Questa sera Genoa-Sampdoria a Marassi
Un derby per padri e figli
C'è sempre derby: non il campo, la vita. Edoardo Garrone ha fatto crescere i suoi bimbi con i Gormiti. Sono troppo grandi? Allora con i puffi o col Canta Tu, è uguale. Fabrizio Preziosi mette in moto la sua macchinetta per arrivare a Pegli e si ferma a fare benzina alla Erg. C'è un incrocio che chiude e schiude Genova: il pallone, il tifo, le famiglie, gli affari, gli stadi, il futuro. Ci sono due mondi, ci sono due squadre. Ci sono due figli: Fabrizio ed Edoardo. Il cognome adesso che senso ha?
C'è sempre derby: non il campo, la vita. Edoardo Garrone ha fatto crescere i suoi bimbi con i Gormiti. Sono troppo grandi? Allora con i puffi o col Canta Tu, è uguale. Fabrizio Preziosi mette in moto la sua macchinetta per arrivare a Pegli e si ferma a fare benzina alla Erg. C'è un incrocio che chiude e schiude Genova: il pallone, il tifo, le famiglie, gli affari, gli stadi, il futuro. Ci sono due mondi, ci sono due squadre. Ci sono due figli: Fabrizio ed Edoardo. Il cognome adesso che senso ha? Quello resta nell'orgoglio dell'appartenenza a una famiglia, dell'eredità affettiva e umana di un padre. Qui ci sono due uomini che si siederanno a pochi metri di distanza. Facce diverse, stili diversi. Genoa e Samp. Il più bel derby d'Italia, ancora una volta.
Arriverà prima Fabrizio, ovvio. Lui ospita, lui e la sua società. Del padre Enrico e però sua più di quanto s'immagini. Ventotto anni, direttore generale. Il mercato, i conti, gli affari, la gestione. Però non è ancora tutto: c'è l'inizio a fare la differenza, il principio di un acquisto fatto per soldi e per un'idea precisa di calcio. “I giornali scrivevano che papà doveva prendere la Sampdoria, una domenica mattina facendo la nostra abituale passeggiata nel boschetto dietro casa gli chiesi cosa ci fosse di vero. ‘Tutte storie', mi rispose e allora io gli dissi che, se proprio pensava di andare a Genova, la squadra che aveva una tifoseria straordinaria era il Genoa. A 16 anni avevo voluto vedere un derby, ero venuto da Como con un amico e trovammo posto solo nella gabbia della Sud. Ma i tifosi che sentivamo cantare erano quelli della nord e sono rimasto stregato dalle loro coreografie”.
Questa sera ci saranno: a sinistra del vostro televisore: blu, rosso, un po' di bianco, un po' di giallo. Che cosa? Boh. Coreografia, la parola basta per tutti perché tutto è relativo a quello che fanno gli altri, di fronte. Fabrizio guarderà: forse lui lo sa che cosa farà la sud, forse no. Tra i tifosi ha qualche amico. Si vede in un video che gira su YouTube e mostra la presentazione della squadra nel ritiro estivo dell'anno scorso. A un certo punto lui prende la parola, un po' intimidito e un po' inorgoglito. Col pizzetto a mosca sotto le labbra: magro, mingherlino, sicuro. La felpa del Genoa addosso, la maglia in mano. Alza l'audio: “Non credete al tormentone dell'Europa. Credete nel nostro lavoro e nel nostro impegno”. Sotto il palco urlano “Scudetto”. L'applauso, l'urlo, l'incitamento: Fabrizio ha la stessa età dei calciatori, sembra uno di loro, con la stessa faccia del padre Enrico. Si parlano: lui a Genova, il papà in Brianza a seguire i milioni da fare con i Gormiti in tutto il mondo. Che si fa? Chi si compra? Il mister? I ragazzi? Lo stadio? Fabrizio gestisce tutto: sette giorni su sette, ha detto a Gessi Adamoli qualche mese fa. Vive ad Arenzano, così è comodo per arrivare a Pegli, a Villa Rostan, nella residenza cinquecentesca che il Genoa ha come sede: “Solo il lunedì mi prendo due ore in più la mattina. Arrivo alle 11, anziché alle 9. La sera non stacco prima delle 21 e vado sempre a cena con qualcuno del Genoa: il mister Gasperini o Capozucca o Abagnara, il segretario, o Donatelli, il responsabile del settore giovanile. Anche a tavola si continua a parlare di lavoro, ma lo si fa in maniera molto più rilassata. Non sono un accentratore, do a tutti la possibilità di portare avanti le proprie idee. Se uno non è coinvolto, viene qui timbra il cartellino e aspetta che arrivino le 18 per scappare via”.
