Perché l'educazione e il controllo è un ambito che ci stiamo rendendo inaccessibile
Ho qualche difficoltà a intervenire sull'articolo di Giuliano Ferrara a proposito del caso Polanski e del problema della paideia: dei modelli e metodi educativi occidentali a partire dall'Atene classica fino a oggi. Credo che la mia difficoltà sia resa comprensibile già dal semplice accostamento del caso particolare al problema generale.
Ho qualche difficoltà a intervenire sull'articolo di Giuliano Ferrara a proposito del caso Polanski e del problema della paideia: dei modelli e metodi educativi occidentali a partire dall'Atene classica fino a oggi. Credo che la mia difficoltà sia resa comprensibile già dal semplice accostamento del caso particolare al problema generale. Ferrara, nel suo stile, ha sfidato esattamente questa difficoltà per giusta provocazione e amore di discussione, cioè (come deve fare il giornalismo) per non sprecare i fatti di cronaca e per usarli ai fini di una maggiore comprensione e autocoscienza di come funziona la nostra mentalità e cultura.
Accetto in parte la sfida a proiettare il caso Polanski su un troppo vasto schermo problematico. Ma avverto che sarò deludente. Il caso Polanski infatti è piuttosto chiaro e sostanzialmente chiuso. Oggi il regista, a settantasei anni, cerca di sottrarsi alla pena per un abuso sessuale di cui si è già dichiarato colpevole, senza tentare la minima autodifesa. Un abuso sessuale, non violento né certo efferato, compiuto nel 1977 con una tredicenne. Il fatto che Polanski sia un grande o notevole regista qui non interessa. La sua arte, o l'arte in generale, non c'entrano. C'entra il clima da rivoluzione sessuale permanente predicato in quegli anni da psicanalisti e psichiatri seri e prestigiosi e c'entra il fatto che ormai sul tabù contro la pedofilia (tabù giusto e motivato) si scarica il peso di molti altri tabù sessuali oggi eliminati: in particolare quelli riguardanti un controllo ragionevole dei propri istinti e desideri, e soprattutto i tabù (che Ferrara propone di restaurare o creare) a proposito di aborto, fecondazione e procreazione tecnologicamente “avanzate”.
Credo che se si verificano casi di ossessione o allucinazione collettiva a proposito di pedofilia (per esempio nelle scuole) questo sia dovuto almeno a due ragioni: (1) al fatto che oggi la pedofilia si è rivelata anche un crimine organizzato e (2) alla concentrazione dei tabù sessuali su uno solo, nel senso che ci riteniamo tutti e in ogni caso sessualmente innocenti, felicemente irresponsabili e non imputabili, liberi di creare o distruggere ad libitum la vita in embrione con ogni più aggiornata tecnica, di avere o non avere figli con tutti i mezzi biologici e legali solo perché il nostro desiderio e benessere psichico ce lo ordinano: siamo liberi, sempre più liberi, ma conserviamo un solo tabù, quello antipedofilo, tabù che essendo giusto può diventare anche paranoico, se deve farsi carico, da solo, di tutta la nostra morale sessuale per il resto abolita.
Aggiungo per chiarezza che considero la pedofilia una delle forme più criminose di sadismo e di viltà (viltà non è avere paura, ma approfittare della propria superiorità per infliggere il male e procurarsi un beneficio). Ma so di essere stato in parte contagiato da un'ossessione diffusa, per cui se trent'anni fa potevo mettermi a scherzare, giocare e parlare con dei bambini, oggi ho scrupolo a farlo, lo evito perché mi chiedo che cosa potrebbero mettersi in testa i genitori, se non comincerebbero subito a vedermi come un potenziale mostro.
