Che cosa c'è dietro la timidissima comunicazione del segretario Bersani
Con una certa spericolatezza, l'aveva preannunciato ai giornalisti presenti il portavoce di sempre, Stefano Di Traglia, nel giorno dell'incoronazione all'assemblea nazionale del Pd: “Bersani non vi darà titoli”. Ancor più spericolatamente la promessa, a due mesi dall'elezione alla segreteria, appare mantenuta. Di titoli ai giornali Bersani ne ha dati pochini.
Con una certa spericolatezza, l'aveva preannunciato ai giornalisti presenti il portavoce di sempre, Stefano Di Traglia, nel giorno dell'incoronazione all'assemblea nazionale del Pd: “Bersani non vi darà titoli”. Ancor più spericolatamente la promessa, a due mesi dall'elezione alla segreteria, appare mantenuta. Di titoli ai giornali Bersani ne ha dati pochini. Ha lasciato il campo agli altri, al gruppo dirigente: in ordine di apparizione Enrico Letta, Rosy Bindi – vera star di tv e quotidiani – due giorni fa Massimo D'Alema sul Corriere, e a ridosso del NoBday perfino Walter Veltroni è ridisceso in campo. L'idea della leadership larga si estende coerentemente alla comunicazione. “C'è bisogno di tutti, c'è posto per tutti” è stato il criterio guida nella formazione degli organigrammi folti di incarichi e vice incarichi e dunque per ciascuno c'è un “sottopancia” che autorizzi il passaggio televisivo. La cessione di spazi mediatici è l'apice dell'understatement bersaniano manifestatosi sotto forma di una gestione parsimoniosa delle presenze nei talk show, delle interviste e delle parole.
Gli stessi arcaismi e le metafore del bersanese sono state già oggetto di studio dello storico Miguel Gotor e la scelta dichiarata di voler “somigliare a Prodi” fatta prima delle primarie viene confermata oggi dallo staff per dare un senso di stabilità. Un understatement che anche il direttore di Europa Stefano Menichini in più di un editoriale ha definito “apprezzabile, anche se tuttavia rischia di non pagare nella comunicazione attuale”. Quella di Menichini è l'unica perplessità esplicita. Ma tra i portavoce e gli uffici stampa di tutte le correnti del Pd ne circolano altre: per esempio l'osservazione che Bersani non ha un giornale visto che l'Unità era nata veltroniana ed Europa rutelliana e che Red tv – l'organo più simpatizzante della segreteria – è dalemiano. E ormai nel Pd si sprecano i mal di pancia del tipo “mi ha fatto male sentire il segretario del Pd come una voce fra tante nella nota dei giornali radio”.
A Bersani però pare faccia bene. Gli stessi che criticano “il grigiume pittato addosso” del segretario (la definizione è dell'interessato), la lentezza emiliana – “lì in Emilia non cambia niente e si può fare, qui invece no” – ammettono che tuttavia questo stile sul piano della comunicazione personale funziona. Citano i sondaggi Ipsos di Ballarò e poi quelli di Weber divulgati in segreteria: entrambi segnalano un quasi 55 per cento di fiducia. E non importa se Edmondo Berselli sull'Espresso ha spiegato che si tratta di “un consenso volatile” dovuto alla consapevolezza che l'opposizione serve. “Ci sono casi in cui occorre essere più incisivi, serviva uno che dopo l'aggressione a Berlusconi dicesse a Bruno Vespa a Porta a Porta non può venire solo la Bind…” mormorano in molti. A chi sarebbe dovuto competere questo compito è un'altra questione.
Il megadipartimento della Comunicazione affidato una volta a Paolo Gentiloni è stato smontato e collettivizzato: a Matteo Orfini, il giovane dalemiano tra i fondatori di Red tv, l'informazione in segreteria. Il forum con le questioni radiotelevisive invece è affidato a Carlo Rognoni già membro del Cda Rai. A Gentiloni sono rimasti i dossier tipo la banda larga, Internet e – come osserva maliziosamente qualcuno di Area democratica – “è a lui che fa riferimento tuttora a Nino Rizzo Nervo per le robe Rai”. Di Traglia invece coordina gli uffici stampa, le campagne e i siti e Youdem. La sua missione è quella di associare il brand Bersani al marchio Pd: sembra scontato, ma non è così, spiega. Personalizzazione necessaria anche nel caso del più anti leaderista dei leader. Lunedì partiranno manifesti in tredici stazioni con la foto del segretario e la scritta “per l'alternativa”. Poi, ti spiegano, la parola preferita di Bersani andrà cambiata per evitare il boomerang alle regionali: “In molte regioni governiamo noi, guai se si pensasse che siamo noi a chiedere un'alternativa”.
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