Ci vuole intelligenza e faccia bronzea. Eccola

Così Minzolini ha infilzato il drago giustizialista in diretta tv

Alessandro Giuli

Il tiro al Minzolini è un esercizio venatorio fallimentare in partenza, non si può trasformare il predatore in preda. Lui, il direttore del Tg1 con alle spalle i migliori trofei di caccia giornalistica in Transatlantico, aveva già dimostrato di saper volare a pelo d'acqua sopra la palude delle polemiche innescate dai suoi primi editoriali televisivi. Adesso, con l'ultima sortita di lunedì sera, Augusto Minzolini s'è guadagnato un'altra doppia decorazione.

    Il tiro al Minzolini è un esercizio venatorio fallimentare in partenza, non si può trasformare il predatore in preda. Lui, il direttore del Tg1 con alle spalle i migliori trofei di caccia giornalistica in Transatlantico, aveva già dimostrato di saper volare a pelo d'acqua sopra la palude delle polemiche innescate dai suoi primi editoriali televisivi. Adesso, con l'ultima sortita di lunedì sera, Augusto Minzolini s'è guadagnato un'altra doppia decorazione: medaglia al merito garantista per aver fissato all'ora di cena un insolito appuntamento fra i telespettatori italiani e la necessità di proteggere i loro eletti dalle intemerate della magistratura chiodata; medaglia al merito rivoluzionario per aver smentito l'assurda e pigra convinzione che il Tg1 debba soltanto raccontare i fatti politici – con una leggera, noiosa predilezione per il governo in carica – senza mai indurre al sospetto che un telegiornale sappia anche esprimere un pensiero in diretta. Per la verità il predecessore Gianni Riotta, vagamente di parte prodiana, aveva già tentato con qualche successo di rompere l'incantesimo del convenzionalismo televisivo di Raiuno.

    Minzolini, direttore di fresca e fortunata nomina berlusconiana ma con specchiata carriera da notista simpatico a D'Alema e mai diprezzato dagli allergici al bipolarismo, sta completando l'opera con temperamento e ulteriore coraggio. Infilzare il drago giustizialista alle 20 e 30 non è un rischio da poco. Farlo con argomenti validi erga omnes, come il richiamo all'articolo 68 stabilito dai padri costituenti per immunizzare il Parlamento dall'uso improprio del codice penale, denota una intelligenza culturale cui s'aggiunge quel poco di faccia bronzea indispensabile a rafforzare il concetto. A Minzolini, che di mimetismo è maestro per via dei trascorsi da retroscenista, il bronzo proprio non fa difetto. Al limite l'altra sera ci si poteva attendere che, nel pieno dell'editoriale declamato con alle spalle quei volumi della Treccani in stile Corsera di provincia, Minzolini sbottasse avventato: “Guardate che il primo a scrivere dell'articolo 68 sono stato io, che vi credete?”. Ma sarebbe stato un altro punto a suo favore: la debolezza competitiva, l'ansia del primato, la cresta (metafora) da miles gloriosus, pose e movenze che umanizzano perfino gli animali più selvatici concepiti dal ventre del giornalismo novecentesco.

    Minzolini ha appunto l'aria dello sbruffone di massa fatto e finito, il Tg1 è il posto suo, e lui dimostra di saperci stare da berlusconiano ben vestito con l'abito della sostanziale equanimità. Semmai Minzolini è reticente verso l'uso scandalistico del mezzo, più che timorato nella selezione delle notizie e delle opinioni. Altrimenti non avrebbe segnalato che “governi di destra e di sinistra sono caduti sull'onda delle inchiesta della magistratura”. Non è precisamente un motivo di propaganda berlusconiana, non ha parlato di magistrati comunisti golpisti (anche se il programma del giudice Ingroia preoccupa pure lui) oppure pazzi da esaminare con ausilio psichiatrico prima dell'ingresso nei tribunali. E' invece un omaggio alla potenza del dato di fatto.

    Ecco, ma se fosse stato un qualsiasi terzista a pronunciare la sua apologia del garantismo? In quel caso, oggi il censimento dei democratici inconsolabili sarebbe ancor più miserello di quanto non segnalino già le note di agenzia, e il cdr del Tg1 avrebbe trovato bersagli più appassionanti contro i quali rivolgere i propri comunicati. Eppoi i terzisti alle 20 e 30 sono troppo polverosi, non scandiscono, presentano i libri di chiunque e chiunque presenta i loro libri. Che gusto c'è? La banalità del buon senso dice che a nessun direttore al mondo è richiesta o concessa un'indipendenza integrale dal proprio editore. Il mito della terzietà assoluta non è buon sistema di valutazione. Ma Minzolini rifulge di una faziosità speciale, non ipocrita, anche perché ha saputo sollevare un questione che interessa tutti, da un garantista di massa.