Il decalogo del partito dell'elefante
I repubblicani americani stanno pensando a un test di purezza ideologica per i loro candidati in vista delle elezioni di metà mandato del novembre 2010. Sono dieci punti di ortodossia reaganiana che un gruppo di dirigenti del partito sta cercando di far adottare al Republican National Committee per stabilire chi potrà ottenere finanziamenti, sostegni e aiuti dal Grand Old Party di Washington.
I repubblicani americani stanno pensando a un test di purezza ideologica per i loro candidati in vista delle elezioni di metà mandato del novembre 2010. Sono dieci punti di ortodossia reaganiana che un gruppo di dirigenti del partito sta cercando di far adottare al Republican National Committee per stabilire chi potrà ottenere finanziamenti, sostegni e aiuti dal Grand Old Party di Washington. La “Resolution on Reagan's Unity Principle for Support of Candidates” elenca i dieci irrinunciabili principi conservatori che il candidato modello dovrà seguire, se non vorrà essere scomunicato. La risoluzione sostiene che i repubblicani in disaccordo con tre o più delle dieci posizioni politiche non riceveranno il sostegno del partito, lasciando quindi la libertà di coscienza soltanto su due punti del decalogo.
Il primo punto è l'opposizione al piano di stimolo dell'economia varato da Obama, più l'adesione alla tradizionale filosofia di governo conservatrice fatta di poco intervento pubblico, meno tasse, riduzione di deficit e debito. Netto no, poi, alla riforma obamiana della sanità, con preferenza a soluzioni fondate sul mercato. Il terzo punto è sulla politica energetica, ovvero un altro no al progetto della Casa Bianca di limitare e tassare le emissioni di gas serra. Ce n'è anche per i sindacati: i repubblicani vogliono che i lavoratori possano scegliere i loro rappresentanti con voto segreto. Il quinto principio conservatore è un altro no, questa volta all'amnistia nei confronti dei clandestini, da affiancare a politiche di assimilazione degli immigrati legali nella società americana. I punti sei e sette riguardano la politica estera: vittoria in Iraq e Afghanistan con sostegno all'invio di più truppe e contenimento di Iran e Corea del nord con azioni serie per eliminare le loro minacce nucleari. Le ultime tre posizioni del perfetto conservatore sono la difesa del matrimonio eterosessuale, la protezione della vita delle persone “vulnerabili” attraverso l'opposizione alla riforma sanitaria di Obama che prevede razionamenti delle cure e aiuti pubblici a chi vuole abortire e, infine, il diritto a portare armi. Il decalogo del buon repubblicano sarà discusso al meeting annuale di gennaio e arriva in un momento in cui il mondo conservatore è dilaniato da una “guerra civile” tra le varie anime della Right Nation.
Dopo la bruciante sconfitta di un anno fa contro Obama, i conservatori hanno ritrovato entusiasmo e consensi grazie alla crescente opposizione popolare nei confronti del presidente e delle sue politiche. Obama cala nei sondaggi – secondo Gallup adesso è al 49 per cento di gradimento – mentre le previsioni per le elezioni di metà mandato sono favorevoli ai repubblicani. Venti giorni fa, il Grand Old Party ha strappato ai democratici due governatori, in stati simbolo della vittoria obamiana del 2008 (Virginia) e di lunga tradizione liberal (New Jersey).
I due candidati vincenti hanno un inappuntabile curriculum di destra, ma hanno condotto una campagna elettorale sui temi locali e dell'economia, piuttosto che insistere sulla purezza dei principi conservatori. Al resto ci hanno pensato le scelte impopolari di Obama sul debito pubblico, sugli aiuti ai banchieri e all'industria automobilistica e sulla riforma sanitaria. Dove invece i repubblicani hanno puntato sulla purezza dei valori conservatori è stato un disastro, come nel collegio 23 dello stato di New York, roccaforte repubblicana da oltre cento anni, passata ai democratici dopo una furiosa battaglia interna tra moderati e conservatori vinta dai conservatori, ma bocciata dagli elettori.
I conservatori sono in procinto di un riscatto elettorale che sembrava inimmaginabile qualche mese fa, più grazie all'attuale insoddisfazione per le politiche obamiane che per meriti propri, ma l'unica forza vitale di questo revival è populista, estremista e spaventa gli indipendenti.
Il mondo repubblicano non riesce a trovare leader e idee e programmi capaci di superare la mera opposizione a Obama, lasciando spazio a questa rabbiosa rivolta popolare della middle America non soltanto contro la Casa Bianca ma anche contro l'establishment conservatore di Washington. I candidati moderati sono stati sfidati alle primarie di partito da esponenti conservatori che rischiano di compromettere le chance di vittoria nel 2010. Al centro della sfida c'è la rigida adesione ai principi conservatori, così come statuita nel decalogo presentato al Partito repubblicano: “Il presidente Reagan considerava un amico, non un oppositore, chiunque fosse d'accordo con lui otto volte su dieci”. Oltre si è avversari.
Oggi i leader sono Sarah Palin e i conduttori televisivi e radiofonici come Glenn Beck e Rush Limbaugh, i quali rappresentano una forza vera, reale, da non sottovalutare, come ha scritto anche un super liberal come Frank Rich sul New York Times. Il paradosso dei repubblicani – ben chiaro a John McCain nel corso delle scorse elezioni – è che senza quest'anima populista non c'è mobilitazione e passione, ma se diventa la faccia del partito la sconfitta è quasi certa.
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