Annalena dentro il “Nuovo Cinema Mancuso”
Tendenza Mariarosa, ovvero l'arte di vivere senza mai uno sbadiglio
Dovendo scrivere di Mariarosa non posso chiedere a Mariarosa, è una fregatura. Spesso, prima di proporre frivolezze, le mando un messaggio per commentare lo spunto: se lei risponde con una battuta perfida è fatta, vuol dire che l'articolo si può scrivere, naturalmente rubando e plagiando la sua battuta e senza mai dirle grazie.
Dovendo scrivere di Mariarosa non posso chiedere a Mariarosa, è una fregatura. Spesso, prima di proporre frivolezze, le mando un messaggio per commentare lo spunto: se lei risponde con una battuta perfida è fatta, vuol dire che l'articolo si può scrivere, naturalmente rubando e plagiando la sua battuta e senza mai dirle grazie. Mariarosa Mancuso per fortuna non appartiene alla categoria dei giornalisti taccagni, lei chiacchiera, si diverte e regala a tutti scene di film, titoli di libri che cambieranno la vita, particolari che senza di lei è impossibile notare, stroncature di scrittori che non si riusciva a stroncare, punti di vista non visti, suggerimenti che rendono inutile e banale quel che si era faticosamente (senza il tocco di Mariarosa) provato a pensare. Ma non si può scrivere di Mariarosa chiedendo a Mariarosa, lei è troppo beneducata per parlare di sé, fatica anche a mettere insieme due righe di biografia se qualcuno ne ha bisogno, e comunque a qualsiasi ora del giorno e della notte è al cinema. La mattina alle otto, la sera alle undici, la Mancuso è in sala e non la si può chiamare (non è di quelle che mettono silenzioso e bisbigliano rumorose dalla poltroncina, lei guarda un film e ci entra dentro, qualunque film, anche il più orrendo, poi esce e ride: “Come non sopporto i burqa mossi dal vento”).
Vede ottantasette film di fila e se ne va via allegra e soddisfatta dicendo: “Qualcuno lo chiama lavoro”, con la sua macchina piena di romanzi ammonticchiati in cui non può far salire più di una persona alla volta per ragioni di spazio. Oppure è in radio, alla radio svizzera, parla di libri e intervista scrittori, e quando li trova molto maleducati li tramortisce con qualche domanda gentilmente aguzza: loro vanno a casa intontiti, sentendosi un po' più scemi, ma non sanno bene perché. La Svizzera, soprattutto, è una scusa magnifica per la Mancuso: ogni volta che da queste parti si raccolgono dichiarazioni di voto, opinioni politiche, faziosità varie, lei sorride e dice: “Non guardare me, io sono svizzera”. Così non è costretta a parlare di cose che l'annoiano perché le ha già osservate e triturate, come al cinema, e non deve partecipare al dibattito. Ma di qualunque cosa si discuta, comunque, Mariarosa ha sempre un film perfetto in tasca, o una scrittrice che ha detto cose magnifiche, e ogni volta è l'idea meno barbosa esistente in natura.
Dev'essere per questo, per la capacità leggera di tirar sempre fuori il meglio da ogni faccenda (anche le persone più antipatiche hanno un bel dettaglio da romanzo che Mariarosa riesce a notare e a raccontare, o in una vita precedente sono stati graziati da una frase felice e soltanto lei non se l'è dimenticata) che ogni volta che la si incontra e ci si chiacchiera un po' più a lungo viene spontaneo procurarsi una bottiglia di champagne, parlare male di qualcuno ma senza cattiveria, farsi dettare una lista mentale di cose da leggere e da vedere, chiederle dove compra quelle magliette così belle da Meg Ryan prima dell'impazzimento, infine sperare di non averla mortalmente annoiata. Perché lei perdona sempre tutti (uomini cattivi, uffici stampa cafoni, romanzieri affetti da divismo, colleghi indisponenti, autobiografi deliziati dalle proprie allergie alimentari, amiche ingrate che spacciano per proprie le sue battute, si immagina) tranne quelli che l'hanno fatta sbadigliare.
Il Foglio sportivo - in corpore sano