Il D'Alema natalizio e “inciucista” che fa arrabbiare la nota lobby
Dietro questa storia della legittimità del compromesso, che ha tanto scandalizzato le anime buone dei lanciatori di merda, c'è uno slittamento natalizio del carattere di un leader. D'Alema è meno insopportabile di una volta. Può mandare a quel paese la cultura azionista del gruppo Espresso-Repubblica, che un certo peso a sinistra lo mantiene, e può farlo con un tratto di serenità e perfino di soavità che non gli conoscevo.
Dietro questa storia della legittimità del compromesso, che ha tanto scandalizzato le anime buone dei lanciatori di merda, c'è uno slittamento natalizio del carattere di un leader. D'Alema è meno insopportabile di una volta. Può mandare a quel paese la cultura azionista del gruppo Espresso-Repubblica, che un certo peso a sinistra lo mantiene, e può farlo con un tratto di serenità e perfino di soavità che non gli conoscevo.
Ho presentato con lui a Roma il libro di storia del Pci di un comune amico, Francesco Cundari, e ho potuto ascoltare e osservare cambiamenti significativi. Il primo della classe accetta che si sbirci il suo compito. Il velista au grand large si sperimenta ora nel piccolo cabotaggio e si appresta a curare la Fondazione delle fondazioni del Partito socialista europeo (invece di fare il ministro degli Esteri dell'Unione). Ha incassato numerose sconfitte, da premier, da ministro degli Esteri di un governo rivelatosi improvvido ed effimero, da spettatore annoiato di quello che ha sempre considerato il circo veltroniano, per non parlare delle cariche stabili e dirimenti, la presidenza della Camera e il Quirinale, che gli erano sembrate alla portata della sua leadership cinica e volitiva, dopo tante scelte di alta rappresentanza istituzionale, e invece no, gli sono sempre sfuggite.
E' che ora si sente sicuro, il compagno segretario, perché ha ripreso in mano lo strumento decisivo della politica, il partito. Si è finalmente visto, pensa, che l'apparato e gli elettori della sinistra democratica postcomunista e postdemocristiana coincidono, solo che si esprima un candidato capace di despettacolarizzare e normalizzare la vita di partito e di costruire una tranquilla maggioranza. Più o meno riluttanti, i cattolici democratici seguiranno; da tempo sono un lievito evangelico, magari un po' acido, ma non più un partito o una classe di governo. D'Alema si appresta a usare la mano leggera con amici e oppositori interni, per consolidare il risultato, per non irritare il campione titolare di quest'operazione (Bersani). Intende usare quel che c'è, il maggior partito d'opposizione, per fare politica e non solo testimonianza o generico casino, per ottenere spazi e vantaggi nello scontro e nel confronto con l'avversario ormai storico e strategico del centro sinistra, Berlusconi; intende affermare idee, metodi e compromessi capaci di disinnescare gli aspetti più esplosivi dell'avventura berlusconiana e di stabilire un tracciato in cui si possa anche solo immaginare quel che oggi è arduo a pensarsi, una alternativa politica al centro destra imperante, al Pdl.
A me, che azionista non sono e non sono mai stato, tutto questo sembra estremamente ordinario, necessario, utile e corrispondente ai canoni della lotta politica, quando questa abbia un qualche significato. Quindi anche bello. Tonino Di Pietro non è d'accordo, Veltroni eccepisce, Franceschini si lamenta, tutti se la prendono con il dalemiano Latorre che chiede tempo ed esorta a diffidare dei miti della spallata e del colpo di mano: capisco, capisco bene le ragioni rispettive, la politica è anche ricerca di garanzie e protezioni, e prevale nel demagogo di Montenero come nella minoranza del Pd un sentimento genuino di paura, la paura che D'Alema sia il primo che agganci Berlusconi, il primo che riesca a stabilizzare il sistema e ad architettarne qualche cambiamento positivo.
E' sempre lo stesso problema, quello che si pose all'epoca della discussione sulla possibilità di avere un presidente della Repubblica eletto sulla base di un manifesto politico di pacificazione (operazione Quirinale, 2006). Nessuna garanzia di riuscita, oggi come allora. Siamo il paese in cui fu meschinamente affondato il progetto di riforma della Costituzione e della giustizia concepito in una solida e apertamente pattuita commissione Bicamerale. A proposito, onorevole D'Alema, spero ella ricordi che la Bicamerale si infranse contro il tentativo palese, da lei messo in campo, di isolare Berlusconi con l'aiuto di Fini. Per riuscire dove si è fallito una volta, basta non ripetere l'errore.
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