Ha cominciato a lavorare da ragazzino, Fabrizio. Il percorso del figlio di un industriale che si attrezza per prendere in mano l'azienda di famiglia. Studiava, però. L'Università a Milano, Economia Aziendale. “Ho capito presto che avrei perso solo del tempo, non ha senso imbottirsi di teoria, servirebbero periodi di stage dove si fa pratica e si comincia a capire il lavoro che uno andrà a fare dopo che si è laureato. Ne ho parlato con mio padre. Lui è concreto come nessun altro: ‘Vieni in azienda, impari in 5 mesi quello che ti avrebbero insegnato in 5 anni'. Ho fatto il commesso, il magazziniere, poi sono diventato manager d' area di sette-otto Toys Centre della Lombardia. Quando ho smesso ero direttore marketing, ma l'esperienza che ricordo con maggiore soddisfazione sono i tre anni all'Ufficio Acquisti. Giravo il mondo alla ricerca di giochi ai quali dare il marchio Preziosi. E' un po' quello che faccio adesso, solo che dovevo scoprire giocattoli da immettere sul mercato italiano ed europeo, mentre adesso vado a cercare i calciatori”. Sudamerica. Fabrizio prende un volo per Buenos Aires: prova a controllare i timbri sul passaporto e vedrai quanti viaggi in Argentina trovi. Così ha scovato Palacio, così ha allacciato i rapporti coi club e soprattutto con i discendenti dei genovesi che crearono il Boca Juniors. Fabrizio viaggia. Fabrizio torna. In sede è roba sua anche la stanza dei video: i calciatori vengono filmati e poi in gruppo lo staff tecnico e dirigenziale li osserva. Poi si vanno a rivedere: o lui, oppure gli osservatori. Preziosino poi tratta e chiude. A 28 anni ha già imparato come si gestisce una trattativa: prendi, molla, convinci, lascia.
Tutti, a Genova ricordano l'affare Milito. Il ritorno di Diego, arrivato all'ultimo secondo dell'ultimo minuto del mercato di due stagioni fa: “Ho cominciato a sentirlo con una certa assiduità telefonandogli e mandando sms. Speravo di riuscire a riaccendere una fiammella, anche se sapevo che su di lui c'erano tante grandi squadre italiane ed europee. Alla fine non l'hanno preso e questo resta un mistero. Poi è arrivato il 1° settembre: è stata una giornata incredibile, emozionante, abbiamo imbastito la trattativa al mattino e l'abbiamo conclusa alla sera proprio in extremis. Il ritorno di Diego è un colpo difficile da dimenticare, per mio padre e per tutti i tifosi”. Sono rimasti amici, almeno così dicono tutti a Genova. Perché si può fare un affare anche vendendo e quella di Milito all'Inter è stata un'operazione conveniente per tutti. Fabrizio lo sa, anche se magari all'inizio può aver fatto fatica a crederlo. Perché come fai a privarti tranquillamente di uno che hai preso a botte di sms e firmando sul gong della fine? Poi non è questione solo di soldi. Lui con i giocatori ci vive: parte in ritiro con loro, completa il ritiro con loro.
Stessa età, stesse passioni: “Non ci vado a cena, anche se per motivi anagrafici potrebbero esserci parecchi interessi comuni. Io devo trattare tutti alla stessa maniera e ci sono dei ruoli che vanno rispettati per evitare che qualcuno possa cercare di approfittarsene. Quando ero bambino era diverso. Avevo 10 anni, papà era presidente del Saronno e io il sabato dormivo in ritiro con la squadra. Un'estate abbiamo ospitato il Genoa per un'amichevole e abbiamo vinto noi. Poi ci sono stati gli anni di Como, ma la grande avventura è iniziata con il Genoa”. Cioè con casa Garrone. Perché Preziosi è venuto da fuori per prendersi qualcosa di molto intimo anche dalle parti della Erg. Provate a chiedere dentro la Edoardo Raffinerie Garrone quanti genoani ci sono. Poi entrate in questa famiglia e fate lo stesso. Rossoblù ovunque, tranne che per Riccardo ed Edoardo, padre e figlio, presidente della Samp e presidente della Erg.
Gli altri, i Mondini, che hanno pure quote della squadra doriana sono storicamente genoani, mentre Alessandro, altro figlio di Riccardo e fratello di Edoardo, è sostanzialmente disinteressato nei confronti del pallone. Non va allo stadio, non s'appassiona per Cassano, non filosofeggia con Del Neri. Forse è la parte della famiglia che involontariamente pensa che avesse ragione il nonno: “Mai investire in giornali e squadre di calcio”. Invece il padre e il fratello non hanno resistito: uno s'è preso la Samp, l'altro è entrato nel Corriere Mercantile. Oggi però è pallone. Oggi è pre-derby. Allora Edoardo si siederà in un posto abbastanza vicino a Fabrizio. Lui che allo stadio nonostante la passione non ci è andato per molto tempo. La Samp era già proprietà di famiglia, ma aveva perso la voglia. Qualcuno disse: “E' colpa di Novellino”. Edoardo non ha mai confermato. Per stile e per onestà intellettuale. Glielo chiesero d'estate: “E' vero, sono venuto poco allo stadio anche perché ero spesso fuori Genova, ma tornerò più volentieri il prossimo anno. Diciamo che mi piacciono le novità, mi incuriosiscono. Il prossimo campionato avrò anche più stimoli, con un modulo nuovo e giocatori nuovi. Non ci si annoierà. Andrò anche a Moena per conoscere un po' il nuovo allenatore”. Era Walter Mazzarri. Mai un nome, però. Mai una cosa scorretta.
