Nessun ribaltone
Chiamatelo un po' come volete: governo tecnico, ribaltone politico, esecutivo istituzionale o persino grande inciucione. Il fatto è che se davvero nella maggioranza esiste qualcuno disposto a lavorare per sottrarre lo scettro del governo all'attuale presidente del Consiglio, tentando dunque di dar vita a un così detto “governo di salute pubblica”, ecco, bisognerebbe quantomeno verificare se il maggior partito dell'opposizione sia disposto oppure no a seguire questa strada.
Chiamatelo un po' come volete: governo tecnico, ribaltone politico, esecutivo istituzionale o persino grande inciucione. Il fatto è che se davvero nella maggioranza esiste qualcuno disposto a lavorare per sottrarre lo scettro del governo all'attuale presidente del Consiglio, tentando dunque di dar vita a un così detto “governo di salute pubblica”, ecco, bisognerebbe quantomeno verificare se il maggior partito dell'opposizione sia disposto oppure no a seguire questa strada. La domanda è dunque semplice: di fronte alla possibilità di promuovere un governone tecnico il Pd ci starebbe oppure no? La risposta, a sorpresa, sembra essere una (ma con un'eccezione): no. Dice Nicola Latorre, vicecapogruppo al Senato del Pd: “Diciamo che il dato oggettivo è che siamo in presenza di una crisi e che Berlusconi sta perdendo la sua sfida di governo. Ma nella nostra opposizione non c'è alcun retropensiero. Non c'è nessuna voglia di preparare né complotti né tramare per cacciare il premier con architetture governative alternative. Il partito è impegnato a costruire con Bersani un'alternativa di governo e se dovesse essere necessario, e se Napolitano sciogliesse le camere, siamo pronti persino ad andare a votare. Ma in questo momento le uniche elezioni che vedo nei prossimi mesi sono quelle regionali perché i fatti – vedi le parole di Bossi – stanno dimostrando che una maggioranza che metta in minoranza Berlusconi è pura fantapolitica”.
Inciuci? Ribaltoni? Governi tecnici? Nel Pd il senatore Latorre non sembra essere isolato. Prendete il pensiero di Walter Verini, deputato del Pd e già capo della segreteria di Walter Veltroni. “Io penso che c'è una cosa che va chiarita: bisogna rispettare la volontà degli elettori. Se a Berlusconi è stato dato il mandato di governare è giusto che governi. Ma se la sua maggioranza non regge è opportuno che siano gli elettori a trovarne un'altra. Il governo tecnico dunque non è una prospettiva auspicabile e dall'altra parte andare a votare oggi sarebbe come voler far pagare uno scotto troppo pesante al paese. L'ideale sarebbe tentare di non buttare questa legislatura dalla finestra e provare a fare insieme con una destra più matura, e non egoista come questa, le riforme che servono. In un clima di scontro, andare alle urne credo che non se lo auguri nessuno”. Nel Pd qualcuno che un governo tecnico non lo esclude a priori però c'è. “Non è un'ipotesi da escludere – dice il vicesegretario del Pd Enrico Letta – ma non è ancora un ragionamento maturo perché molto dipende da come avviene la rottura nella maggioranza. Che sia chiara una cosa però: il Pd non ha paura delle elezioni”. “I governi tecnici – dice il senatore Giorgio Tonini – sono una sconfitta della politica. E' vero: credo ci sia qualcuno che stia lavorando in quella prospettiva ma quel qualcuno non è il Pd. Chi scommette su un passaggio di questo genere, su un ribaltone, a mio avviso è il partito di Francesco Rutelli. Non c'è dubbio che maggiori saranno le forze che Rutelli riuscirà ad aggregare e maggiori saranno le possibilità di ribaltare questo governo”.
Le pulsioni scissioniste presenti all'interno del Pd si sono d'un tratto materializzate lunedì sera, quando subito dopo l'elezione dei due capigruppo di Camera e Senato i parlamentari democrat hanno iniziato a contare il numero delle schede bianche. E al Senato non erano poche. “Venticinque persone che non appoggiano un capogruppo – dice Lucio D'Ubaldo, membro della direzione del Pd – è un modo come un altro per affermare che senza un ripensamento strategico il Pd avrà difficoltà a sopravvivere così. Se la logica dominante di Bersani è quella di continuare a scivolare a sinistra io credo che quelle venticinque schede rischiano di trasformarsi presto in senatori che se ne vanno”.
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