Fini capisca che se vuole “eliminare ciò che divide”, il primo è il Cav.
Berlusconi lascia trapelare, come sempre in modi avventurosi e barocchi, una sua convinzione: vogliono farmi fuori, e l'ingrato Fini è della partita. Non è affatto detto che questo umor nero sia un buon consigliere. Fini non ha convenienza a provocare smottamenti drammatici della legislatura e del Pdl; questo è un fatto, sebbene la storia sia piena di gente che non ha saputo interpretare il proprio interesse in politica.
Il trasversalismo può essere interessante, positivo, a certe condizioni. Suscita ovviamente stupore e qualche volta dispetto il fatto che il presidente della Camera, un leader della destra in servizio permanente effettivo da circa tre decenni, e da quindici anni alleato di Silvio Berlusconi, lavori per contaminare la sua tradizione culturale con quella azionista, laica e di sinistra; ma una piccola minoranza impegnata e non sguaiatamente tifosa crede che, a certe condizioni, un profilo istituzionale magari tiepido e meno creativo di quello del presidente del Consiglio, ma positivamente ordinario, più trattabile e rassicurante, può servire la sempre meno definita e certa “causa comune” leggibile nella coda di cometa del berlusconismo come fenomeno politico e sociale di rottura e innovazione.
C'è un punto però sul quale non si lavora di sfumature, che sono così importanti in una buona idea della politica. Ed è quando Fini, con un lapsus sul quale per primo dovrebbe riflettere, dice che bisogna lasciar cadere tutto ciò che è divisivo e attaccarsi a tutto quel che unisce. Tra le cose divisive, e Fini lo sa, c'è il suo alleato Berlusconi, il nostro Cav., che è da tre lustri, e da molto più come imprenditore della tv commerciale, la testa di Turco contro la quale si esercitano i lanci di palle di bronzo dell'intero spettro del centro sinistra e del partito delle procure. Se Fini lasciasse cadere quel che divide, il tonfo toccherebbe subito al presidente del Consiglio.
Berlusconi lascia trapelare, come sempre in modi avventurosi e barocchi, una sua convinzione: vogliono farmi fuori, e l'ingrato Fini è della partita. Non è affatto detto che questo umor nero sia un buon consigliere. Fini non ha convenienza a provocare smottamenti drammatici della legislatura e del Pdl; questo è un fatto, sebbene la storia sia piena di gente che non ha saputo interpretare il proprio interesse in politica. Un collasso del berlusconismo lascerebbe a Fini uno spazio meschino, banalmente opportunistico, per piccole ricollocazioni, peraltro insicure. Mentre una conversione guidata della destra dal suo status odierno a quello, normalizzato, di una destra istituzionale “normale”, insomma la prospettazione di una ordinata successione fondata sulla ratifica dei successi epocali di Berlusconi, dopo la sconfitta riformatrice del partito delle procure e dei suoi disegni di umiliazione della politica, sarebbe materiale buono per la carriera di un tardo cinquantenne come lui. Ma lo ha capito?
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