Obama non decide che fare delle guerre. Inizia l'anno decisivo per la Casa Bianca
Centocinquantacinque morti civili in Iraq, vittime di un doppio attentato terroristico a Baghdad, e quattordici soldati americani uccisi in un duplice incidente aereo nei cieli afghani rendono ancora più complicate le grandi decisioni autunnali di Barack Obama in vista del secondo turno delle elezioni afghane del 7 novembre e del voto iracheno del gennaio del 2010. Obama non ha ancora deciso che cosa fare su nessuno dei due fronti.
New York. Centocinquantacinque morti civili in Iraq, vittime di un doppio attentato terroristico a Baghdad, e quattordici soldati americani uccisi in un duplice incidente aereo nei cieli afghani rendono ancora più complicate le grandi decisioni autunnali di Barack Obama in vista del secondo turno delle elezioni afghane del 7 novembre e del voto iracheno del gennaio del 2010. Obama non ha ancora deciso che cosa fare su nessuno dei due fronti, entrambi decisivi assieme alla questione iraniana e, sul fronte interno, al superamento della crisi economica e all'esito della battaglia sulla riforma sanitaria, per il futuro della sua presidenza. Se Obama dovesse sbagliare le mosse, sarebbero guai per il suo futuro e i repubblicani – pur senza leader e senza una filosofia politica coerente – sono pronti ad approfittarne alle elezioni di metà mandato di fine 2010.
Ieri sera, alla Casa Bianca, s'è tenuto il sesto vertice politico-militare sull'Afghanistan, mentre il Pentagono ha fatto trapelare la notizia di simulazioni belliche effettuate sulla base delle indicazioni fornite dal generale Stanley McChrystal, il comandante che chiede a Obama fino a 44 mila soldati in più per sconfiggere i talebani. La revisione strategica sull'Afghanistan, quando è stata annunciata, sarebbe dovuta durare un paio di settimane, ma è trascorso già un mese ed è improbabile che Obama sveli la sua decisione prima del voto del 7 novembre. Tutto ciò mentre il presidente afghano Hamid Karzai chiede più soldati, lo sfidante Abdullah Abdullah fa intendere che potrebbe boicottare il ballottaggio e a Kabul gli studenti bruciano le immagini di Obama, accusato di consentire ai suoi soldati di profanare il Corano.
Al confronto, prima della strage, la situazione irachena sembrava molto più tranquilla. La settimana scorsa Obama ha ricevuto alla Casa Bianca il premier Nouri al Maliki e, per la prima volta, i leader delle due nazioni non hanno parlato soltanto di sicurezza, ma della nuova legge elettorale in discussione a Baghdad e di rapporti economici e commerciali. Sulla base dell'accordo Sofa, Status of Forces Agreement, sottoscritto da George W. Bush e Maliki nel dicembre dello scorso anno, le forze militari americane si sarebbero dovute ritirare dalle città entro il 30 giugno scorso, ma in realtà sono rientrate nelle basi soltanto a Baghdad. L'accordo Bush-Maliki fornisce a Obama il calendario di rientro delle 120 mila truppe americane. Si comincerà due o tre settimane dopo il voto di gennaio fino a che, entro il primo luglio del 2010, rimarranno soltanto 50 mila soldati. A fine dicembre 2011, gli americani lasceranno l'Iraq. Tutto questo, però, se il governo iracheno sarà in grado di mantenere la sicurezza nel paese. Se, invece, tornerà la stagione delle stragi, Obama sarà costretto a rivedere anche la strategia irachena sulla base di quanto ha dichiarato ieri: “Gli Stati Uniti staranno al fianco del popolo e del governo iracheno. Lavoreremo assieme per sicurezza, dignità e giustizia durevoli”.
David Ignatius, esperto di politica internazionale del Washington Post, assicura che a Baghdad, malgrado la strage, c'è molta fiducia. L'editorialista liberal del New York Times, Thomas Friedman, ha invitato Obama a non cancellare quanto è stato fatto fino ad adesso: “Non è per niente facile cercare di trasformare un paese brutalizzato da tre decenni di crudele dittatura. E' necessario un passo, un'elezione, una legge per volta. Non possiamo permettere che l'Afghanistan distragga i diplomatici dall'Iraq. Ricordatevi: trasformare l'Iraq avrà un impatto su tutto il mondo arabo musulmano. Cambiando l'Afghanistan, cambieremo solo l'Afghanistan”.
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