Garrone non è tipo da creare tensioni. E' il politico di famiglia. Presidente dei giovani di Confindustria per qualche anno, impegnato nell'Assindustria ligure da molto tempo. Su di lui c'è sempre stata una gara tra partiti e amici: lo volevano sindaco, specie quelli di centrosinistra. Non ha mai ceduto, ma non s'è mai neanche tirato indietro di colpo. Perché Garrone a Genova è un cognome che pesa ed Edoardo lo indossa con la voglia di non deludere le aspettative. Parole, allora. Misurate, sempre. Come con Paolo Madron in un'intervista doppia, lui e il padre, sul Sole 24 Ore. “Voi passate per petrolieri di sinistra”, fece notare Madron. Riccardo si lasciò sfuggire una fuga in avanti: “Nella mia storia raramente ho avuto rapporti con i politici, tranne che nello scandalo del '74, quando tutti i petrolieri finanziavano l'allora pentapartito. Certo non siamo di centrodestra”. “Ma nemmeno di sinistra”, fu l'intervento immediato e in scivolata del figlio Edoardo. “Abbiamo sempre cercato di avere rapporti con le amministrazioni competenti. Io sono un liberale”. Diplomazia, appunto. Perché le parole sono la vita ed Edoardo che passa metà del suo tempo invischiato nelle vicende confindustriali lo sa. A quasi 50 anni ha smesso di essere un figlio per essere molto padre. Anche qui c'è la Samp: il suo Nicolò gioca nelle giovanili doriane. Classe '98, centrocampista, una via di mezzo tra Poli e Palombo. Arriverà, dicono. Arriverà e il padre non deve aspettare altro. Per una sfida in famiglia e per l'orgoglio di tifare per l'altra metà di Genova, per quella vecchia storia della barba. Perché a un certo punto lo videro con una peluria folta sul volto. Era l'eredità di una scommessa con il cugino genoano. La Samp non vinse: “Da allora mi e ci ha portato fortuna e lui non la tagliò più”.
E' questo il derby perenne, è questo quello che succede domani sera. Garroncino, come lo chiama ancora qualcuno è il pezzo di famiglia che soffre di più. “Non è una partita come le altre, è inutile nasconderlo. Non ho alcun amuleto, lo vedo soffrendo proprio perché è una partita particolare e anche questa volta starò zitto, come sempre, con le dita incrociate”, dice ogni volta che qualcuno gli fa una domanda sulla partita contro il Genoa. Ospite, stavolta. Ospite con suo padre in uno stadio che la famiglia Garrone abbandonerebbe anche subito per andare in un altro impianto più nuovo e più comodo. Però è questo, oggi. E' questo domani. Loro guarderanno a destra per una volta: la Sud. Lì guarderà anche Cassano, forse il motivo per cui Edoardo non ha mai più perso una partita del dopo Novellino: “Antonio entusiasma tutti. Si sta comportando benissimo, non solo in campo ma anche fuori. Si trova benissimo a Genova e benissimo nella Sampdoria. La sua classe, le sue capacità di calciatore sono innegabili e lo si vede anche per come gira la squadra. Nel calcio, i grandi talenti hanno sempre affascinato chiunque. Anche per noi, per me personalmente, andare allo stadio o accendere la televisione e vedere le giocate di Cassano valgono da sole il biglietto. E quindi sono entusiasta, come la nostra famiglia e come tutti i tifosi”. S'è anche letto il libro di Antonio. Diplomatico anche qui. Bravissimo a schivare l'incognita di una domanda o un'insinuazione: “Si legge velocemente, è divertente, quando l'ho letto io? Una mattina, mi ero svegliato alle 4 e mezzo per andare a prendere l'aereo per Roma. L'ho incominciato in volo, l' ho finito in taxi, nel traffico. E' servito a darmi il buon umore e non era una giornata incominciata bene. Va letto, dall'inizio alla fine, come opera di Cassano che dichiara di volere essere a vita Peter Pan. E' come un bel fumetto”. Roba da bimbi cresciuti.
Edoardo non è così. Non questa settimana che si gioca questa partita. Perché qui si vince o si perde e non è la stessa cosa. Domenica prossima che c'è? Alla vigilia del derby non si vede oltre il Ferraris. L'Europa? Gli acquisti? La Borsa? Il petrolio? Novanta minuti sono una vita. Venti metri di distanza per separare una città, due persone, due figli. Niente Gormiti neanche per un nipotino, niente pieno alla Erg. Domenica si ricomincia un'altra storia, durerà per quattro mesi e mezzo. Fino all'11 aprile, al ritorno, Sampdoria-Genoa. Non cambieranno le curve, non cambieranno i posti. E' solo un ciclo in fondo, questi sono cresciuti tra fabbriche e raffinerie, lo sapranno. Invece no. Qui non c'è logica, non c'è ragione. C'è una partita, forse l'unica.
Il Foglio sportivo - in corpore sano