Istruzioni per evitare agli scrittori figuracce ambrosiane

Sapessi come è strano leggere Roberto Saviano a Milano

Maurizio Crippa

Almeno Luciano, il protagonista della “Vita agra” di Bianciardi, che al suo paese faceva il responsabile delle iniziative culturali di una miniera, era venuto su con l'idea di vendicare i morti di un incidente sul lavoro. Bum. Ma poi Milano, si sa, è città tentacolare, t'imbriglia con la sua industriale e come i tenori che in partenza prendono la nota troppo alta si finisce con l'amante, la carriera e i fagiani che arrivano dal paese.

    Almeno Luciano, il protagonista della “Vita agra” di Bianciardi, che al suo paese faceva il responsabile delle iniziative culturali di una miniera, era venuto su con l'idea di vendicare i morti di un incidente sul lavoro. Bum. Ma poi Milano, si sa, è città tentacolare, t'imbriglia con la sua industriale e come i tenori che in partenza prendono la nota troppo alta si finisce con l'amante, la carriera e i fagiani che arrivano dal paese. Ma uno che invece arriva già spompato, appesantito dalla fama del raddrizzatore dei torti, con la faccia emaciata e la barba lunghettina del profeta. Uno insomma che come Roberto Saviano il massimo che ha prodotto ultimamente è una lettera aperta senza pepe né tragedia contro Berlusconi, è un po' difficile che arrivi a Milano e faccia un botto. Così che quando ritira il diploma honoris causa dell'Accademia di Brera e dice: “Dedico questi riconoscimenti ai meridionali di Milano, che sono poi i veri milanesi”, se lo merita tutto, il ministro Castelli che con la “bonomia tutta lombarda” l'ha mandato “a ciapà i ratt”.

    Sta di fatto che, a Saviano, Milano piace,
    anche se al secondo tentativo di prendere l'Ambrogino è riuscito a portarsi a casa un premio minore. Ma qualcuno oltre al diploma dovrebbe anche fornirgli un manuale di istruzioni, di Milano. Forse gli era presa la paura che Emma Dante, la portentosa regista che scambia i fischi della Scala per un sibilar di pallottole della camorra, gli volesse già rubare la scena. Invece lui: “Quando sento frasi di esponenti politici che invitano il cardinale Tettamanzi a occuparsi di più dei milanesi penso che forse non sanno chi sono veramente i milanesi. Ostinarsi a considerare come non milanesi persone come queste arrivate a Milano per lavorare, prima che miope è ignorante”. La banalità assoluta, il ridicolo schivato per un pelo. Bianciardi l'avrebbe incenerito. Ma è anche vero che, per Saviano, basta e avanza Roberto Castelli: “L'ultimo mastrino arrivato, di cui sentivamo tanto il bisogno”.

    Ovviamente uno che si becca la definizione di “coscienza critica”
    nonché “vero guru dell'intellighenzia italiana” da Marcelle Padovani del Nouvel Observateur, è pronto per essere difeso da se stesso. Si fa presto di questi tempi a divantare un venerato trombone, e non tutti si possono permettere degli speech-writer di assoluto genio come ce li ha Obama, che riescono anche a ribaltare il discorso al Nobel della pace in una specie di riassunto dell'Arte della guerra, e tanto nessuno se ne accorge. Saviano non li ha, parla del suo, e si vede subito. Anche se poi tocca difenderlo pure da Vittorio Feltri che, come se i soldi fossero suoi, ha detto che “la scorta a Saviano ci costa un bel po' e la vita la rischiamo tutti, anche attraversare la strada oggi è diventato pericoloso”. Non è carino.

    Ma Saviano sbaglia di grosso, dice una fregnaccia persino antropologia quando spara lì, manco avesse scovato lo slogan del secolo, che “Milano è la più grande città del Sud Italia”. E non perché non sia anagraficamente plausibile, come sta all'anagrafe che ormai nascono più Alì che Marie, e che ci sono più partite Iva intestate a “Mister Chang” che al signor Brambilla. Ma diremo per questo che Milano non è pià Milano? Era come dire un tempo che New York è una città ebrea, o persino italiana, e adesso magari ispanica, con una sorta di retropensiero razzista intinto nella corretteza politica, come se non potesse esistere una certa anima, una certa cosa che fa di New York quel che è New York, una città americana. “Milano ogni volta che mi tocca di venire/ mi prendi allo stomaco mi fai morire”, cantava tanti anni fa uno di Bologna. Ma era di Bologna, e almeno non aveva la pretesa di insegnare a un'intera città, come fosse il supplente alla cattedra di Ambrogio.

    Resta che anche Milano in sé avrebbe bisogno di istruzioni per l'uso, perché se ne sta facendo un pessimo uso. Milano dove domani arriva Berlusconi a prendersi un bagno di folla e a far sognare (temere) un nuovo predellino. Milano che ha finalmente inaugurato il cantiere di CityLife, ma a far notizia è la batttuta di Ligresti sul grattacielo di Liebeskind: “Cercheremo di raddrizzarlo un po'”. Che forse è la vera battuta simbolo, oggi, di Milano: ma allora, perché gliel'hanno fatto progettare? Ma Milano che non si merita le lezioncine di Saviano, così come il suo cardinale non si merita gli insulti della Lega; ma nemmeno si merita la difesa di Saviano, né la Lega si merita a sua volta gli insulti di Saviano. Qualcuno trovi un manuale per l'uso, se no qui si va tutti a “ciapà i ratt”.

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"