Che cosa gira intorno al Cav.
Ha letto di recente un libro su Giolitti, e pure se ne vanta con un procuratore di Pescara. Nemmeno il più sospettoso degli autocrati, o un caudillo assediato dalle ombre, potrebbe perdere il sonno per un congiurato così. Passato indenne tra decenni di inimicizie, e proprio in forza della sua presenza scenica e di una vena di creatività non istituzionale, il grande impolitico non dovrebbe farsi attrarre dai mediocri insufflatori del complotto, dal gorgo delle paranoie fin de régime.
Ha letto di recente un libro su Giolitti, e pure se ne vanta con un procuratore di Pescara. Nemmeno il più sospettoso degli autocrati, o un caudillo assediato dalle ombre, potrebbe perdere il sonno per un congiurato così. Passato indenne tra decenni di inimicizie, e proprio in forza della sua presenza scenica e di una vena di creatività non istituzionale, il grande impolitico non dovrebbe farsi attrarre dai mediocri insufflatori del complotto, dal gorgo delle paranoie fin de régime. Dalla veduta a spanne del suo politburo portatile e collegabile in videoconferenza.
Tutto dovrebbe fare tranne lasciarsi sfuggire sospetti neroniani, “ma è vero che ha incontrato Di Pietro?”, lasciarsi “quotare” per frasi come “o si rimangia tutto o è fuori dal partito, non lo voglio più vedere”. Né soprattutto permettere che i suoi colonnelli di vecchia, nuova e nuovissima cooptazione proseguano ben oltre le ventiquattr'ore con le bestialità politiche: “La telefonata a Ballarò non basta” (Gasparri), “c'è una volontà e un'azione che è diversa dalla considerazione e dalla linea del Popolo della libertà” (Scajola). La linea del Popolo della libertà? Sospettiamo che, quando ne avesse una in materia di dogmatica istituzionale e di gerarchia interna e di espulsioni facili, sarebbe la sua fine. Quella vera.
E in fondo, queste cose Gianfranco Fini le dice evangelicamente dai tetti e da tempo: “Confonde il consenso popolare con una sorta di immunità”. Sarebbe la prova del complotto? Troppe volte a Silvio Berlusconi è stato rimproverato di non avere staff, ma solo una corte. Fatti suoi, finché l'inner circle non diventa il luogo della convergenza oggettiva del delirio collettivo. Il comunicato del comitato di salute pubblica di martedì, diramato dal talebano di complemento Daniele Capezzone, epitome del destino patetico e baro di un libertario finito a fare il becchino della rivoluzione, ha raggiunto punte di grottesco allarmante. La parodia di una purga, ma senza conseguenza pratica, per il reato d'opinione di quattro oggettive cazzate in libertà: “Nell'ultimo ufficio di presidenza del Pdl ci siamo espressi all'unanimità sull'utilizzo dei cosiddetti ‘pentiti', sull'uso politico della giustizia, sul tentativo in atto di ribaltare il risultato della ultime elezioni politiche. Quel documento per tutti noi esprime la linea di fondo del Pdl. Tocca ora al presidente della Camera spiegare il senso delle sue parole e se con quelle ragioni è ancora d'accordo”.
Questo è il vero obbrobrio che si può rimproverare al Pdl e al suo capo. Imperdonabile errore politico, perché culturale e perché di gusto, di stile e di mancanza di leggerezza. Ridotto così il Pdl è veramente non la caserma, ma la parodia della caserma, un tribunale del popolo senza diritto di televoto, o un sinedrio senza dio. Il politburo appiccicato a un anticomunista è la scemenza peggiore che si poteva immaginare. In un partito liberale ancorché di massa, democratico ancorché carismatico, pluralista ancorché personale proprietà di un fantasmagorico Ubu Roi, non si bada ai fuorionda. Non si sta ad occuparsi di complotti, non si fanno processi sommari. Tantomeno al leader di una componente minoritaria che a microfono presunto spento fa battute sullo stato “participio passato del verbo essere”. Quando a Sandro Bondi scappò detto che il presidente “ormai non capiva niente” e bisognava ripetergli le cose, l'offeso rispose a tono e a battuta. Ora sente le voci di dentro, è un gran brutto vedere.
Il Foglio sportivo - in corpore sano