Nuova vita segreta del cardinal Ruini

Paolo Rodari

Chi conosce bene il cardinale Camillo Ruini dice che tutto il suo pensiero può essere riassunto in quella frase ripetuta l'ultima volta nel marzo del 2007, quando da poco aveva lasciato la guida della Cei e si è messo a lavorare in esclusiva al progetto culturale della chiesa italiana: “Se noi cristiani ci rassegniamo a essere una subcultura, in un mondo che guarda dai tetti in giù, niente potrà salvarci. E' vero che la contestazione contro la chiesa aumenta. Ma è preferibile essere contestati che essere irrilevanti”.

    Chi conosce bene il cardinale Camillo Ruini dice che tutto il suo pensiero può essere riassunto in quella frase ripetuta l'ultima volta nel marzo del 2007, quando da poco aveva lasciato la guida della Cei e si è messo a lavorare in esclusiva al progetto culturale della chiesa italiana: “Se noi cristiani ci rassegniamo a essere una subcultura, in un mondo che guarda dai tetti in giù, niente potrà salvarci. E' vero che la contestazione contro la chiesa aumenta. Ma è preferibile essere contestati che essere irrilevanti”. Una preferenza, quella per una chiesa contestata ma rilevante, alla quale Ruini è fedele da sempre.

    Fin da quel lontano 1991 quando Giovanni Paolo II gli diede le chiavi della Cei promuovendolo contestualmente suo vicario per la città di Roma. Lo fece dopo che Ruini si rese protagonista del Convegno ecclesiale di Loreto. Era il 1985 e Ruini, partendo dalle lacerazioni che investirono la chiesa negli anni Sessanta-Settanta, fece proprio il mandato col quale Giovanni Paolo II – era l'ottobre 1978 – iniziò il proprio ministero: “Non abbiate paura”, disse Wojtyla. “Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! Aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo”. Così il 28 giugno 2008, Ruini spiegò all'Osservatore Romano quanto Wojtyla si aspettava da lui dopo Loreto: “Il Papa era preoccupato per l'Italia” perché “pensava che la chiesa italiana fosse troppo influenzata dall'idea della secolarizzazione, vedendola come un dato irreversibile, al quale la pastorale doveva in qualche modo adeguarsi. Il Papa voleva reagire”.

    Sono passati quasi due anni da quando Ruini ha lasciato la Cei ma la linea della chiesa che conta e sfugge all'irrilevanza  continua ancor'oggi. Il cardinale si occupa di educazione, otto edizioni di un pamphlet polemico, e inaugura domani addirittura un Convegno culturale su Dio: agenda fitta e molto poco riservata. L'idea è sempre la stessa: sbattere in faccia alla società postmoderna quel Dio che la stessa società esilia. Un'idea wojtyliana amata da Ratzinger, se è vero che è stato Benendetto XVI a dire che la priorità della chiesa oggi è quella di “rendere presente Dio”.

    Dal marzo del 2007 Ruini ha traslocato in cima al colle Vaticano. Oltre le mura leonine, vive in un piccolo appartamento all'interno del seminario minore della diocesi. Vive fuori le sacre mura ma non è, e nemmeno si sente, in esilio. Tantomeno in panchina. A 78 anni dedica le sue giornate, assistito dalla dolce e tenace Pierina, a ciò che più ama: studiare – non solo teologia ma anche libri divulgativi di fisica, i supplementi scientifici dei giornali e riviste di motori – e offrire a tutti il risultato delle proprie scoperte attraverso conferenze, lezioni, seminari.

    Non sono in pochi oggi a sostenere che dopo le grandi battaglie portate avanti dalla chiesa negli anni di Ruini – dal referendum sulla fecondazione assistita al Family Day – oggi è restato un vuoto. Del resto, era inevitabile: già nelle scelte dei suoi successori alla Cei e al vicariato di Roma si è capito come l'intenzione della segreteria di Stato vaticana è stata quella di stemperare poteri e influenze avocando a sé le redini del comando. Per quindici anni Ruini è stato come un secondo potere rispetto ai collaboratori del Papa: con il cardinale Angelo Sodano, decano del Sacro Collegio, Ruini si è manteuto in un equilibrio delicato. Talmente delicato che subito dopo la morte di Wojtyla l'equilibrio si ruppe: il 2 aprile del 2005 nessuno chiamò Ruini in tempo perché riuscisse ad arrivare al capezzale del Papa morente. E, poco dopo, fu sempre il Vaticano ad organizzare, a sua insaputa, un sondaggio per sapere chi avrebbero gradito i vescovi come suo successore in sella alla Cei.

    Poi arrivò Bertone. I rapporti migliorarono. Ma non si è conclusa senza cicatrici la battaglia che ha portato Bagnasco alla guida della Cei: Ruini avrebbe voluto Giuseppe Betori. Bertone gli preferiva il francescano Benigno Papa, vescovo di Taranto. Si dovette arrivare a un compromesso. E oggi? Luigi Accattoli, “principe” dei vaticanisti, spiega al Foglio che occorre guardare avanti: “Vedo in prospettiva una stagione feconda e caratterizzata da un doppio movimento: il duo Crociata-Bagnasco che compie un passo indietro rispetto al fronte politico-legislativo sul quale amavano esercitarsi Ruini e Betori. E, insieme, un alleggerimento: un maggiore impegno sul fronte culturale impersonato da Runi nel suo nuovo incarico”.