Tutti pazzi per Casini - Tabacci lascia l'Udc: "Troppo vicini al Cav."

Così Casini è tornato improvvisamente di moda

Salvatore Merlo

Che la bocciatura del lodo Alfano avrebbe provocato qualche scossetta nel centrodestra era ovvio; che avrebbe finito col restituire una parvenza di centralità tattica a Pier Ferdinando Casini è una novità delle ultime ore. Il rentier post democristiano era stato condannato all'irrilevanza: “Tieniti il progetto io mi prendo i voti”, gli disse Berlusconi alla vigilia del divorzio. Da principe frondista alla corte del Cav. a santo bevitore della politica, l'ex allievo di Forlani dopo la presidenza della Camera sembrava precipitato nel sottoscala del Palazzo.

Leggi l'intervista al Corriere di Bruno Tabacci: "Io non ho nulla a che fare con Arcore"

    Venerdì ha conversato lungamente con Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, il giorno precedente aveva incontrato Gianfranco Fini, la settimana prima era stato intrattenuto da Pier Luigi Bersani ma soltanto dopo aver ricevuto Francesco Rutelli e aver confortato il governatore veneto Giancarlo Galan: un'ipotesi di accordo con tutti, una mezza promessa a ciascuno. Che la bocciatura del lodo Alfano avrebbe provocato qualche scossetta nel centrodestra era ovvio; che avrebbe finito col restituire una parvenza di centralità tattica a Pier Ferdinando Casini è una novità delle ultime ore.

    Il rentier post democristiano era stato condannato all'irrilevanza: “Tieniti il progetto io mi prendo i voti”, gli disse Berlusconi alla vigilia del divorzio. Da principe frondista alla corte del Cav. a santo bevitore della politica, l'ex allievo di Forlani dopo la presidenza della Camera sembrava precipitato nel sottoscala del Palazzo. Avrebbe potuto governare col centrosinistra ma non l'ha fatto, avrebbe voluto influenzare Berlusconi ma non c'è riuscito, poteva sublimarsi nel Pdl e invece si è ridotto a pochi deputati da far sopravvivere di stenti; una razza democristiana in estinzione, un gruppetto di marziani proporzionalisti all'interno di un circo bipolare e bipartitico. E invece no. Niente più irrilevanza, basta sottoscala, da ora in poi soltanto un'agenda fitta: telefonate del Cav., di Fini, di Bersani e profferte da ogni cantone.
    Casini è a casa di tutti, o meglio tutti passano dalle porte girevoli di casa Casini. Ma è davvero tornato in pista? Il politologo Alessandro Campi dice di no (o quasi): “Essere l'alleato di tutti non è quel che definirei un segnale di forza. E' un sintomo di debolezza da parte dei suoi interlocutori”. Il senatore democrat, e veltroniano, Stefano Ceccanti aggiunge: “Per adesso può anche essere felice, ma quella di Casini è una centralità a scadenza”. Cioè? “Se non si manifesta un matto che smonta per lui il bipolarismo, prima o poi sarà assorbito. O di qua o di là”. Anche se per adesso Casini è di qua ed è anche di là, mentre è il bipolarismo a periclitare pericolosamente.

    Venerdì alla Camera il leader dell'Udc, in conferenza stampa, ha raccolto una folla di giornalisti che neanche ai bei tempi del 2001-2006. Lo stesso codazzo di taccuini che giovedì lo pedinava cercando di capire se il vertice con Fini non fosse (non si sa mai) un ritorno della Cdl con tanto di Berlusconi e Gianni Letta. Non lo era. “Le loro beghe non mi riguardano più”. Eppure non c'è leader, capo di partito, carica istituzionale, transfuga, trasformista o esiliato di successo che non si rivolga a Casini. E lui ne ha per tutti. Al presidente del Consiglio dice che “qui e là ci si può anche alleare”, salvo spiegare al presidente della Camera – rabbuiato – che bisogna invece “filtrare” le candidature avanzate dal presidente del Consiglio e poi concludere che “comunque sia, confermo che l'Udc corre da sola”. Al capo dell'opposizione – che stravede per lui – dice che in Puglia non vuole comunisti (e Bersani lo accontenta), mentre al preoccupato Galan, che rischia la poltrona, sussurra: “Io sosterrò te e solo te”. Poi chissà. Venerdì il capo dei centristi ha detto “sì” alla riforma berlusconiana della Giustizia e si è intestato un tentativo di mediazione con il Pd. Ma qual'è il segreto di Casini? “La confusione degli altri”, conclude Campi.

    Leggi l'intervista del Corriere a Bruno Tabacci: "Io non ho nulla a che fare con Arcore"

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.