Quando lo zoo va in piazza

Marianna Rizzini

Sarà una cosa nuova, il cinque dicembre, dicono gli organizzatori e i sostenitori del No Berlusconi Day, puntando sul fatto che tutto è partito dal Web. E magari fosse (almeno) una cosa nuova, invece di essere una cosa stravecchia già dalle parole d'ordine su Facebook: “Non possiamo rimanere inerti di fronte a un uomo che tiene il paese in ostaggio, non possiamo rimanere inerti di fronte alla spregiudicatezza di un uomo su cui gravano le pesanti ombre di un recente passato legato alla ferocia mafiosa”.

    Sarà una cosa nuova, il cinque dicembre, dicono gli organizzatori e i sostenitori del No Berlusconi Day, puntando sul fatto che tutto è partito dal Web. E magari fosse (almeno) una cosa nuova, invece di essere una cosa stravecchia già dalle parole d'ordine su Facebook: “Non possiamo rimanere inerti di fronte a un uomo che tiene il paese in ostaggio, non possiamo rimanere inerti di fronte alla spregiudicatezza di un uomo su cui gravano le pesanti ombre di un recente passato legato alla ferocia mafiosa”, e giù centinaia di migliaia di consensi simili a quelli raccolti da innumerevoli gruppi internettiani antiCav. – da “Berlusconi non è il mio presidente” a “io mi vergogno di essere rappresentato da Berlusconi”.

    Meno quindici giorni, e già si capisce che fra quindici giorni sarà il solito giorno della solita piazza con la solita parata di facce che issano palloncini al ritmo del tamburo e intanto eruttano cori di “vergogna, vergogna, vergogna” e si schifano e si sdegnano e plaudono a tribuni, comici e frati volanti (da Don Ciotti a Don Gallo, basta che siano indignati, equi e solidali), e a forza di schifarsi e di sdegnarsi si immobilizzano in un unico grido deforme contro il delinquente di turno, evocato dal megafonaggio autogestito in uno zoo di voci arrabbiate. No, no, no, scandalo, indecenza, oltraggio al cittadino, basta, fuori, via, andatevene tutti. No a Berlusconi, no a D'Alema, no ai mafiosi, no alla casta, no alla Rai lottizzata, no alla giustizia minacciata, no alla stampa imbavagliata, sì alla legalità, sì alla Costituzione, sì al buono e giusto che gronda odio per il sempreverde uomo nero e per suoi sempreverdi fiancheggiatori occulti. No alla tv ma sì al rito del giovedì: tutti ad autosobillarsi con Michele Santoro, felici di definirsi, nel frattempo, apartitici e pacifisti (come fa il NoBday su Facebook).

    E' vero che non c'era Facebook ai tempi dei girotondi
    , ma c'era il sito Manipulite.it e c'era il tam tam su Internet e c'era la mail a catena e il gruppo spontaneo e la massa apolitica ma non sempre effettivamente trasversale. Era rete quella dei girotondi com'era rete quella delle manifestazioni no-global, nate e cresciute on line attraverso Indymedia, Attac, Lilliput e persino Pax Cristi. Ed era rete pure quella del popolo della pace, perennemente avvolto – dal 2001 fino a oggi, in qualsiasi occasione di piazza – nella stessa scolorita bandiera arcobaleno che sempre bene si abbina ai cartelli del precario, del magistrato solitario, dello studente arrabbiato, del Cobas esacerbato. Già rete dal basso era e già autoconvocazione appariva (con dietro i partiti, più o meno defilati).

    Noi siamo diversi, dicono i “NoBday” innalzando un “no” anche verso i partiti sul palco, tanto che Antonio Di Pietro è stato costretto a calmare i lettori del suo blog a suon di precisazioni – sull'home page c'è scritto “meno quindici giorni al cinque dicembre”, ma non è la manifestazione di Italia dei valori, ci mancherebbe, figurarsi. E però poi Italia dei valori sotto il palco ci sarà e il suo settore giovani intanto tiene i contatti con quelli del “Nobday” – esattamente come Prci e Pdci, ospiti ospitanti di alcune riunioni preliminari.
    Cinque dicembre, e riecco il tre ottobre 2009 e il dodici febbraio 2009 e il due febbraio 2002: oggi è no a Berlusconi, ieri era no a Berlusconi e sì alla libera stampa, l'altroieri era no a Berlusconi e sì a Oscar Luigi Scalfaro difensore della Costituzione, e sette anni fa era no a Berlusconi-D'Alema e sì a Nanni Moretti, mito dei girotondi tutti. Sempre un gran ribollire di sdegno internettiano era, quando non era pure una gran “festa di protesta”, ché la “festa” è diventata la bella veste della rivoluzione che non c'è. Sarà una festa, dicevano i girotondini del Palavobis nel 2002, sarà una festa, dicono i NoBday, confondendo il carnevale con il corteo, la rivolta con la passeggiata, il comizio con il charity show – e infatti, cosa non nuova, fioccano gli inviti ad artisti e registi e all'immancabile Dario Fo, trait d'union tra lo sdegno di ieri e lo sdegno di oggi.

    Cinque dicembre, e riecco il Pd alle prese con il dilemma “piazza o non piazza”, come il tre ottobre ma con Pier Luigi Bersani al posto di Dario Franceschini. Un Bersani che dice no al cinque dicembre e viene strattonato dai “noCav.” davanti alla libreria Feltrinelli, simbolo di buona lettura e pronta reazione democratica. Fu davanti a una Feltrinelli di Roma, infatti, che nel 2006 si riunì il manipolo dei convocati dal sito “sonouncoglione.com”. Si voleva reagire al Cav. che offendeva la sinistra, si disse, ma si finì per fare colore e basta – e meno male che quest'anno l'analoga iniziativa “siamo tutti farabutti” ha avuto miglior stampa, pubblicizzata a tutto spiano da Repubblica.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.