Noi stiamo distruggendo la nostra infanzia non ascoltandola, non educandola, nutrendola male, lasciandola sola, neutralizzandola con la tv e i videogiochi, non facendola giocare fuori casa (per le strade non si vede un bambino), corrompendola con i nostri comportamenti più stupidi e incontrollati. Come osservò una volta Max Horkheimer, i bambini prendono sul serio tutto quello che facciamo e diciamo, molto più di quanto non lo prendiamo sul serio noi. Poveri loro, ci imitano a oltranza. Ma noi le nostre responsabilità, che siamo incapaci di vedere, le trasformiamo nel nero fantasma della pedofilia, che copre tutto.
Siamo così arrivati alla paideia. Di cui non sappiamo niente o quasi, perché l'educazione, la formazione, la Bildung, il controllo, lo sviluppo e il miglioramento di sé, l'uso migliore delle nostre facoltà e possibilità, è un vasto ambito di riflessione che ci stiamo rendendo inaccessibile. Abbiamo una sola certezza, negativa e riduttiva: crediamo che educazione e controllo di sé equivalgano “grossomodo” a repressione. Non ci piacciono i limiti e le regole. Non sappiamo come motivare nei bambini e nei ragazzi la necessità e l'utilità di concentrare e orientare l'attenzione, la volontà, le energie. Non riusciamo a connettere conoscenza, eros, comportamento sociale e pubblico. Non distinguiamo tra egoismo e amor proprio. Non sappiamo creare e trasmettere l'immaginazione necessaria a capire come stanno insieme responsabilità personale e socievolezza, appartenenza e individualismo. Trascuriamo il coraggio delle proprie convinzioni quando va contro la logica del branco, del gruppo, della corporazione, della generazione, del genere e del sesso, dello schieramento, della chiesa, del partito. Questo sermone potrebbe continuare. Ma la paideia richiede che i sermoni diventino qualcosa di pratico, per esempio intelligenti riforme scolastiche e universitarie, accuratamente studiate e pubblicamente discusse prima di essere approvate. Il che non avviene.
Per trovare zone transitabili di passaggio fra sesso e paideia, fra eros e educazione, dovremo rieducarci eroticamente, fino a rimettere in questione e in circolazione l'intera storia culturale dell'occidente e non ignorando l'oriente. Siamo in grado di farlo? Vogliamo farlo? Abbiamo tempo? Dove? Come? Chi per primo? Temo che le difficoltà non derivino soltanto da una società instabile, dalla “fluidità” e “liquidità” dei valori postmoderni, ma abbiano origini più remote e una storia lunga.
Per esempio. Contrariamente a quello che avveniva in Grecia e ad Atene, la modernità occidentale, europea e americana, protestante e cattolica, illuminista e romantica, credente e non credente, è in diverse forme ingenuamente libertina e ingenuamente sessuofoba: è divisa fra un'idea utopica di liberazione sessuale (rivoluzionaria o progressiva, privata o pubblica) e infantilismo legalistico. Siamo tremendamente, disperatamente, comicamente confusi. Siamo coinvolti e facciamo fatica a capire quello che facciamo. Da un lato continuiamo (almeno in teoria, da professori) ad accettare la tradizione dei Surrealisti e dei loro seguaci anni Sessanta e ci inchiniamo davanti alla dea Trasgressione, da Sade a Wilhelm Reich. Dall'altro vogliamo giudici, preti e avvocati, leggi e catechismi dappertutto.
La sessuofobia esalta il senso di responsabilità e fa sentire colpevoli di cose che non costituiscono colpa. Il libertinismo abbassa il livello di autocontrollo responsabile e mette il piacere alla guida del comportamento. Sono in parte sessuofobo. Voi no? Gli dèi ci aiutino. Sono a volte libertino. Voi no? Che Dio ci protegga. E' naturale, è giusto che Eros attragga e faccia paura, data la sua potenza. Ma nella paideia, Apollo (perfezione, distacco) e Dioniso (fusione con l'altro, entusiasmo) non dovrebbero separarsi. Le favole antiche vanno studiate. Sulle pagine di questo giornale, nei mesi scorsi, Ruggero Guarini ha raccontato e interpretato, in una serie di articoli, diversi miti d'amore. Li avete letti?
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