La Repubblica dei parrucconi
Non sono affatto persuasive, ci spiace, le lezioncine incipriate sulla divisione dei poteri, sulla sovranità esercitata nei limiti e nelle forme previste dalla Costituzione, sul massimo rispetto dovuto agli autorevolissimi organi di garanzia, né risultano convincenti tutte quelle analisi compunte e catastrofiche sul mutamento autoritario della costituzione materiale sotto il populista Berlusconi. Già Craxi, che era il capo del più antico e blasonato partito italiano e un figlio purissimo della nomenclatura parlamentare e democratica, fu chiamato il “cinghialone” perché scuoteva rozzamente le istituzioni.
Non sono affatto persuasive, ci spiace, le lezioncine incipriate sulla divisione dei poteri, sulla sovranità esercitata nei limiti e nelle forme previste dalla Costituzione, sul massimo rispetto dovuto agli autorevolissimi organi di garanzia, né risultano convincenti tutte quelle analisi compunte e catastrofiche sul mutamento autoritario della costituzione materiale sotto il populista Berlusconi. Già Craxi, che era il capo del più antico e blasonato partito italiano e un figlio purissimo della nomenclatura parlamentare e democratica, fu chiamato il “cinghialone” perché scuoteva rozzamente le istituzioni in nome di un forte progetto riformista, perché voleva intervenire democraticamente sulla forma di Stato e sulla forma di governo, e magari eleggere un presidente con il voto popolare diretto, come avviene nella Francia democratica e républicaine o nel cuore imperiale della democrazia occidentale, gli Stati Uniti d'America.
Forattini, che allora era un “sincero democratico”, gli mise gli stivali e la camicia nera di Mussolini; e dunque niente di particolarmente nuovo a leggere oggi, e a leggere con il trasalimento che prende quando si percepiscono assurdità da persone intelligenti, tutta quella paccotiglia di infauste previsioni sulla degenerazione dittatoriale del Cav., che in un accesso di cattivo umore abbastanza giustificato ha strappato il cencio consunto dell'ipocrisia nazionale intorno alle condizioni della lotta politica. Spiace per il Capo dello Stato e per il presidente della Camera, ma stavolta non c'è stile parruccone da rivendicare o da imporre, né una trama delicata di consigli di moderazione da intessere, stavolta c'è da ragionare freddamente intorno alla vera questione, al vero dilemma.
E' accettabile un ennesimo ribaltone? E' da mettere nel conto la possibilità di una maggioranza abbattuta a Palazzo, dopo la vittoria campale nelle urne? Se la risposta è “no”, ed è un sonoro “no” anche a sentire i grandi garanti, bisogna essere conseguenti; bisogna convincere i riluttanti a varare le norme che impediscano lo sfregio sistematico dello stato di diritto, perpetrato attraverso un uso criminale del pentitismo nei processi di mafia, norme capaci di restituire alla politica la sua autonomia sbarazzando il campo della persecuzione o accanimento o speciale attenzione giudiziaria su Silvio Berlusconi, capo del partito e della coalizione che ha il consenso per governare legittimamente, nel rispetto di regole mai disattese, questo paese, ed eventualmente di riformarne la Costituzione ai sensi dell'articolo 128. Cost., come già avvenuto in altre occasioni, senza strepito e senza spargimento di scemenze allarmistiche. Le istituzioni di garanzia, dopo due o tre ribaltoni, un profilo neutrale devono guadagnarselo lavorando sodo.
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