L'amore che non osa pronunciare il proprio nome, la pederastia a carissimo prezzo di Oscar Wilde

Maurizio Stefanini

L'Amore, che non osa dire il proprio nome' in questo secolo, è un grande affetto di un uomo più anziano per un altro più giovane, quale vi fu fra Davide e Gionata, quale Platone mise alla stessa base della sua filosofia, e quale si trova nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare.

    L'Amore, che non osa dire il proprio nome' in questo secolo, è un grande affetto di un uomo più anziano per un altro più giovane, quale vi fu fra Davide e Gionata, quale Platone mise alla stessa base della sua filosofia, e quale si trova nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare – quell'affetto profondo, spirituale, che non è meno puro di quanto sia perfetto, e che detta grandi opere d'arte come quelle di Shakespeare e Michelangelo, e queste mie due lettere, così come sono, e che in questo secolo viene frainteso – talmente frainteso che per esso mi trovo dove sono adesso. E' bello, è elevato, è la più nobile forma di affetto. E' intellettuale, e si dà ripetutamente fra un uomo più anziano e uno più giovane quando l'uomo più anziano possiede intelletto e quello più giovane ha tutta la gioia, la speranza e il fascino della vita. Che così sia, il mondo non lo capisce. Se ne fa beffe, e a volte mette qualcuno alla vergogna per questo”.

    Fu lo stesso Oscar Wilde a confessare a André Gide
    che il suo “grande dramma” era stato di aver messo “nella sua vita il suo genio e nelle sue opere solo il suo talento”. Caso probabilmente unico, in molte delle sue antologie, compreso il Meridiano della Mondadori in italiano, accanto a prose e poesie c'è anche un'intera sezione dedicata non ai suoi scritti, ma a ciò che disse nel famoso processo per omosessualità in cui fu condannato a due anni di carcere duro, come risulta dagli atti. Anche quelle, col tempo, sono diventate non solo documento storico, ma anche opera d'arte. Il 30 aprile del 1895, in particolare, il pubblico ministero Charles Gill gli aveva chiesto di spiegare cos'era quell'“amore che non osa pronunciare il proprio nome” citato dal suo amante Lord Alfred Douglas in una poesia pubblicata su un giornaletto studentesco di Oxford che aveva ospitato anche un contributo di Wilde stesso. Come si evince dagli stessi atti, la risposta strappò “applausi sonori nella galleria del tribunale, e il dotto giudice immediatamente disse, parlando in tono molto severo, ‘Farò sgomberare l'aula se ci sarà la minima manifestazione di partecipazione. Si deve mantenere il completo silenzio'”.

    Indubbiamente, quella risposta, da cui siamo partiti, è uno dei documenti più lucidi,
    per spiegare la concezione classica della pederastia nel senso in cui poi ha continuato ad affascinare gli intellettuali per secoli. Perché di pederastia in effetti si tratta, anche se le leggi in base alle quali Wilde fu condannato riguardavano in teoria l'omosessualità più in generale. Come però riconobbe lo stesso Wilde in un controinterrogatorio condotto il 3 aprile, “Lord Alfred Douglas ha circa ventiquattr'anni e ne aveva fra venti e ventuno quando lo conobbi”. Per le leggi dell'epoca, dunque, un minorenne. Anche Arthur Rimbaud era d'altronde un minorenne quando a 19 anni nel 1873 Paul Verlaine gli aveva sparato per impedirgli di lasciarlo, finendo a sua volta in carcere. Uno scandalo letterario-penale di un quarto di secolo prima in fondo molto simile, salvo per l'immensamente maggiore talento letterario di Rimbaud rispetto a Douglas. A somiglianza del caso Polanski, anche in favore di Wilde si sarebbe aperta a Parigi una petizione di intellettuali, per chiederne la liberazione. Quello stesso Émile Zola che sarebbe poi morto in esilio per difendere Dreyfus, però, si rifiuto di firmarla.

    Ma torniamo alla seduta del 3 aprile 1895,
    in cui si parla di un altro racconto pubblicato sulla stessa rivista: “Il prete e il chierichetto”. “La storia di un prete che si innamora di un fanciullo che lo serve all'altare, il quale viene poi scoperto dal curato nella stanza del prete, e ne segue uno scandalo”. Le domande furono fatte da Edward Carson: membro del Collegio di Difesa del padre di Douglas, che per aver definito Wilde “soddomita” (sic!) in un biglietto insultante era stato dallo scrittore querelato per diffamazione, riuscendo però a rovesciare il processo nell'accusa che avrebbe travolto lo scrittore. “Lo sa che nel racconto quando il prete somministra il veleno al fanciullo, pronuncia le parole della consacrazione secondo il rito anglicano?”. La risposta ostinata di Wilde fu che il racconto “era peggio che immorale. Era scritto male”. “Non ha dubbi che quello fosse un racconto sconveniente?”. “Dal punto di vista letterario era altamente sconveniente”. “Ritiene il racconto blasfemo?”. “Ritengo che abbia violato ogni canone di bellezza artistica”.
     

    Bertrand Russell era di due anni più giovane di Douglas e dunque contemporaneo a quegli eventi, sebbene poi la sua lunghissima vita lo abbia proiettato fino a vedere il '68, e i film di Polanski. La tesi di alcuni dei suoi pamphlet era che sostanzialmente la pederastia alla Platone e Wilde era colpa dell'esclusione delle donne dall'educazione superiore, che finiva per renderle “poco interessanti” agli intellettuali. In realtà, la stessa madre di Wilde era un'intellettuale, e Russell si sarebbe trovato a sua volta alle prese con l'omosessualità di un figlio che non lo avrebbe particolarmente soddisfatto. Ma già nel 1865 con “Alice nel Paese delle Meraviglie” l'insegnante di matematica Lewis Carroll aveva sublimato un'evidente attrazione pedofila per l'allora tredicenne Alice Liddel, da lui fotografata in pose ambigue già da quando aveva sei anni. Anche Hanna Arendt era d'altronde tecnicamente minorenne quando nel 1925 a 19 anni iniziò una relazione col suo professore, peraltro sposato, Martin Heidegger. Mentre l'omosessualità si è da allora largamente sganciata dall'aspetto intellettuale della pederastia, l'educazione alle donne ha spostato un importante termine del problema, nel rapporto tra insegnante e allievo. Ma non il problema.