Dopo il colloquio privato con Ruini

Così il laicista Fini prova a piacere anche in Vaticano

Paolo Rodari

Questa sera il segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone è atteso in Parlamento in occasione del settimo anniversario della visita di Giovanni Paolo II. Nella sala della Lupa, il cardinale assiste alla proiezione di un filmato – “Credo” di Alberto Michelini, con arie e canti religiosi interpretati da Andrea Bocelli con l'orchestra e il coro dell'Accademia di Santa Cecilia diretta da Myung-Whun Chung – assieme al presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, e a Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera al tempo della visita del Pontefice.

    Questa sera il segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone è atteso in Parlamento in occasione del settimo anniversario della visita di Giovanni Paolo II. Nella sala della Lupa, il cardinale assiste alla proiezione di un filmato – “Credo” di Alberto Michelini, con arie e canti religiosi interpretati da Andrea Bocelli con l'orchestra e il coro dell'Accademia di Santa Cecilia diretta da Myung-Whun Chung – assieme al presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, e a Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera al tempo della visita del Pontefice.

    Un incontro carico di suggestioni in questi tempi in cui c'è chi parla con insistenza di un futuro che potrebbe prendere i colori di un partitone di centro in grado di raccogliere tutte le anime disperse della vecchia Dc. Un futuro, dunque, in cui l'asse Fini-Casini-Rutelli potrebbe giocare un ruolo decisivo. In effetti, anche lasciando per un momento di lato questi nuovi tramestii di centro (presunti o reali che siano), la scena di quest'oggi a Montecitorio resta significativa. Perché vede da una parte un presidente della Camera che, non disdegnando la ricerca di interlocutori anche fuori il Pdl, sembra ultimamente essere solerte nel proporre punti di vista consoni al dire a e al sentire della chiesa.

    Dall'altra parte, vede un porporato in rappresentanza di un Vaticano sì attendista quanto a scenari politici futuri, per nulla propenso a farsi ammaliare da sirene che fino a ieri cantavano un canto diverso dal proprio (quello di Fini, in particolare, è stato spesso e più volte giudicato come laicista), ma nello stesso tempo pronto ad assecondare nuove esperienze moderate laddove l'attuale sistema bipolare dovesse in qualche modo mutare. Beninteso: la chiesa, il Vaticano, come pure i vescovi italiani, non intendono in nessun modo rompere i fili di cordialità e amicizia tessuti con l'attuale maggioranza e, in particolare, con il premier Silvio Berlusconi. Il loro atteggiamento semmai – e lo dimostra molto bene la prolusione tenuta lunedì ad Assisi dal presidente della Cei Angelo Bagnasco in apertura dell'assemblea generale dell'episcopato italiano – è neutrale, di una neutralità pronta (all'occorrenza) a valorizzare quanto di buono (e di nuovo) lo scenario politico dovesse eventualmente proporre.

    Gianfranco Fini non è mai stato un interlocutore particolarmente vicino al Vaticano. Nel senso che più che rassicurare, ha spesso spaventato: tutti oltre il Tevere ricordano i suoi tre “sì” al referendum sulla procreazione assistita, le parole di apertura a una legge sulle coppie di fatto, la posizione sul testamento biologico, la denuncia dei ritardi dell'Italia quanto a politiche per le persone omosessuali e, ancora e non da ultimo, quell'accusa alla chiesa (e dalla chiesa ancora non del tutto digerita) d'essere stata responsabile delle leggi razziali: la cosa gli costò un anno fa una durissima reprimenda da parte dell'Osservatore Romano. Infatti, ancora oggi, un certo sospetto intorno all'ex leader di An resta, una certa paura rispetto a quanto potrebbe dire e  fare c'è, anche se, accanto ai timori di sempre, vi sono anche nuovi segnali.

    Se questa estate, infatti, Fini chiese a più riprese, e senza successo, di essere ricevuto in Vaticano da Benedetto XVI – dalla segreteria di stato vaticana pare sia arrivato un cortese diniego – non così è avvenuto pochi giorni fa quando il presidente della Camera ha chiesto e ottenuto un colloquio privato con l'ex presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini (questi, dismessi i panni di guida dei vescovi, resta una mente lucida e affidabile quanto alle vicende del paese e a come la chiesa guarda a esse). Un incontro preceduto e seguito da uscite di Fini consone al sentire e alla sensibilità vaticana. Segnali notati oltre il Tevere e che, seppure non mutino l'attendismo e la generale neutralità vaticana, servono e probabilmente serviranno in futuro.
    Fini nel giro di poche settimane ha dichiarato che “i tempi sono maturi per discutere di diritto di voto, almeno amministrativo, per le persone immigrate”, ha detto che andrebbe concessa la cittadinanza “agli stranieri nati in Italia”, e si è augurato che la sentenza della corte di Strasburgo sul crocefisso “non venga salutata come giusta affermazione della laicità delle istituzioni che è valore ben diverso dalla negazione, propria del laicismo più deteriore, del ruolo del cristianesimo nella società e nella identità italiana”.

    L'incontro con Ruini è figlio dei buoni rapporti che, dai tempi della candidatura a sindaco di Roma, Fini ha tenuto – grazie alla mediazione di Andrea Ronchi – con l'allora vicario del Papa. Rapporti che, tuttavia, Fini non ha ancora completamente saldi con altri esponenti della galassia ecclesiastica. Con Bertone e con Bagnasco, anzitutto. Quanto ai rapporti con Bertone il concerto d'oggi potrebbe senz'altro giovare. Il segretario di stato è sempre ben disposto con tutti e la linea della cordialità cercata col mondo politico non è senz'altro con Fini che verrà disattesa. Certo, lo scorso luglio Bertone presentò l'enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI con il presidente del Senato, Renato Schifani, senza in qualche modo prendere in considerazione una medesima richiesta avanzata da Fini in merito, ma sembra le due richieste (quella di Schifani e quella di Fini) siano arrivate in segreteria di stato in concomitanza, costringendo il segretario di stato a scegliere per una rinunciando all'altra.

    Anche Bagnasco, come Bertone, non è propriamente un cardinale che cerca lo scontro. E' vero: recentemente sul Corriere della Sera, seppure indirettamente, Bagnasco ha preso le distanze da Fini e dal mondo vicino al presidente della Camera in merito all'ora di religione islamica. Ma è anche vero che, proprio nelle scorse ore, il primo a recepire il richiamo di Bagnasco circa la necessità di svelenire il clima politico smettendola con l'odio reciproco è stato proprio il presidente della Camera, il quale, citando Bagnasco, ha detto: “Gli italiani non vogliono il derby permanente, la disfida di Barletta”.