Bolle e balle: lo stimolo

Pare che tutti quei soldi non siano serviti gran che

Stefano Cingolani

Stappiamo champagne, la Germania ha deciso una politica fiscale di stimolo alla crescita, rinunciando (almeno un po') al rigore di bilancio. In fondo, molti glielo chiedono da tempo; è la raccomandazione emersa, dal G20 in poi, negli ultimi consessi internazionali sul dopo crisi. I tedeschi hanno un avanzo di bilancia con l'estero elevatissimo, il 3,8 per cento del prodotto lordo, eccessivo a questo punto del ciclo economico.

    Stappiamo champagne, la Germania ha deciso una politica fiscale di stimolo alla crescita, rinunciando (almeno un po') al rigore di bilancio. In fondo, molti glielo chiedono da tempo; è la raccomandazione emersa, dal G20 in poi, negli ultimi consessi internazionali sul dopo crisi. I tedeschi hanno un avanzo di bilancia con l'estero elevatissimo, il 3,8 per cento del prodotto lordo, eccessivo a questo punto del ciclo economico. Se aumentare la domanda interna diventa davvero una priorità per Berlino, anche tutte le altre capitali europee saranno contente, a cominciare da Roma, perché le aziende italiane esportano innanzitutto in Germania. Se. Perché è d'obbligo mettere le mani avanti. Intanto, si tratta solo di un programma per la prossima legislatura. E poi, leggiamo bene le dichiarazioni. C'è scritto che il pacchetto di 24 miliardi di euro tra tagli fiscali e aumento della spesa, verrà varato il primo gennaio 2011 (non domani), “possibilmente”. Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze in pectore, in televisione ha spiegato che bisogna ”seguire una linea molto prudente”. Prima il commercio mondiale mette in moto il made in Deutschland, poi si allentano le briglie, senza sacrificare il surplus estero e solo “se possibile”. Jean-Claude Juncker, presidente dell'Eurogruppo, in un'intervista a “Handelsblatt”, sostiene che non è possibile: “Il debito è troppo elevato, appena sopportabile per le nuove generazioni”, anche se per ora resta sotto l'80 per cento.

    Senza sottovalutare l'importanza della svolta, è meglio non curvarla troppo a nostra immagine. La bilancia dei pagamenti italiana è in rosso (2,9 punti del pil), il debito pubblico è il secondo al mondo dopo quello giapponese, l'efficienza della spesa (cioè la capacità di trasformare un euro stanziato dallo stato in sviluppo e occupazione) resta tra le più basse. Tutto ciò, mentre crescono i dubbi sull'efficacia dello stimolo pubblico negli stessi Stati Uniti. Michael Mussa sostiene che la ripresa americana sarà più forte di ogni rosea attesa, grazie alla domanda privata e alla forza delle imprese. I calcoli di John Taylor mostrano che il contribuito della politica fiscale alla crescita rappresenta solo un'inezia: 0,3 punti su un prodotto lordo salito del 5,7 per cento tra primo e secondo trimestre dell'anno. Christina Romer, capo dei consiglieri economici della Casa Bianca, è convinta che la spinta all'economia sarà più forte nel corso del prossimo anno. Il “Wall Street Journal”, intanto, pubblica il conto di quel che è stato speso finora: 194 miliardi di dollari, oltre un quarto dello stanziamento deciso dal Congresso. A chi sono andati? Oltre 60 miliardi ad alleviare il fardello dei disoccupati, dei poveri, delle vittime della recessione, poco più di 43 a sanare i bilanci degli stati, 57 a sgravi fiscali per famiglie e imprese. Solo 26 sono investimenti, tra i quali le famose infrastrutture. Una voce alla quale molti hanno attribuito un potere salvifico, ma i cui effetti si vedranno quando ormai la recessione sarà dietro le spalle. Nuove strade, ferrovie, aeroporti ci vogliono, ma non danno impulso a breve termine. E la disoccupazione continua a peggiorare.

    La maggior parte delle spese, dunque, sono assistenziali, negli Stati Uniti come in Germania o in Italia. Si tratta di ammortizzatori, non di acceleratori. Francesco Giavazzi ieri sul Corriere della Sera ha difeso Giulio Tremonti contro il partito della spesa e ha rilanciato un mix di politica economica che combina riduzioni fiscali, coperte da misure come l'aumento dell'età pensionabile, qualche liberalizzazione e riforme del pubblico impiego alla Brunetta. “Coniugare rigore e crescita”, è il titolo dell'editoriale, formula miracolosa inseguita da almeno un decennio. Giavazzi, sviluppista della prima ora, insiste che una crescita più rapida darebbe sollievo anche al debito pubblico (se il reddito sale crescono anche le entrate). Ma la condizione è che le uscite correnti non aumentino anch'esse. La Banca d'Italia lo sostiene da sempre e l'attuale governatore lo ripete a ogni pie' sospinto. Non si vede, dunque, come un Mario Draghi a via XX Settembre possa allargare i cordoni della borsa che Tremonti tiene così stretti. Soprattutto se gli effetti sull'economia sono dubbi o modesti, come dimostra l'America di Obama.