L'analisi di Lodovico Festa
Perché Fini non va colpevolizzato anche se sembra che manovri "sotto le parti"
La manovra impostata da Repubblica sin dall'inizio della legislatura, man mano raccolta da ambienti giudiziari, non è stata infruttuosa: è riuscita a far saltare finora ogni tentativo di stabilizzazione della politica nazionale, a mettere sulla difensiva Berlusconi, a dividere la maggioranza e a determinare un clima dove sono stati possibili sia il “colpo” a Mediaset, in parte assorbito, sul lodo Mondadori, sia l'affossamento del lodo Alfano inferto da una Alta Corte che ha smentito se stessa.
Come scrive Europa di Stefano Menichini, nella “settimana terribile” dell'esproprio via lodo Mondadori, delle “bombe” di Gaspare Spatuzza, della superpiazza forcaiola, probabilmente non succederà niente. Il Sole 24 Ore registra come il consenso per il centrodestra sia forte, è giusta l'analisi di Fedele Confalonieri su un establishment che non ha in serbo sorprese. E solo la povera Unità continua a sperare – con un suo titolo “Gli Usa hanno scelto Fini” – che da Washington arrivi “il colpo” a Silvio Berlusconi.
Comunque anche senza scossone risolutore le vicende di questi giorni non sono insignificanti. La manovra impostata da Repubblica sin dall'inizio della legislatura, man mano raccolta da ambienti giudiziari, non è stata infruttuosa: è riuscita a far saltare finora ogni tentativo di stabilizzazione della politica nazionale, a mettere sulla difensiva Berlusconi, a dividere la maggioranza e a determinare un clima dove sono stati possibili sia il “colpo” a Mediaset, in parte assorbito, sul lodo Mondadori, sia l'affossamento del lodo Alfano inferto da una Alta Corte che ha smentito se stessa. L'ultima trovata Largo Fochetti l'ha avuta rivelando a un mese dall'avvenimento, quando si era trovata una minima tregua tra Palazzo Chigi e presidenza di Montecitorio, frasi “fuori onda”, maleodoranti ma generiche, di Gianfranco Fini in colloquio con Nicola Trifuoggi. Non mancano le responsabilità di Silvio Berlusconi sul come si è evoluta la situazione.
Accompagnando con vitalismo sconsiderato un'azione di ottimo livello del governo ha offerto agli uomini di Ezio Mauro parecchie munizioni per farsi colpire. Intanto non ha messo mano al Pdl così da trasformarlo in un partito compiutamente democratico e organizzato sul territorio. Limiti hanno dimostrato anche osservatori politici, come chi scrive, che non hanno compreso bene la dinamica della campagna d'autunno, sottovalutando le decisioni sul lodo Alfano e non avendo neppure coscienza della partita sul lodo Mondadori. A un certo punto la scarsa capacità di analisi di chi pur apprezzava il governo Berlusconi è stata sostituita dall'irruenza della stampa urlatamente antigolpista, probabilmente indispensabile per spezzare l'offensiva di Largo Fochetti ma non senza pagare rilevanti prezzi nella capacità di articolare la manovra politica.
E' in questo quadro che cresce l'iniziativa di Fini che in una prima fase forse poteva essere giudicata tentativo di arricchire culturalmente e dunque politicamente il centrodestra, ma è divenuta poi operazione più complessa. In realtà, sin dall'inizio mi è sembrato difficile separare la proposta culturale dalla manovra in un politico come Fini: senza dubbio era molto europea l'idea di integrare un'anima laica a quella più attenta alla sensibilità religiosa nel centrodestra italiano anche su questioni controverse come quelle del “fine vita”. Però farlo mentre si tentava di costruire un nuovo rapporto con l'Udc, aveva un'arietta di intrigo che tanti fatti successivi hanno confermato: compreso il fatto che Fini abbia cercato una mediazione con gli uomini di Pier Ferdinando Casini piuttosto che con quelli del suo stesso partito. La stessa impressione me l'ha data l'idea di agitare la questione dell'immigrazione soprattutto per colpire il rapporto tra Pdl e Lega, indebolendo così Giulio Tremonti, che veniva nello stesso momento messo sotto tiro dai fininiani schierati con il partito della “spesa pubblica”. Né – diciamo così – mi ha convinto l'uso delle accuse a orologeria delle procure campane per regolare pubblicamente i conti con Nicola Cosentino. Tutto questo intrecciarsi di grande respiro culturale, manovrette con stile un po' da sicari, qualche reggicodismo delle procure militanti non mi sembra costituire la base opportuna per costruire un nuovo partito più democratico e partecipato di cui pure c'è il massimo bisogno nel centrodestra. Concordo che si è esagerato nel rumore per le ultime dichiarazioni finiane.
Però lo stile del presidente della Camera ricorda sempre più quello di Claudio Martelli nel 1992, che anche lui non diceva cose in sé esorbitanti (per esempio sull'onore da ridare ai socialisti) ma che erano ispirate solo ed esclusivamente dall'anteporre le questioni della propria immagine a quelle dell'affrontare l'asprezza e le urgenze dello scontro politico. Il tutto aggravato in Fini da un inelegante mescolare ruolo istituzionale ad attività da capocorrente: il che non solo non c'entra con Nilde Jotti, che mai avrebbe organizzato una corrente siciliana contro il Pci di allora, ma neppure con Casini che perlomeno usava Marco Follini per evitare di sporcarsi le mani. Naturalmente la politica deve avere una sua autonomia rispetto all'etica, alla psicologia e persino all'estetica, e dunque sarebbe opportuno che il centrodestra – se è ancora possibile – trovasse la forza per uscire da questa fase senza rese dei conti. Ma a occhi chiusi (e senza la possibilità di sciogliere le Camere in caso di nuovi agguati giustizialisti) non si va da nessuna parte. Certo non si supera il vitalismo un po' pre-istituzionale berlusconiano, non si resiste però neanche alle offensive di Repubblica né si rimedia alle manovre “sotto le parti” di Fini.
Il Foglio sportivo - in corpore sano