Salvate la buvette

Stefano Di Michele

Se Montecitorio è (diciamo così) la sede della democrazia, la buvette di Montecitorio è (di sicuro così) la sede del supplì. Pertanto, nel suo piccolo (più o meno, una palla da tennis), il supplì è parte integrante della nostra democrazia. Ora un ministro (democristiano) vorrebbe espellerlo dal contesto democratico istituzionale, dopo onorato servizio tanto tra gli eletti della prima quanto alla seconda Repubblica.

    Se Montecitorio è (diciamo così) la sede della democrazia, la buvette di Montecitorio è (di sicuro così) la sede del supplì. Pertanto, nel suo piccolo (più o meno, una palla da tennis), il supplì è parte integrante della nostra democrazia. Ora un ministro (democristiano) vorrebbe espellerlo dal contesto democratico istituzionale, dopo onorato servizio tanto tra gli eletti della prima quanto alla seconda Repubblica, e con il concorso delle crocchette di patate reggerebbe benissimo pure la terza, con o senza federalismo fiscale, purché ci sia la padella per la frittura. Urge dunque girotondo attorno al Palazzo: l'attacco è ormai all'autonomia della magistratura come alla pratica dei pizzettari.

    La pensata è venuta a Gianfranco Rotondi,
    ministro per l'Attuazione del programma di governo (con questi chiari di luna governativi, la cosa che al massimo potrà programmare saranno le sue giornate), il quale ha proposto la chiusura della buvette, “costa troppo e fa ingrassare i parlamentari” – nemmeno a quelli di Annozero era venuto in mente d'imputare le maniglie dell'amore dell'onorevole a un disdicevole ingozzamento di supplì. Dicasi qui supplì per intendere tutti gli altri beni commestibili presso la stessa buvette così poco responsabilmente ammassati, dal tramezzino al melone, dalla mozzarella in carrozza al bignè, dalla sfogliatella alla pizzetta. Che poi, non sono solo le calorie in eccesso (l'eletto va in Aula, con l'abbiocco in corso, e rischia di votare qualche cazzata) o i 1800 caffè quotidiani (l'eletto va in aula, adrenalinico, e finisce come sopra): la buvette che Rotondi vorrebbe cancellare dal cuore delle istituzioni è luogo simbolo, sacrario di tutta un'epica politica e giornalistica (l'onorevole col camparino in mano ha una loquacità che non dipende solo dal pur scarso tasso alcolico).

    Lì, in quel salone di legni antichi e vetrate colorate, è passata la storia repubblicana, oltre a un eccesso di colesterolo: Forlani ha rammentato un incontro con Togliatti e Secchia, al bancone anni fa Fini si congratulava con Luxuria per la scelta di un paio di orecchini, e nei giorni gloriosi fece epoca quel vecchio giornalista che tastava i supplì (e ci risiamo) uno a uno per saggiarne la consistenza – e perciò tutti attenti a evitare quelli artigliati dalla libera stampa. Fu luogo si smercio e di furbizie, la nobile buvette – magari si mangiavano tre supplì e se ne pagava uno. Interi vassoi andavano persi tra il deglutimento e la cassa.

    Il compagno presidente Bertinotti decise di interrompere la pratica da socialismo del buffet per una netta virata verso il capitale: prima si fa lo scontrino poi si magna, come al bar del Tufello. Onorevoli e giornalisti si adattarono. Mirabilmente, calarono i consumi e salirono gli incassi. Nei giorni della presidenza Violante fu disposto, causa eccessivo affollamento, di chiudere la buvette ai cronisti all'ora di pranzo durante la discussione della Finanziaria. Il Polo insorse, davanti alla porta invalicabile il Cav. offrì il petto quale Mameli in difesa del libero supplì in libero stato: “Vedete che ho ragione quando parlo di rischi di regime?”. Con un prete sottomano, una volta Scalfaro la fece pure benedire. E dove è caduta l'acqua benedetta, può un democristiano interdire adesso quella minerale?