La cometa è passata, i riflessi e i bagliori sono pulviscolo di stella morta.
Lillita cresce dalla parte povera del Sunset, non molto lontano dalle Woodland Hills dove Samanta Gailey avrebbe abitato anni dopo con madre e sorella. Hanno respirato la stessa polvere, guardato le stesse stelle solo che Lillita ha sette anni quando incontra il grande Charles Spencer.
Lillita cresce dalla parte povera del Sunset, non molto lontano dalle Woodland Hills dove Samanta Gailey avrebbe abitato anni dopo con madre e sorella. Hanno respirato la stessa polvere, guardato le stesse stelle solo che Lillita ha sette anni quando incontra il grande Charles Spencer. Sette piccoli anni e un vestitino, secondo le cronache, da quattro soldi: eppure sa già tutto di quell'uomo ricco e famoso che frequenta abitualmente la sala da tè dove sua madre lavora come cameriera. Allora si mette a fissarlo, ammicca, ancheggia, fa smorfiette. Lui è colpito dalla sua impertinenza, dalla grazia nella provocazione, la invita a sedersi, le offre torta al cioccolato che la madre, complice in estasi, porta immediatamente in tavola. Cominciano a frequentarsi, lui le schiude il suo favoloso mondo, la porta sul set, la fa recitare in un paio dei suoi film, piccole parti. Dodici anni, poi tredici.
A quattordici anni Lillita sboccia, sembra matura per essera una diva, ma sotto le lampade ad arco il suo fascino non attecchisce. Un giorno all'ennesimo ciak di una ripresa della Febbre dell'oro, cade a terra e tenendosi la pancia si contorce per il dolore. La verità esplode, è il grande scandalo dell'anno. Il 24 novembre 1924 vengono celebrate le nozze forzate e riparatrici. Lui, lo sposo, è Charles Spencer Chaplin, Charlot: la sera della cerimonia viene sentito dire agli amici “beh ragazzi è meglio del penintenziario ma non durerà”: di lì a poco tornerà a volare libero come un falco predatore. Lei, la sposa, è Lillita Mc Murray in arte Lita Grey: si rivelerà prolifica, gli darà anche un altro figlio maschio, ma molto venale e niente affatto nata per diventare una stella. Anche di lei, come dell'altra prima sposa bambina, Chaplin diceva che per quel che era dell'intelletto non fosse proprio un peso massimo.
Eppure la figlia minuta e un po' volgare di una messicana e di un americano di origine irlandese si comporta, vive la realtà come il personaggio letterario che Nabokov creerà ben trentacinque anni dopo. Le va stretta anche l'immortale definizione che del bambino dette Sigmund Freud: Lillita non è il polimorfo perverso dalla sessualità indistinta, non esprime la sua carica seduttiva in una lingua incompresa dall'adulto che di solito risponde con la sua propria lingua, spingendosi inesorabilemente lungo la strada dell'interdetto. A soli sette anni, in virtù probabilmente dell'ispirata e meticolosa educazione materna, è già un concentrato esplosivo di erotismo e di determinazione nell'imporre la sua volontà, il suo capriccio: il suo gioco è chiaro, ma con tutta la chiarezza equivoca, l'essenzialità, l'agio della donna esperta seduttrice. Non ha paura del Lupo cattivo, è lei che lo cerca per mettergli il guinzaglio sapendo anche che sarà per poco tempo. Di colpo cancella il pensiero dominante e ogni sorta di cliché sull'infanzia, inverando crudamente lo sfogo lucido, sanguinolento di Giorgio Manganelli, “dei bambini tutto si può dire meno che siano innocenti”.
Proprio su creature disponibili a perdere precocemente l'innocenza, a concedersi come vitalità manipolabile e a sua volta manipolatrice è stata costruita e ha prosperato Hollywood. L'idea della comunità degli eletti che nell'unità di luogo attraverso il contatto quotidiano, la prossimità confondente anche dei corpi, fa opera di formazione e trasmette conoscenza, competenze e cultura è centrale nel funzionamento della sola fabbrica mitologica dell'era moderna. Lo è fin dal suo primo giorno di vita, da quando le lettere cubitali sul Mount Lee erano ben tredici e un dio capriccioso, David W. Griffith, faceva costruire un'orrenda, immensa Babilonia di cartapesta, battendo i piedi per ottenere otto giganteschi elefanti bianchi di gesso issati su piedistalli, migliaia di comparse, e tante tante ninfette, sua ossessione sullo schermo e nella vita, tante fanciulle in fiore come le sorelle Gish, Lillian e Dorothy, amanti tra loro oltre che sue amanti, un brulichio di corpi che fanno da contrappeso a Giuditta di Betulia.
