Da domani Belgrando entra a far parte dell'Ue
L'Europa si apre alla Serbia e la Serbia si apre all'Europa
Le porte dell'Europa unita si aprono a Belgrado. Da domani i serbi potranno viaggiare liberamente nei paesi Schengen, con il nuovo passaporto biometrico, senza bisogno del visto. Una cinquantina di serbi, che visiteranno le principali capitali dell'Unione europea, hanno scelto Roma come prima tappa. Dove lunedì saranno accolti dal ministro degli Esteri Franco Frattini, convinto fautore dello sdoganamento di Belgrado.
Le porte dell'Europa unita si aprono a Belgrado. Da domani i serbi potranno viaggiare liberamente nei paesi Schengen, con il nuovo passaporto biometrico, senza bisogno del visto. Una cinquantina di serbi, che visiteranno le principali capitali dell'Unione europea, hanno scelto Roma come prima tappa. Dove lunedì saranno accolti dal ministro degli Esteri Franco Frattini, convinto fautore dello sdoganamento di Belgrado.
L'ex pecora nera dei Balcani si sta lasciando alle spalle il passato. Il presidente serbo, Boris Tadic, è riuscito a “sterilizzare” la ferita del Kosovo indipendente. La caccia ai criminali di guerra ha dato i suoi frutti anche se manca ancora all'appello Ratko Mladic, il “macellaio” di Srebrenica. Pure l'Olanda, che aveva messo il veto a qualsiasi apertura europea fino a quando non sarà catturato Mladic, si sta ammorbidendo. Giovedì scorso era in visita a Belgrado il ministro degli Esteri olandese, Maxime Verhagen.
L'alleato di ferro dei serbi è l'Italia, che in novembre ha firmato un patto strategico con Belgrado sull'economia, il contrasto alla criminalità organizzata, l'immigrazione clandestina e la Difesa.
“Circola un'idea suggestiva: l'ingresso della Serbia nella Ue nel 2014 – spiega al Foglio Armando Varricchio, ambasciatore a Belgrado – Il centenario della tragedia della prima guerra mondiale provocata dalla scintilla di Sarajevo, si trasformerebbe così in un segnale di integrazione rivolto al futuro”. Le cancellerie si attendono la domanda di adesione della Serbia all'Unione entro Natale o in gennaio, con la nuova presidenza spagnola.
L'abolizione dei visti e l'accordo di libero scambio approvato dai 27, agli inizi di dicembre, è la prima tappa della marcia verso Bruxelles fortemente voluta dal presidente Tadic.
I serbi non vedono l'ora di viaggiare senza visto, anche se temono i sacrifici che dovranno fare per l'ingresso in Europa. La crisi è rimbalzata anche nei Balcani e attanaglia la Serbia da mesi. Le imprese sono in difficoltà. Il 25 per cento dei loro conti sono bloccati, anche se il pil sembra in lenta ripresa. Il governo ha appena adottato un progetto di bilancio nel 2010 che prevede un deficit del 4 per cento. Una scelta obbligata per l'erogazione del prestito di tre miliardi di euro del Fondo monetario internazionale.
Nonostante le manifestazioni operaie per l'aumento della disoccupazione e quelle di protesta studentesca il governo è saldo. Il premier Mirko Cvetkovic si poggia su una coalizione capitanata dal Partito democratico di Tadic con i ministeri pesanti, dagli Esteri alle Finanze. Gli altri partner sono gli economisti liberali del G17 rinnovato, i partiti della minoranza musulmana ed i socialisti che hanno sepolto per sempre Slobodan Milosevic. Il leader socialista, Ivica Dacic, dato in ascesa nei sondaggi, viene indicato da molti osservatori come futuro premier. Slavica Djukic Dejanovic, presidente del Parlamento del suo partito, ha giocato un ruolo importante nel sbloccare i lavori dell'assemblea ingolfati da tempo.
I democratici (Ds) del presidente Tadic sono in testa nei sondaggi con il 32 per cento tallonati dal nuovo partito Progressista di Tomislav Nikolic, all'opposizione, con il 31 per cento. Nikolic ha rotto con la frangia dei radicali ultranazionalisti ancora fedeli a Voijslav Sesely alla sbarra a L'Aja per crimini di guerra nell'ex Jugoslavia. Nella nuova formazione (Sns), Nikolic si è portato gran parte degli elettori. Convertito all'europeismo, ma sempre alleato della Russia il leader nazionalista sta preparando con attenzione un futuro viaggio negli Stati Uniti. Nelle ultime settimane è stato chiamato a gran voce a guidare l'opposizione, dopo la “scomparsa” di Vojislav Kostunica retrocesso al 7 per cento delle preferenze nei sondaggi. In Serbia lo hanno soprannominato “l'invisibile”. L'ultima apparizione veniva segnalata lo scorso mese a San Pietroburgo al congresso di Russia Unita, il partito di Vladimir Putin.
Qualche scossone politico, che ricorda il passato, non manca mai. La provincia settentrionale della Vojvodina, contraddistinta da una forte presenza ungherese, ha adottato una maggiore autonomia da Belgrado. I nazionalisti serbi gridano alla “secessione” ed il presidente Tadic non si è fatto vedere, il giorno del voto, all'assemblea di Novi Sad.
Alla Vojvodina, invece, guardano con estremo interesse le imprese italiane delocalizzate nella vicina Romania, che stanno perdendo le convenienze del passato con l'ingresso del paese dell'Est nell'Unione europea. “Da Timisoara si stanno spostando attorno a Novi Sad” spiegano all'ambasciata italiana.
