Ecco perché la chiesa reagisce in massa alla sentenza europea
Manca solo il Papa, il quale, a onore del vero, già quando era cardinale (significativa una raccolta di testi pubblicati nel 1992 col titolo: “Guardare al crocefisso”) e poi anche una volta eletto al soglio di Pietro, era intervenuto più volte sull'argomento. Per tutte, bastino le parole che pronunciò pochi mesi dopo l'elezione al soglio di Pietro in occasione della festa dell'Assunta (15 agosto 2005): “E' importante che Dio sia presente nella vita pubblica, con segni della croce, nelle case e negli edifici pubblici”.
Manca solo il Papa, il quale, a onore del vero, già quando era cardinale (significativa una raccolta di testi pubblicati nel 1992 col titolo: “Guardare al crocefisso”) e poi anche una volta eletto al soglio di Pietro, era intervenuto più volte sull'argomento. Per tutte, bastino le parole che pronunciò pochi mesi dopo l'elezione al soglio di Pietro in occasione della festa dell'Assunta (15 agosto 2005): “E' importante che Dio sia presente nella vita pubblica, con segni della croce, nelle case e negli edifici pubblici”, disse Benedetto XVI.
Per il resto, è una risposta di massa, imponente e importante, quella che viene data dalle gerarchie della chiesa cattolica alla sentenza emessa l'altro ieri dalla Corte di Strasburgo che proibisce l'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche italiane. Di massa perché, nelle stesse ore e sullo stesso argomento, hanno deciso di prendere la parola il segretario di stato vaticano, il prefetto dei vescovi, il presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, il portavoce vaticano, la Conferenza episcopale italiana con un comunicato ufficiale, il presidente e il segretario del pontificio consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti, l'osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa, il presidente della Commissione per l'ecumenismo e il dialogo della Cei, il biografo principale degli ultimi due Pontefici (Ratzinger e Wojtyla), alcuni vescovi del nostro paese e, dulcis in fundo, l'Osservatore Romano che in prima pagina (edizione odierna) piazza la vignetta “Hanno votato per Barabba” di Giannelli uscita sul Corriere e, insieme, cita un articolo pro crocefisso pubblicato da Natalia Ginzburg anni fa sull'Unità. Insomma, a conti fatti, al buffet vaticano anti Corte di Strasburgo non è mancato davvero nessuno.
Una reazione così imponente ha un perché. Anche se, a dire il vero, inizialmente, e cioè l'altro ieri, il Vaticano volle mantenere una linea prudente. Padre Lombardi, infatti, nelle prime ore di martedì si limitò a dire: “Dobbiamo ancora valutare bene la cosa, dobbiamo almeno leggere la sentenza”. Poi, però, qualcosa è cambiato. La seconda sezione della segreteria di Stato (cura i rapporti con gli stati), infatti, quella guidata dal corso Dominique Mamberti e che pare da tempo stesse monitorando il tutto (e cioè l'evolversi della sentenza e la risposta del governo italiano), ha fatto capire che era il caso d'intervenire, di dire, di non lasciare cadere nel vuoto la cosa. Tanto che, in serata di martedì, è stato lo stesso Lombardi a riprendere la parola e a dire alla Radio vaticana e al Tg1 che oltre Tevere la sentenza era stata recepita “con stupore e rammarico”.
Il giorno dopo, dunque ieri, sono stati due principali quotidiani italiani a stupire. Entrambi, infatti – Corriere della Sera e Repubblica – riportavano la voce di due porporati autorevoli: il cardinale Giovanni Battista Re e il cardinale Walter Kasper. Per il primo togliere il crocefisso significa eliminare “l'emblema della tradizione cristiana su cui si fonda la nostra civiltà”. Per il secondo, invece, “questa manifestazione di secolarismo aggressivo dovrebbe essere un segnale per svegliarci e alzare un po' la voce”. Anche Kasper, dunque, che sovente su tematiche che attraversano trasversalmente la cristianità (dai cattolici ai protestanti e agli ortodossi) è molto prudente, esce allo scoperto attaccando pubblicamente quella “tendenza aristocratica” che “esiste”, che “ha potere” e che “non si può tollerare”. Non si tratta semplicemente dell'uscita di un porporato alla fine di un lungo mandato e che dunque può permettersi prese di posizione più forti del solito. Si tratta, invece, del fatto che anche per chi guida per conto del Papa i rapporti ecumenici si è superato il limite. Un limite contro il cui superamento è tutta la cristianità a doversi ribellare. Infatti Kasper ha parlato di “secolarismo aggressivo” da combattere. Così pensa la chiesa: in ballo c'è un principio da non eludere, l'identità cristiana che ha fatto l'Europa.
Ieri Tarcisio Bertone, oltre a dire che “purtroppo questa Europa del terzo millennio ci lascia solo le zucche della festa recentemente ripetuta la vigilia del primo novembre – Halloween, ndr – e ci toglie i simboli più cari”, ha anche spiegato come “c'è apprezzamento per l'iniziativa del governo italiano di presentare ricorso contro la sentenza”. E, dunque, ha in qualche modo voluto sostenere lo sforzo italiano in merito. Eppure, sempre in Vaticano, c'era ieri chi faceva notare come se si è arrivati alla sentenza – e la cosa è ben nota in segreteria di stato – la colpa è anche del governo che precedentemente non ha presentato bene, davanti alla Corte di Strasburgo, le sue ragioni. Il rappresentante del governo, infatti, ha parlato a Strasburgo della necessità di “trovare un compromesso con i partiti d'ispirazione cristiana”, come a dire che la norma sarebbe illegittima ma che è necessario mantenerla per ragioni politiche. Forse – e lo sa la Santa Sede – se si fossero fatti presenti altri argomenti, e in particolare che la situazione vigente rispettava maggiormente la nostra tradizione costituzionale (questo si sostiene anche in Vaticano), a tanto non si sarebbe arrivati.
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