Berlusconi parla di centralismo democratico (perché Fini intenda)

Salvatore Merlo

Gianfranco Fini chiede democrazia e dibattito nel Pdl? Benissimo, ecco che Silvio Berlusconi lo accontenta e gli apparecchia il centralismo democratico. “Ma postmoderno”, precisa Gaetano Quagliariello dopo aver pensato a un termine che definisca il progressivo sviluppo degli organismi di democrazia che la costruzione berlusconiana sta attivando in queste settimane. Ma che intendono i berlusconiani quando ripescano il centralismo democratico?

    Gianfranco Fini chiede democrazia e dibattito nel Pdl? Benissimo, ecco che Silvio Berlusconi lo accontenta e gli apparecchia il centralismo democratico. “Ma postmoderno”, precisa Gaetano Quagliariello dopo aver pensato a un termine che definisca il progressivo sviluppo degli organismi di democrazia che la costruzione berlusconiana sta attivando in queste settimane. “L'ufficio di presidenza si è già riunito 5 volte, molto di più di quanto non si fosse riunito nei quindici anni in cui è esistita Forza Italia”. La sesta volta sarà oggi, quando il Cav., oltre a risolvere alcune questioni che riguardano la giustizia, avvierà anche il tesseramento (e questa è una richiesta finiana – pare – accettata).

    Ma che intendono i berlusconiani quando ripescano il centralismo democratico? Si tratta di un'idea che ha promosso anche Denis Verdini. Dismessi per un attimo i panni del diplomatico dai pensieri raramente spettinati, il coordinatore nazionale ha spiegato che il Pdl non sarà certo una caserma, come dice Fini, “ma non può neanche essere un albergo a ore”. Insomma, all'interno di un grande contenitore, sostengono i colonnelli berlusconiani, è fisiologico che ci siano posizioni divergenti ma poi è anche necessario contarsi e soprattuto è opportuno che chi finisce in minoranza lo accetti e si adegui alla linea.

    Laicità, immigrazione, diritti civili, “se ne discute all'interno delle strutture preposte dal partito. Ci si conta e si decide”, dice Quagliariello. Non è forse quello che ha chiesto anche il presidente della Camera? “Direi di sì. E' impensabile che in un partito-coalizione come il Pdl si possa essere sempre uniti e d'accordo. Per questo c'è bisogno di un ruolo direttivo attivo”, insiste il vicecapogruppo berlusconiano, che martedì ha esercitato – “con bonomia e gentilezza”, precisa – questo “ruolo attivo” spiegando al senatore Salvo Fleres che sarebbe stato meglio parlarne, prima di tenere una conferenza stampa con la quale presentare una legge del tutto autonoma dal gruppo parlamentare del Pdl sui diritti delle coppie di fatto. Conferenza stampa che non si è difatti mai tenuta. “Gli ho detto che lui e la senatrice Germontani rischiavano un'operazione velleitaria”.

    Poco importa che l'espressione “centralismo democratico” suoni un po' come un reperto di archeologia industriale della politica, o che nei fatti questa meccanica, all'interno del Pdl, non sempre funzioni. Un esempio? L'affare Tremonti, con gli annessi contrasti interni al partito, era stato risolto all'interno di un ufficio di presidenza che al ministro dell'Economia affiancava una specie di cabina di regia capace di accontentare sia la fronda di ministri e gruppi parlamentari sia l'ambizione autonomista di Tremonti. Un successo del centralismo democratico, o quasi, cioè fino alla scossa antitremontiana scatenata da Renato Brunetta con un'intervista al Corsera e poi ripetuta e amplificata ancora ieri (“Tremonti non è un economista”).

    Quagliariello, che prima di diventare il capo degli ex di Forza Italia al Senato è stato soprattutto uno studioso del sistema politico francese, offre un punto di vista differente sul caso Tremonti-Brunetta. “I francesi distinguono tra mot e parole – dice – Dove ‘mot' è l'espressione leggera, mentre soltanto la ‘parole' ha sostanza e peso. Dobbiamo distinguere tra il chiacchiericcio che dura lo spazio di una giornata e le decisioni politiche destinate a rimanere”. Come dire, la ricomposizione tra il Pdl e Tremonti, stabilita dall'ufficio di presidenza, è cosa duratura mentre le polemiche non lo sono. E dunque il centralismo democratico funzionerà.

    Ma come si applica il centralismo democratico nell'era di Internet, come lo si può adattare, per esempio, alla fronda finiana che si avvale del Secolo d'Italia e delle provocazioni del sito della fondazione FareFuturo? Il dibattito non può essere confinato nell'ufficio di presidenza o nella direzione nazionale. “I think tank dovrebbero rappresentare la complessità di un partito e non diventare il megafono di una singola personalità. Un po' com'è la Adenauer in Germania, la Faes in Spagna o come sono la Aei e la Brookings all'interno del Partito repubblicano in America. Devono dare idee per alimentare un dibattito che poi si svolge all'interno della politica”. Obiezione del Foglio: è più facile spiegarlo a Fleres e Germontani che non a Fini, che è il cofondatore-azionista del Pdl. Risposta di Quagliariello: “Fini sente di dover svolgere un ruolo di ‘avanguardia'. Io divergo da questa analisi, ma sono disposto a riconoscerla, purché alla fine il meccanismo della conta venga accettato anche da lui. Propendo per una vecchia regola fissata da Gladstone: ‘Tra la propria coscienza e il proprio partito, un gentiluomo sceglie sempre il partito'”

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.