Il viaggio di Obama in Asia
Dal clima alla moneta, le mosse del G2 tra declino americano e ascesa cinese
Obama è volato a Pechino e andrà a Shanghai per incontrare il premier, Wen Jiabao, e il presidente della Repubblica popolare, Hu Jintao. All'inizio della scorsa settimana, il presidente americano ha detto che la Cina “è un nostro partner, ma è anche un rivale”. Il problema è che in Cina il partito di scettici cresce giorno dopo giorno e mette in discussione il peso degli Stati Uniti negli equilibri internazionali.
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Il presidente americano, Barack Obama, ha cominciato venerdì il primo viaggio in Asia del suo mandato da presidente. A Tokio, nella tappa iniziale della missione, ha incontrato il premier giapponese, Yukio Hatoyama. Hatoyama dovrebbe essere il migliore alleato dell'America nella regione, ma i rapporti fra i due paesi sono freddi da mesi. Sul piano economico, Tokio vuole rapporti migliori nel cortile di casa, con buona pace per le richieste della Casa Bianca. Sul piano militare, il sostegno alla guerra in Afghanistan prosegue, mentre il futuro della base di Okinawa è ancora incerto. La base ospita 47 mila marine e avrebbe già chiuso da un pezzo, se la decisione dipendesse unicamente da Hatoyama. Ma la parte più complessa del viaggio comincia oggi, con la visita di quattro giorni in Cina: Obama è volato a Pechino e andrà a Shanghai per incontrare il premier, Wen Jiabao, e il presidente della Repubblica popolare, Hu Jintao.
All'inizio della scorsa settimana, il presidente americano ha detto che la Cina “è un nostro partner, ma è anche un rivale”. Le parole del presidente riflettono in maniera fedele i sentimenti della nazione: secondo l'agenzia Reuters, tre cittadini su dieci pensano che sia fondamentale avere buone relazioni con Pechino. Il problema è un altro: in Cina il partito di scettici cresce giorno dopo giorno e mette in discussione il peso degli Stati Uniti negli equilibri internazionali. “La crisi della finanza avvicina senza equivoci la fine dell'egemonia americana – scrive il direttore del People's Daily, Li Hongmei – Per questo, la visita di Obama non deve produrre aspettative troppo grandi”. People's Daily è la voce del Partito comunista, normale che i diplomatici occidentali seguano con particolare interesse quello che scrive. Come se non bastasse, le opinioni di Li sono piuttosto diffuse fra i pensatori cinesi.
Il dibattito è iniziato nel 2006 con una tesi scomoda e storica pubblicata all'Università Fung di Shanghai. “Come possiamo impedire che gli Stati Uniti crollino troppo in fretta?”, chiedeva il giovane Wang Yiwei, destinato a diventare l'analista più influente del paese. Secondo la teoria, l'America è in declino e la parabola avrà conseguenze gravi sugli interessi cinesi: è meglio “insegnare” per tempo alla Casa Bianca come si divide il potere. Un altro studioso della Fung, Zhang Liping, sostiene che il processo ha una doppia origine. Dal punto di vista economico, il prodotto interno lordo degli Stati Uniti incide sempre meno su quello globale, mentre cresce la forza di paesi come la Cina, la Russia e il Brasile; sul fronte della diplomazia, la guerra in Iraq ha fatto salire il senso di frustrazione fra i partner, che ora cercano alternative. La corrente della scuola Fung ha conquistato grande spazio dopo la bolla di Wall Street.
Oggi, anche il presidente dell'Istituto per le relazioni internazionali, Fu Mengzi, dice che “la crisi offre la possibilità di cambiare il modello ‘yi chao, duo qiang', una superpotenza e molte potenze: il nuovo ordine globale emergerà appena seppelliremo il vecchio”. E' l'inizio del duojihua, il multipolarismo secondo Pechino. “L'occidente ha passato anni a interrogarsi sulle reali prospettive della Cina – dice al Foglio un analista di Jamestown Foundation, Bonnie Gasler, specialista di cose asiatiche – Nel frattempo, i cinesi hanno portato avanti un dibattito parallelo per capire come era meglio affrontare i grandi cambiamenti all'orizzonte”. Il presidente Hu, spiega Gasler, tiene in grande considerazione la salute di Washington quando si tratta di prendere decisioni che riguardano la politica estera. Negli anni Novanta, il Partito comunista ha evitato ogni confronto con gli Stati Uniti perché riteneva che la Casa Bianca avesse il pieno controllo del sistema. Se la percezione muta, cambia anche l'atteggiamento nei confronti del rivale. Anche per questo il direttore di People's Daily non si aspetta grandi cose dalla visita di Obama.
Quali scelte cinesi possono modificare il ruolo degli Stati Uniti sulla scena internazionale? Al primo posto c'è la lotta al terrorismo. Dopo il viaggio in Asia, il presidente americano dovrebbe dare il via libera ai rinforzi in Afghanistan, un surge da trentamila uomini per combattere i guerriglieri talebani e la rete di al Qaida. Obama cerca il sostegno di Hu dall'inizio dell'anno: vuole aiuti umanitari e squadre di istruttori in grado di addestrare le forze afghane, studia un modo per garantirsi la collaborazione leale del Pakistan, un alleato della Cina decisivo per le sorti della guerra. Hu ha sempre evitato di essere coinvolto nella missione, ma negli ultimi tempi ha concesso segnali di apertura. Se diventi una superpotenza, devi anche assumerti certe responsabilità, anche perché l'estremismo islamico minaccia la democrazia in occidente quanto il regime comunista in Cina.
