Ascesa di un italovalorista del terzo tipo, De Magistris
Se nelle vene avesse avuto sangue prussiano porterebbe un Von, tra nome e cognome. E visto il mestiere che ha fatto fino a poco tempo fa, lo stesso che prima di lui ha fatto il padre, prima del padre il nonno e prima ancora il padre del nonno, ci sarebbe senz'altro da aver qualche brivido nella schiena. Ma siccome è nato a Napoli, che è pur sempre la città del vabbuonismo inteso come insieme di fatalismo e relativismo, un De stempera l'asprezza del cognome.
Se nelle vene avesse avuto sangue prussiano porterebbe un Von, tra nome e cognome. E visto il mestiere che ha fatto fino a poco tempo fa, lo stesso che prima di lui ha fatto il padre, prima del padre il nonno e prima ancora il padre del nonno, ci sarebbe senz'altro da aver qualche brivido nella schiena. Ma siccome è nato a Napoli, che è pur sempre la città del vabbuonismo inteso come insieme di fatalismo e relativismo, un De stempera l'asprezza del cognome. E siccome ha cambiato mestiere, entrando al Parlamento europeo con quattrocentotrentamila e rotte preferenze, secondo solo a Silvio Berlusconi, ed è pure nu' belle guaglione, a vederlo seduto a chiacchierare nel corso del Cenacolo organizzato lunedì sera a Roma, Luigi De Magistris fa davvero una certa, strana impressione. A occhio stona con la grinta belluina del partito che l'ha candidato come indipendente e di cui ha appena preso la tessera. Sembra un italovalorista del terzo tipo, un ex della dura lex che non è animato dallo stesso, sacro furore del vichinskji di Montenero di Bisacce, è l'archetipo di un giustizialismo difendibile, sostenibile e componibile.
Intendiamoci, tosto è tosto nel senso che tiene 'a capa tosta e non cambia mai opinione. Convinto com'è che il berlusconismo stia portando il paese a una deriva autoritaria e a un tripudio di demagogia populista, se ne va in giro a battere la grancassa per questa storia del B day del 5 dicembre, venuta su dalla rete e diventata a suo dire un'ottima occasione per ricordare che l'opposizione si fa in Parlamento, nelle regioni ma anche democraticamente nelle piazze. Ma malgrado tante radicate convinzioni, non sta lì a guardare in tralice, a trattare da lacché prezzolato, da nemico della democrazia chiunque non la pensi come lui.
Direte che ci vuole poco, che basta essere beneducati ma per i tempi che corrono è quasi una rarità. Aggiungete che è pure convinto che il processo debba essere non breve ma rapido, ultrarapido, in modo da ridurre al minimo o da rendere addirittura superflua la custodia cautelare che lo precede; che la diffidenza da ex magistrato è sentitamente bipartisan, che ce l'ha in egual misura con il centrodestra che con il centrosinistra, “certo Silvio Berlusconi è più sfrontato e aggressivo ma almeno è più scoperto, mentre il centrosinistra ha tecniche di neutralizzazione più sofisticate, aggiungete pure che dice di poter vantare un pedigree di solida grana garantista, con arresti e intercettazioni richiesti con il contagocce, ecco un giustizialista che non ti aspetti, di quelli che non si svegliano la notte per far tintinnare le manette, insomma un magistrato che ha fatto qualche inchiesta calda credendo o cercando di fare il più correttamente possibile il suo lavoro. La cosa non gli portò bene, è stato uno dei pochissimi magistrati fatti fuori su mandato politico ma per mano dei suoi sodali, dei membri togati di quel Consiglio superiore della magistratura di cui suggerisce una singolare riforma: anziché arzigogolare, bisognerebbe spezzargli le gambe con una semplice legge ordinaria che introduca un giusto mix tra membri eletti e membri estratti a sorte. Quando lo dice si lascia un po' prendere la mano, ma sostiene che sia questo l'unico modo per piegare le correnti, il vero cancro, il vulnus all'indipendenza della magistratura.
Perché la Costituzione tutela e protegge dalle ingerenze esterne ma non da quelle interne: la corrente insomma sarebbe il tramite perverso che attraverso l'esaltazione, la soddisfazione dell'ambizione individuale, rafforza il gruppo d'appartenenza. Per alcuni aspetti, De Magistris sembra quasi un radicale, d'altronde non nasconde una certa simpatia per molte della battaglie del profeta di Teramo. Cita addirittura quell'“Elogio dei giudici scritto da un avvocato” in cui Piero Calamandrei racconta di aver conosciuto nella sua vita pochi giudici corrotti ma fin troppi malati di agorafobia, più realisti del re, paurosi del vuoto e quindi pronti a introiettare, addirittura prevenire i desiderata del potente di turno. Li vorrebbe così i suoi ex colleghi, indipendenti ed efficienti con molti mezzi a disposizione, ovviamente non più schiavi della carta: il magistrato dell'era digitale deve smetterla di tirar giù foreste per riempire centinaia di faldoni che rendono l'indagine solo più pesante, indigesta per entrambe le parti, per chi la fa e per chi ne è oggetto. Un magistrato che per far eseguire le intercettazioni o mettere a punto sistemi di sicurezza informatica non debba per forza ricorrere a costose consulenze esterne, ma possa contare sulla competenza e la lealtà di pubblici funzionari.
