Perché il libro della Palin è un bel modo ruspante per esportare il profumo di frontiera

Stefano Pistolini

Ci sarà il trucco e ci sarà l'inganno, ma questo libro ha tutto il sapore dell'evento memorabile. E molti suoi ingredienti sono perfetti, creano la tensione giusta, un misto di curiosità e aspettativa, pettegolezzo e intuizione d'una possibile, imminente rivelazione. Già la foto di copertina, quel cielo azzurro carico di nuvole ed energia, indispensabile per evocare l'America, come sapeva John Ford.

Leggi Perché tutti stroncano Sarah ma non possono fare a meno di leggerla

    Ci sarà il trucco e ci sarà l'inganno, ma questo libro ha tutto il sapore dell'evento memorabile. E molti suoi ingredienti sono perfetti, creano la tensione giusta, un misto di curiosità e aspettativa, pettegolezzo e intuizione d'una possibile, imminente rivelazione.
    Già la foto di copertina, quel cielo azzurro carico di nuvole ed energia, indispensabile per evocare l'America, come sapeva John Ford. Sarah Palin con la felpa rossa, il trucco splendente, lo sguardo sognante verso l'infinito, il volto inondato di calore, i lineamenti angolosi che espongono con orgoglio il proprio spessore anagrafico, la spilletta patriottica, i capelli sciolti, più lunghi dello standard d'una donna politica di Washington. Già, lo standard nazionale: lo standard, il valore medio e condiviso, è qualcosa di familiare e al tempo stesso di lontano dalla personalità dell'ex-candidata alla vice-presidenza.

    Poi c'è quel titolo del libro, un modo di dire
    che, come ha esclamato David Letterman, nessun americano sa esattamente cosa cavolo significhi, al massimo lo intuisce (tutto risale alla battuta pronunciata da un aiutante di McCain durante gli ultimi giorni di campagna. Tra i due titolari del ticket ormai l'armonia era scomparsa e gli strateghi di McCain osservavano con rabbia come la Palin fosse “going rogue”, andata a ramengo, alla deriva per gli affari suoi, avesse rotto gli ormeggi – anche se un sapiente blog di linguisti della Pennsylvania insiste che grammaticalmente l'espressione non esiste. Non importa: a Sarah piace anche per questo). In ogni caso si apre il libro e la prima cosa che si trova non è una dedica ma la cartina del mondo visto dall'Alaska: una “view from the top” che sintetizza un punto di forza dell'avvento della Palin, ovvero il diversificare la centralità americana, non soggiacere al predominio delle caste washingtoniane, bensì considerare l'opzione di sparigliare il tavolo, cedendo il banco a qualcuno che viene da fuori, che ha un punto d'osservazione diverso, e che può aver mantenuto un'adesione diversa, più fedele, all'intenzione originale della nazione.

    Un'altra pagina e arriva la dedica, e non è un affare di famiglia,
    bensì un appello a quella retorica cui gli americani reagiscono in modo meno sardonico che da noi. S'invocano i Patrioti, in particolare quelli in uniforme, benedetta sia la loro battaglia per la libertà.
    In apertura al primo capitolo – di gran lunga il migliore del libro – sotto il titolo “L'ultima frontiera”, c'è una citazione di Lou Holtz: “Non credo che Dio ci abbia messo sulla terra per essere creature ordinarie”. Holtz è un personaggio interessante, di pura pasta dell'America profonda. E' stato per decenni uno dei più famosi allenatori di football a livello universitario, laddove la disciplina sportiva si fonde con la formazione dei caratteri. In pensione s'è trasformato in un conferenziere motivazionale d'orbita fondamentalista, amato in quei larghi lembi del paese dove s'intravede il punto di contatto tra l'orgoglioso ardire d'un vero spirito sportivo e la gioiosa disciplina che deve ordinare una vita etica, nel nome del Signore. Sono questi i primi, chiari segnali riguardo alle intenzioni del libro, azzeccati nel generare un'atmosfera di solennità.

    Da lì, leggendo, ci si trova proiettati nella disordinata allegria della Fiera di stato dell'Alaska, dove tra zucchero filato, artigiani esquimesi e produttori di vino di bacche, la famiglia Palin incede compatta, le ragazze coi loro turbolenti amichetti, il piccolo Trig (l'ultimo nato, affetto da sindrome di Down) al collo della mamma governatrice, gli ammiratori a fermarla a ogni passo, per un saluto o per qualche garbata tirata d'orecchi (“La benzina costa troppo, Sarah! Quando si ricomincia a pompare il nostro petrolio?”). E' quel pomeriggio che al cellulare della Palin arriva la chiamata che le cambia la vita, e che in futuro potrebbe influenzare la storia del paese. McCain e i suoi la vogliono nel ticket per la corsa repubblicana alla Casa Bianca 2008.  Ciò che è accaduto dopo è cosa nota, comprese le dimissioni a sorpresa con le quali la Palin ha chiuso il capitolo-Alaska della sua carriera, per aprirne un altro il cui titolo è ancora in sospeso. Quel che è certo è che quattro mesi dopo quelle dimissioni che le guadagnarono la brutta qualifica di “quitter” – una che molla, lascia il lavoro a metà, abbandona gli impegni presi – esce questo libro dall'apparente intenzione autobiografica, in largo anticipo con gli annunci editoriali che lo volevano negli scaffali nel 2010.