Dal 13 novembre la Serbia è un partner strategico del nostro paese. L'intero governo serbo si è spostato per un giorno a Roma per la firma di importanti protocolli ed incontri ai massimi livelli. Gli addetti ai lavori raccontano che il clima di amicizia era tale da scatenare una proverbiale battuta del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. “Passo la parola al Presidente Clooney…. Ehm, Tadic” ha detto il premier riferendosi all'indubbia bella presenza del capo dello stato serbo.
La dichiarazione congiunta sul partenariato strategico “si fonda su legami politici, economici, commerciali e culturali” riportano le prime righe del documento, che sottolinea come Serbia e Italia vantino “una storia duratura di relazioni diplomatiche” lunga 130 anni. Gli accordi più importanti riguardano la produzione di energia elettrica in Serbia trasferita via collegamento sottomarino attraverso l'Adriatico. La Fiat sta investendo 700 milioni di euro nello storico impianto della Zastava di Kragujevac, che nel 1999 fu bombardata dalla Nato.
Il ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha sancito la collaborazione con Belgrado nel contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina. Secondo il responsabile del Viminale “l'attività operativa può risultare efficace grazie ad un intenso scambio di informazioni di polizia ed alla costituzione di squadre miste da impiegare sui rispettivi territori nazionali”.
Il ministro della Difesa serbo, Dragan Sutanovac, ha rivelato che nel sud del paese è in allestimento una base per formare i peacekeeper di Belgrado. I primi caschi blu serbi partiranno per il Libano. Alla sua controparte, Ignazio La Russa, ha chiesto istruttori militari per le missioni all'estero e collaborazione nel settore della Difesa. La Russa si è impegnato anche a facilitare il cammino della Serbia verso la Nato. Non solo: al Centro di ricostruzione provinciale di Herat (Prt), a guida italiana, ospiteremo diplomatici di Belgrado.
“L'Italia è il paese più presente e attivo in Serbia – spiega l'ambasciatore Varricchio – Anche il rapporto con la gente e la nostra lingua è ottimo. Lo scorso mese il concerto di Eros Ramazzotti a Belgrado era stracolmo e tutti cantavano in italiano”.
La Serbia non è più il paese reietto d'Europa, ma i fantasmi del passato continuano ad aleggiare. Al tribunale de L'Aja per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia mancano all'appello solo due ricercati serbi: il generale Mladic e Goran Hadzic, un pesce più piccolo, ma non meno feroce.
Rasim Ljajic, il ministro serbo supervisore della caccia ai latitanti, ha annunciato che si dimetterà se entro la fine dell'anno non verrà assicurato alla giustizia il boia di Srebrenica. In realtà Ljajic non mollerebbe la poltrona di governo, ma l'incarico nell'Action team, il gruppo ristretto che da la caccia ai criminali di guerra. Dell'A team fa parte anche Sasa Vukadinovic, nominato lo scorso anno a capo della Bia, l'intelligence serba, che sembra veramente deciso a farla finita con Mladic. Nel gruppo d'azione siede al suo fianco un rappresentante del tribunale internazionale, che ha un ufficio a Belgrado. Fino al 2002 la Vojiska, l'esercito serbo, dava copertura al generale serbo bosniaco nelle sue strutture. Quattro anni dopo è stata scoperta e arrestata la cerchia di complici che lo aiutava nella latitanza. Dalla donnina che preparava da mangiare a Mladic ad ex elementi dei servizi o delle unità che il generale aveva comandato in Bosnia. A Belgrado, in queste settimane, si sta svolgendo il processo agli amici di Mladic. L'arresto fu causato dalle forti pressioni della comunità internazionale per ottenere dei risultati nella caccia ai latitanti. Oggi tutti concordano, a cominciare dal procuratore speciale per i crimini di guerra, Vladimir Vukcevic, che gettare la rete senza arrivare a Mladic fu un errore.
Belgrado sta comunque facendo la sua parte. Dei 46 incriminati richiesti dal tribunale internazionale , ne sono stati consegnati 43, mentre uno si è suicidato al momento dell'arresto. A L'Aja sono finiti due presidenti della repubblica, un primo ministro, tre capi di stato maggiore delle forze armate, un responsabile dei servizi e diversi generali dell'esercito e della polizia. Lo scorso anno hanno finalmente scoperto Radovan Karadzic, l'ex leader dei serbi di Bosnia, che si era trasformato nell'irriconoscibile dottor Dabic. Delle 1825 richieste di assistenza giunte da L'Aya la Serbia le ha soddisfatte quasi tutte, compresa la consegna dei documenti riservati su Mladic. Il governo di Belgrado ha garantito protezione ai testimoni indicati dal tribunale internazionale. Non solo: la Serbia ha processato 362 individui per crimini di guerra. Il presidente della Corte di Belgrado, Sinisa Vazic, sottolinea con orgoglio che l'aula 2, dell'edificio super protetto per i crimini di guerra nella capitale serba, è dedicata a Giovanni Falcone.
Dusan Ignjatovic, direttore dell'ufficio per la cooperazione con il tribunale internazionale, non ha dubbi: “Quando prenderemo Mladic non succederà nulla di grave, nessuna rivolta”. Anche se sono molti i serbi che non vedono di buon occhio l'estradizione del super ricercato a L'Aja considerato da alcuni ambienti un eroe. Sulla testa del generale pende una taglia di 1 milione di euro.
Ignjatovic non esclude l'eventualità che Mladic sia morto beffando tutti. “Ma se così fosse dovremmo trovare il corpo e mostrarne le prove al mondo – sostiene il braccio destro del ministro Ljajic – E' un obbligo legale e morale non tanto per conquistarci un posto in Europa, ma per noi serbi e per quello che è accaduto”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano