Cattoleninisti a chi? - Franceschini, Fioroni, Marini e Rutelli sono senza le chiavi del partito

Perché Bersani è il senso del Pd di oggi

Claudio Cerasa

In questo momento l'immagine più efficace per comprendere la sconsolata percezione che i cattolici hanno del proprio Partito democratico è la prima pagina del Manifesto di ieri: una severa gigantografia del nuovo segretario del Pd con sigaro, gilet, cravattino e braccio sinistro disteso verso l'alto, e con ai piedi una didascalia a spiegare quello che secondo molti è ormai il senso del Pd di oggi, Pier Lenin Bersani.

    In questo momento l'immagine più efficace per comprendere la sconsolata percezione che i cattolici hanno del proprio Partito democratico è la prima pagina del Manifesto di ieri: una severa gigantografia del nuovo segretario del Pd con sigaro, gilet, cravattino e braccio sinistro disteso verso l'alto, e con ai piedi una didascalia a spiegare quello che secondo molti è ormai il senso del Pd di oggi, Pier Lenin Bersani. Perché con la vittoria di Bersani c'è una cosa certa. Cattodemocratici come Franceschini, Fioroni, Marini e Rutelli non hanno più in mano le chiavi del Pd, i bersaniani minacciano di creare un partito poco orientato a compromessi storici, la nuova governance del Partito democratico rischia di creare una piccola emorragia di cattolici, e giusto o sbagliato che sia la mozione uscita vincitrice dalle primarie di quattro giorni fa ha schiacciato i cattodem lì in un angolino. E' vero che tra i sostenitori di Bersani ci sono Enrico Letta (suo possibile vice), Rosy Bindi (candidata presidente del partito), Romano Prodi e tutta la compagnia dei prodiani.

    Ma come confessa un giovane dirigente del Partito democratico la verità è che il Pd senza crocifisso non è solo un problema di Francesco Rutelli. “E' vero, è molto probabile che nel nostro partito ci siano piccole scissioni ma la cosa più grave è che ora il Pd vivrà un'inevitabile fuga non tanto di dirigenti quanto di elettori cattolici. Io stesso da cattolico non saprei cosa fare, e se non fosse che sono stipendiato dal Pd credo proprio che un partito che si configura come una versione 2.0 del vecchio Pci non sarei in grado di votarla”.
    Ma i cattolici democratici, si sa, sono sempre molto abili a riconoscersi e a volte persino a identificarsi nelle vittorie altrui, e già oggi sono molti i segnali che testimoniano un rapidissimo e smaliziato riposizionamento delle catto-truppe del Pd. Prendete quello che è successo ieri pomeriggio a Roma di fronte all'ex segretario Dario Franceschini.

    Le cose sono andate così: Franceschini e il suo ormai a tutti gli effetti braccio destro Piero Fassino hanno riunito i principali dirigenti della propria mozione per discutere la linea politica da seguire da oggi in poi. L'idea dell'ex segretario è chiara: niente accordi, niente inciuci e tutti pronti a fare opposizione dura e pura all'interno del partito. A pensarla così tra gli ex Ppi non sono moltissimi e non è un caso che uomini legati a Fioroni e Marini abbiano a sorpresa disertato l'incontro. La ragione la spiega al Foglio un senatore che ha firmato la mozione dell'ex segretario, Lucio D'Ubaldo. “In questo momento la giusta linea da seguire non è quella di fare opposizione dura e pura al nuovo segretario ma è semplicemente quella di tentare di collaborare con lui. Ovviamente non dipende soltanto da noi”. Le trattative portate avanti dai mariniani e dai fioroniani hanno come obiettivo quello di non perdere del tutto il controllo della macchina del partito e puntano a mettere alla guida dell'organizzazione del Pd un cattolico che ha tutte le carte per essere l'uomo del compromesso: Nicodemo Oliverio, ex braccio destro di Marini e fondatore della costola politica della fondazione dalemiana ItalianiEuropei, Red. Quanto al resto è vero che esistono diversi democratici cattolici su cui Bersani ha già confessato in privato di voler puntare forte per il futuro (il lettiano Francesco Boccia, il segretario regionale piemontese Gianfranco Morgando e quello ligure Lorenzo Basso). Ma il punto è che l'ascesa delle due spalle cattoliche di Bersani – Bindi e Letta – porta con sé due interpretazioni diverse. I maliziosi sostengono che le loro candidature siano le foglie di fico scelte per coprire lo svergognato Partito comunista democratico.

    Altri ribattono sostenendo che Bindi e Letta siano i portatori sani di un progetto
    nato da uno degli sponsor più pesanti del nuovo segretario: Romano Prodi. Perché con Bersani torna Prodi, tornano gli ulivisti, torna il dossettismo e torna anche il cattolicesimo lombardo ad avere un peso nel maggior partito dell'opposizione. La coppia Bersani-Letta può considerarsi a tutti gli effetti vicina a quel mondo a cavallo tra la chiesa, la finanza e la politica apparso finora un po' troppo disorientato nel Pd. I segnali che arrivano da una città chiave come Brescia, culla del cattolicesimo sociale e progressista, non lasciano dubbi: Bersani ha vinto con numeri da urlo (il 56 per cento, contro il 29 di Franceschini e il 14 di Marino) e la forza di attrazione dell'universo legato al trio Bersani-D'Alema-Prodi la si può comprendere dando uno sguardo ai nomi che alle primarie hanno sostenuto il nuovo segretario: l'ex leader della Dc Mino Martinazzoli, l'avvocato Alfredo Bazoli (candidato con Bersani) e lo stesso zio di Alfredo numero uno di Intesa che di nome fa Giovanni.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.