Non ci sarebbero stati né divi né dive senza la capacità di attrarre, selezionare e cogliere giovani disponibilità, sottraendole alla famiglia per ricostruirle da zero, plasmarle e formarle, educandole con il rigore, l'esempio, la disciplina, la fatica, l'attenzione e certamente anche la ferocia. Una stella che dubita si spegne, allora occorreva veramente tanta forza, saper prendere per mano e sorreggere, evitando la caduta prima di lasciare un'impronta nella mente di generazioni di esseri umani. Il rito, il cerimoniale, la stessa natura perversa del rapporto maestro-discepolo non si discostavano molto da quanto avveniva nei simposi, nei ginnasi dove è fiorita la cultura greca o nelle piazze e nelle grandi botteghe artigiane del rinascimento. Con una qualità in più. Come ogni mercante di sogni, Hollywood ha di sé consapevolezza senza illusione sulla natura umana: sa che dietro lo schermo che brilla c'è il lato oscuro, che la luce si nutre di perversioni, di bassezze sordide, di ricatti, di stupri, di farabutti, di seconal, oppio e cocaina.
La sua grandezza insuperata sta proprio nel difendere, proteggere le proprie creature: i boss degli studios avrebbero corrotto, minacciato, ricattato, cancellato e falsificato prove, pur di impedire che i tanti Polanski dell'epoca, registi, attori, finissero in giudizio per lo stupro di un'attricetta minorenne. In nome del dollaro certo. Ma quale altro consorzio o gruppo umano ha mai saputo accettare e coltivare al proprio interno uomini in slip di seta e merletti, donne con pantaloni, ninfe e satiri, vendendone l'immagine esattamente capovolta? A chi verrebbe mai in mente di girare la scena in cui Dick Powell incontra alle due di notte sul marciapiede del Boulevard la vincitrice di un concorso di bellezza finita nel tritacarne e si mette a cantare “cammino lungo la strada del dolore, il viale dei sogni infranti, dove Gigolo e Gigolette possono darsi un bacio, senza rimpianti, per dimenticare i loro sogni infranti” salvo poi buttare tutto al macero perché Jack Warner la trova “troppo deprimente”?
Senza questa doppia natura, non ci sarebbe mai stata “l'epoca dei dubbi splendori”. E Hollywood non sarebbe mai stata Hollywood ma Disneyland.
Roman Polanski è uno dei tanti figli europei di questo mondo. Samantha Gailey è una delle tante ragazzine accampate nei dintorni che inseguono il successo. La villa del misfatto è di proprietà di Jack Nicholson e sta al 12850 di Mulholland Drive, che si inerpica su in collina ed è il feticcio di David Lynch. E' il 1977, tutto sembra uguale, in realtà tutto è diverso. Perché non ci sono più i vecchi tycoon che mai avrebbero consentito a un libidinoso procuratore di fare domande del genere “aveva rimesso le mutandine, cosa faceva quando lui le ha messo la bocca sulla vagina, quanto a lungo ha tenuto il pene nella sua vagina, che cosa intende quando dice che le è entrato nell'ano, ha visto o sentito dello sperma”?
Privi di protezione, spossessati dell'aura del sistema delle stelle, Roman Polanski è un pover'uomo nudo che ha capito soltanto di avere interesse ad ammettere le sue colpe, Samantha Gailey è una squinzia che dice yeah, ah ah e che immaginiamo masticare chewing gum mentre snocciola, monotona, quanto accaduto. Se Lillita è la bambina quasi donna, Samantha è la quasi donna retrocessa a bambina, in nome dell'infantilizzazione crescente della specie.
Tutte le ambiguità, la perversione che il vecchio mondo sapeva restituire a un rapporto del genere vengono cancellate di colpo da due mali molto più perniciosi della nostra epoca, la legge eguale per tutti e il senso morale della media nazione.
Il regista polacco, che sullo schermo ha dimostrato di saper guardare nell'abisso, non si accorge che la cometa è passata, che i riflessi, i bagliori sono pulviscolo di stella morta. Eppure, dettaglio beffardo e crudele, la prova ultima della scomparsa di Hollywood si svolge proprio a casa Polanski, quando Sharon Tate, sua moglie, viene massacrata da uno stolido animale della setta di Charles Manson. La realtà di ogni giorno, banale, terribilmente banale, entra nel tempio e lo profana, definitivamente, sottraendo alla stessa morte i grumi di mistero che hanno alimentato le leggende passate.
Da allora io, noi, tutta la specie umana direi, abbiamo un vuoto dentro. Non c'è più nulla che somigli sia pure vagamente a una macchina che sappia fabbricare laicamente e umanamente i sogni, che sia potente quanto un'utopia, quanto una rivoluzione, che trasmetta quello che la scuola, la famiglia non sembrano più in grado di dare. Che senza vergogna spinga la fanciulla verso le braccia dell'uomo adulto anziché nella fauci di un deprimente reality show.
Il Foglio sportivo - in corpore sano