Il grosso dell'esercito ha passato l'ultima estate nella provincia di Xinjang, teatro di scontri fra i cinesi di etnia han e la minoranza musulmana degli uiguri. Le violenze sono andate avanti per giorni e il governo è stato costretto ad assumere misure speciali: ha istituito lo stato di emergenza e ha rimosso alcuni governatori della regione. Le squadre antiterrorismo della polizia avevano già sgominato alcune cellule di integralisti nel 2008. Secondo le autorità, erano pronti a colpire durante i Giochi olimpici. Un team diplomatico guidato dal consigliere di Obama per l'Af-Pak, Richard Holbrooke, è arrivato in Cina una settimana prima del presidente per ottenere qualcosa che assomigliasse a una possibile collaborazione fra i due eserciti. Holbrooke ha lasciato Pechino nelle ultime ore ed è volato a Mosca, nel clan di Obama non c'è grande ottimismo: i cinesi potrebbero aumentare gli aiuti economici e gli investimenti in Afghanistan, ma pochi pensano che Hu accetterà di mandare uomini armati in pattuglia per le strade di Kabul. Tuttavia, il leader cinese sa benissimo che la sconfitta degli Stati Uniti avrebbe conseguenze pericolose anche sul futuro del suo paese.
La seconda incognita riguarda l'economia. Mercoledì, la Banca centrale cinese ha offerto il proprio sostegno al piano per rafforzare lo yuan, un annuncio che ha provocato un nuovo crollo del dollaro. “La nostra politica monetaria terrà in grande considerazione i movimenti delle grandi valute internazionali”, dice una nota del governo. A Pechino, a Mosca e Nuova Delhi sono sempre più preoccupati per l'andamento del biglietto verde. Quando la moneta americana va giù, anche le riserve di stato perdono valore. Alcuni paesi hanno cominciato a convertire una parte dei loro depositi in oro e qualcuno pensa che sia arrivato il momento di sostituire il dollaro. Come la Russia, che ha proposto ai paesi dell'Asia centrale di adottare il rublo e un paniere di valute dei paesi del Golfo. Il governo cinese è il più grande creditore degli Stati Uniti, ma Hu sa che Obama non può fare grandi promesse in questo momento.
Negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione è sopra il dieci per cento, per il presidente americano sarebbe difficile spiegare agli elettori che la ripresa economica non passa per le officine di Detroit ma per quelle di Shanghai. Anche un democratico come Max Baucus, presidente del Financial Committee al Senato, dice che “l'agenda commerciale della Casa Bianca è stata lacunosa negli ultimi dieci mesi e questa assenza sarà palpabile”. I cinesi potrebbero usare questo argomento per evitare lunghe discussioni sulle libertà civili. Nei giorni scorsi, settanta associazioni per i diritti umani hanno chiesto al presidente americano, fresco vincitore di premio Nobel, un intervento deciso sui rapporti fra Pechino e il Tibet, ma molti ritengono che il tema sarà appena menzionato.
Naturalmente, non tutti pensano che gli Stati Uniti siano una potenza in declino e che Barack Obama sia già pronto a scambiare la leadership dell'America con il leader del Partito comunista cinese. Secondo John Pendler, autore di una lunga analisi pubblicata giovedì sulle pagine del Financial Times, sembra di essere tornati al 1987, quando un analista di Yale di nome Paul Kennedy predisse con grande anticipo la fine della supremazia americana.
“Quelli che godono dei problemi in cui versa l'America – sostiene Pendler – dicono che questo grande colosso è schiacciato dai debiti e dai problemi della propria moneta. Dato che il potere militare procede di pari passo con quello economico, questo passaggio è visto come il segnale del declino americano. A rigor di logica, la Cina dovrebbe essere il più grande beneficiario della dèbacle”. Ma la storia insegna spesso che le cose sono più complesse di quanto sembri. Gli Stati Uniti non sono l'unico paese che se la passa male, per questo è prematuro annunciare la fine della superpotenza e affidare a paesi emergenti come la Cina e la Russia un ruolo di comando nel nuovo ordine globale. Nonostante i guai del dollaro, l'America possiede ancora il sistema monetario più elastico del mondo.
Se l'Amministrazione Obama sarà in grado di vincere la sfida fiscale, il paese potrà mettersi alle spalle il declino annunciato dagli analisti della scuola Fung. Anche in Cina, molti pensano che l'epoca americana non sia ancora finita. Secondo Liu Jianfei, che dirige l'Istituto di strategia internazionale del Partito comunista, “la crisi economica ha colpito gli Stati Uniti in modo forte, ma avuto ripercussione anche sugli altri paesi. Per questo motivo, gli effetti negativi sulla leadership americana saranno limitati”. E' possibile che lo scenario internazionale cambi aspetto, ma il processo richiederà tempo. Come dimostra il caso dell'Afghanistan, la Cina non è ancora pronta ad assumere le responsabilità di una grande potenza. A Pechino, dice Liu, non hanno una gran fretta di sostituire Washington: “Il paese ha bisogno di più tempo per aprirsi ed esercitare un ruolo di leadership. Questa operazione non può essere compiuta senza l'aiuto di partner economici come gli Usa e l'Europa”.
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