissà se l'amato Giulio e l'amato Silvio ricuciono questo che forse non è ancora uno strappo, di certo è un buco in un calzino e a volte, come dicono al nord, è peggio el tacon ch'el buso. Forse alla fine anche lui, Tremonti, dirà che ne ha abbastanza di stare a lì, a decidere se abbozzare o no
Chissà che succederà, chissà se l'amato Giulio cadrà o no, in quel di Arcore. Chissà se l'amato Giulio e l'amato Silvio ricuciono questo che forse non è ancora uno strappo, di certo è un buco in un calzino e a volte, come dicono al nord, è peggio el tacon ch'el buso. Forse alla fine anche lui, Tremonti, dirà che ne ha abbastanza di stare a lì, a decidere se abbozzare o no. S'è rotto di ripetere la stessa lezione, con il tono di voce che si fa sempre più spazientito, come di fronte ad alunni un po' allocchi. E forse non gli va più di stare a sentire quel presidente che gli ha fatto passare sopra la testa Irap e Ire che per quanto le scaglioni nel tempo peseranno un bel po' di miliardi, non il massimo quando il debito pubblico sembra un aereo a decollo verticale. I due hanno sempre formato una strana coppia. Perché il Cav. è anzitutto uno straordinario animale politico, un capo che fiuta l'umore del suo popolo e decide di conseguenza. Tremonti non riesce a passarla la linea rossa. Non che non sappia valutare quanto valga il consenso.
E' che non gli verrebbe mai di peccare di duplicità, di fare qualcosa di contrario alle sue convinzioni per comperare consenso. Anche Tremonti vuole vincere le regionali, il Cav. invece vuole stravincerle, spazzare via gli avversari, lasciarli in mutande. Se una cosa si è capito della visione che Tremonti ha di sé e del suo mondo è che non distruggerebbe mai quello che fatto, se non altro per non privarsi della possibilità di usare belle formule assassine contro i suoi simili che poi a suo dire tanto simili non sono mai, vuoi per lo scarto delle buone letture, vuoi per il senso della ripartita fulminante. Può il Tremonti d'ottobre contraddire quello di settembre, di questo anno e del precedente, lo stesso che ha fatto la riforma più importante della storia di una repubblica e mezzo, due: finanziaria blindata a mo' di cappio che ha cancellato il rito dell'assalto alla diligenza, interrotto l'assalto del particolare, allineando l'Italia a democrazie consolidate dove un bilancio è un bilancio, una decisione una decisione? E' da allora che lo azzannano da ogni parte. Draghi e Bankitalia, le banche che snobbano i suoi bond perché non vogliono che frughi in casa loro, e Confindustria che non perde occasione di tendere mano e cappello. Ora pure Scajola che s'è fissato col nucleare, Fitto e Prestigiacomo che hanno preso di mira la banchetta pubblica nel sud, e Alemanno che aspetta soldi per tornare a esistere.
Fino a quando sono stati attacchi così, ringhi di frustrazione più che manifestazioni di ostilità, il gran Giulio ha retto. Per placare il suo ego offeso ha potuto contare sulle buone letture, sui dibattiti sofisticati in cui scavalca D'Alema a sinistra, sull'Aspen, sul piacere di dare mazzate agli economisti che non hanno visto arrivare la tempesta e si permettono di trattarlo da non economista, lui che ha mangiato Ricardo e Rathenau e loro che magari solo marketing e frattaglie. Si è tenuto su con le sortite da folamour oltre la linea del buon senso, sui tuffi all'indietro nella storia che fanno di lui se non un luddista quanto meno un esemplare raro di reazionario moderno, capace di inventarsi che una sbarra di ferro avrebbe più valore morale di un prodotto derivato, che il posto fisso è un valore perché ci si costruisce su la famiglia, come in quel bel bianco e nero di Olmi degli anni 50, e vai a spiegare a quelli del social network che nascere vivere lavorare sposarsi e morire a Fermo sia un valore. Ma è fatto così Tremonti e dobbiamo tenercelo così con le ubbie, gli sbalzi d'umore, le folgoranti intuizioni, la droiture. Ed è per questo che forse verrebbe pure voglia di difenderlo: un uomo di cui così tanti parlano male deve aver qualcosa di buono. A condizione che abbia l'intelligenza di fare un passo indietro piccolo, di capire che finora ogni volta che il governo annuncia una misura, in filigrana l'Italia vede lui che da guardiano dei conti fa capire che in cassa non c'è un euro, che la scuola dovrà aspettare, le infrastrutture dovranno aspettare. Quanto meno che il debito si stabilizzi e la ripresa si rafforzi. Non è certo a uno come lei che va ricordato che spesso quello che costa di più è proprio aspettare.
Il Foglio sportivo - in corpore sano