    Una fretta che è un fattore importante nell'interpretazione dei fatti
    (al di là, è naturale, del tentativo d'intercettare il mercato di Natale). Sarah, una volta libera dagli impegni di stato, ha rigettato il consiglio che gli addetti ai lavori le avevano recapitato (“Vai a studiare. Procurati dei consulenti coi fiocchi e dedica i prossimi mesi ad allestire una competenza credibile sui grandi temi, che ti renda immune da figuracce come quelle della campagna elettorale, a cominciare dalla famigerata intervista con Katie Couric, quella che convinse l'America della tua inadeguatezza”). Lei invece si butta a corpo morto nell'impresa editoriale, lubrificata da un sontuoso anticipo da circa 1,5 milioni di dollari a cui, alla consegna e all'uscita del libro, si aggiungeranno altri due cheques, entrambi dello stesso importo.

    Per sostenerla nella stesura, la scelta cade su un'altra signora,
    Lynn Vincent, professionista del biografismo d'impronta conservatrice, con all'attivo un solido best seller (la storia dell'amicizia tra un miliardario texano e un homeless nero) e inchieste per conto di World, settimanale d'informazione religiosa di stampo fondamentalista. La coppia lavora duro: per un mese la Palin si trasferisce a San Diego dalla Vincent, trascinandosi la famiglia, per poi lasciare alla ghostwriter il compito di allestire i ritmi e lo storyboard dell'opera, una volta chiariti gli intenti. Che sono fondamentalmente tre: il primo è ritrarre in modo generoso, appassionato, sottilmente eroico, la hockey mom che ha retto bene sotto la luce dei riflettori. Perciò la sua America ruspante ed energetica della frontiera, la sua visione pragmatica, schematica e illuminata da riferimenti sacri, la sua famiglia caotica, vitale, in costante divenire e traversata da brividi emotivi – vuoi che si tratti del sex appeal casereccio del suo Todd, vuoi che si raccontino le peripezie dei ragazzi. Questa sezione del libro è la sua arma segreta: milioni di americani la considereranno un autoritratto, vero o presunto. Ma c'è intensità e c'è un'intuizione modernissima: ritrarsi, come donna, come madre e come americana, in una chiave di frugalità che intercetta quello che dev'essere il senso d'una possibile rinascita americana del dopo crisi.

    In secondo luogo la Palin vuole chiudere i conti col passato
    e nel farlo utilizza la scimitarra e non il fioretto. La sua descrizione della sconfitta è un intreccio di colpe, rivendicazioni, strumentalizzazioni di cui è stata fatta oggetto, nel ruolo del capro espiatorio. Non ce l'ha con gli avversari politici, che nel libro restano sfumati come fantasmi incomprensibili, perfino inconcepibili per la sua percezione di americanità. Ma ce l'ha con coloro che, dopo averla convocata in prima linea, l'hanno lasciata sola, esposta al fuoco amico e nemico – uno per tutti il capostratega di McCain, Steve Schmidt. Una vendetta consumata a freddo, definita “fiction” dai chiamati in causa, comunque capace di lasciare l'impressione d'uno sfogo espresso da chi troppo tardi ha capito la difficoltà della sfida e ha tentato di adeguarsi, senza essere attrezzata a sostenere i giochi esoterici del sottotraccia.

    La terza volontà del libro conduce alla conclusione più ovvia
    : per quanto David Brooks del NY Times s'affanni a definire la Palin “uno scherzo” e a proporre quelle che secondo lui sono credibili opzioni repubblicane per il 2012 – a cominciare dal senatore John Thune del South Dakota – implorando l'America di non cadere nella seduzione populista (già, ma anche emotiva: com'è accaduto dall'altro lato della staccionata nel 2008) della ragazza che spara ai cervi, queste pagine sono il pronunciamento d'una candidatura presidenziale, ripercorrendo il metodo Obama del 2006, che proprio dalla presentazione di una piattaforma programmatica in forma editoriale diede fuoco alle polveri della escalation.

    Così mentre i numeri di “Going Rogue” assumono formato pirotecnico (700 mila copie vendute nella prima settimana), mentre i media s'incolonnano al seguito del pullman a bordo del quale Sarah batte la provincia (con preferenza agli stati elettoralmente conquistabili), colonizzandola al suo verbo massimalista, sanguigno, soluzionista, mentre lei rende omaggio in Carolina del nord al grande vecchio dell'America evangelica Billy Graham e ne riceve una benedizione che somiglia a un'investitura, mentre i liberal provano – con spocchia, livore e risultati dubitabili – a smontare il fenomeno ridicolizzandolo, quando dovrebbero provare a destrutturarlo sistematicamente, Sarah già muove i primi passi di una lunghissima rincorsa, pensata per convincere l'America di avere bisogno di lei.

    Le tappe essenziali saranno il ruolo che saprà giocare nel voto di medio termine, e poi le risultanze dell'Amministrazione-Obama sulle questioni primarie, ma anche la libertà di Palin d'essere oggi una donna senza obblighi politici, a bordo di un autobus con una truppa di familiari squinternati, hot dog da mezzo metro, musica country e un paio di letture quotidiane della Bibbia (“Going Rogue” contiene un'aperta adesione al credo creazionista). Palin potrà sempre dire la sua sulle cose che capitano, diventando il grillo parlante dell'America nel pieno della metamorfosi nazionale. Questo libro è l'apripista di un'operazione tanto ruspante quanto grintosa. Le cui prospettive sono aperte e impossibili da circoscrivere. Come il cielo dell'Alaska. E come quel profumo di frontiera che oggi Sarah, solo lo volesse, potrebbe vendere in boccette, a 9 dollari e 99 cents.


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