E su un quadro di riferimento chiaro, senza obesità da “panpenalismo”. La chiama proprio così questa smania di trovare una sanzione penale per ogni tipo di reato, pur difendendo il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale perché questo vuole la legge anche in casi disperati come i soldati caduti in Iraq o in Afghanistan, un dossier su cui nessun magistrato potrà saperne più dei servizi di intelligence e del governo chiamato a rispondere in Parlamento. E poi “non mi fido dei segreti di stato”, aggiunge. Vorrebbe che i codici penale e di procedura penale che sembrano scritti apposta per nascondersi nelle pieghe, negli interstizi siano semplificati, sfoltiti. Non crede che la fedina pulita sia la “conditio sine qua non” per fare politica, in questo non è né micromeghista né grillista: sa che se c'è qualcuno che ha la fedina penale ce l'ha linda e pinta, e pure passata al viacal, è il mafioso del Terzo millennio, come gli affiliati della n' drangheta che oltre ad avere, forse, accumulato più soldi dei cartelli colombiani sono riusciti a penetrare istituzioni e centri di potere, con il vestito della domenica e senza fare rumore: è questo dice De Magistris il modello vincente della criminalità organizzata, anche la mafia siciliana ci si è dovuta piegare dopo il fallimento dello stragismo.
Il nuovo lavoro gli piace. E a discuterne è sorpreso, perché gli avevano detto che andare a Strasburgo e a Bruxelles significava trovarsi in un caravanserraglio, a discutere per ore di astruserie “come gli asparagi e le carote”. Si è reso conto che nulla è più concreto dell'asparago e della carota, che poi dal suo punto di vista sarebbe il flusso dei falsi aiuti e sussidi comunitari, la rete transfrontaliera del malaffare dove pescano a piene mani la Spagna, il Portogallo, i paesi dell'est e ovviamente l'Italia, soprattutto nel sud. Per questo non vuole che questo tipo di reato, che richiede indagini complicate, rientri nel novero di quelli per cui il processo deve essere breve. Ovviamente è molto favorevole al superprocuratore Ue previsto da Eurojustice, ma siccome non vuole ingerenze né degli stati membri né del parlamento, lui e l'Idv vorrebbero che venisse assegnato per concorso, come dire la farsa nella tragedia. Del Parlamento europeo gli piace che conti molto il lavoro, che chi si dà da fare vada avanti nella stima e nella considerazione di tutti, mentre chi non fa un tubo e par di capire che ce ne sono venga abbandonato in un angolo, come un peso morto. E non gli dispiace una certa euforia da liceale in viaggio premio, la libertà di poter parlare e fare lavoro comune addirttura con una parlamentare del Ppe.
Si sente insomma che gli piace sgobbare, che è giovane e si sta facendo le ossa. Ma appena si torna alla politica interna, perché da dovunque si parta sempre lì si torna, si rimette a gigioneggiare, l'occhio si fa un po' acquoso, lo sguardo furbo e non si capisce bene se c'è o ci fa. Embrassons nous folleville! Omaggi di qua, complimeti di là. Passi Di Pietro, il padre che se vuoi ucciderlo è sempre consigliabile farlo in un colpo solo perché non ti lascia la seconda chance. Passi il Pd su cui plana sempre il sospetto di una “gestione consociativa” che forse c'è, forse non c'è, chi lo sa ma comunque è pur sempre il principale partito dell'opposizione e non si sa mai un domani. Passi anche Radio radicale, un'istituzione venerabile. Passi pure pure un po' d'unguento sulle spalle del cittadino B, “lo comprendo è disperato, non è in una situazione facile ma non riuscirà a far sciogliere il Parlamento. Passi infine un'attenzione per ora eccessiva alla spezzata Fini-Casini-Rutelli-Montezemolo-Poteri forti-aridaje che dovrà dissuadere il premier da insani propositi. Passi dunque tutto questo, nessun nemico molto onore. Ma fingere di aver risolto anche il contenzioso con Massimo Donadi ci sembra francamente di scarsa utilità pratica: un po' come il personaggio che nell'“Uomo che fissava” le capre riesce a sollevare ingenti pesi con lo scroto.
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