The Scrooge of the year
Consolo è il vice Scrooge dell'anno perché se ne vuole andare ma poi “resta chi a Milàn”
Non se ne vogliono andare. Come nell'indimenticabile fiction con Turri Ferro antesignana dell'epopea dei bamboccioni, Vincenzo Consolo, intermittente dello sdegno come una luminaria natalizia, l'ha già fatto dozzine di volte. Da quando esistono il centrodestra la seconda Repubblica, diciamo. Periodicamente, l'inconsolabile cantore delle pietre di Pantalica annuncia che fa le valigie.
Non se ne vogliono andare. Come nell'indimenticabile fiction con Turri Ferro antesignana dell'epopea dei bamboccioni, Vincenzo Consolo, intermittente dello sdegno come una luminaria natalizia, l'ha già fatto dozzine di volte. Da quando esistono il centrodestra la seconda Repubblica, diciamo. Periodicamente, l'inconsolabile cantore delle pietre di Pantalica annuncia che fa le valigie. Che Milano è ormai un irriconoscibile schifo, mica più quella città laboriosa e solidale che l'aveva accolto e ben pasciuto. Annuncia il taglio dei ponti verso Messina e il ritorno in Sicilia pieno di omerica nostalgia. Basta, in una città così squallida e anche razzista uno scrittore di limpida coscienza civile non ci può stare più. “La Milano dei miei sogni, delle mie aspettative è una città irriconoscibile. Una città centrale della menzogna”. Minchia. Dunque è venuto il momento – un'altra volta ancora – di andarsene. Un'idea che gli era già venuta, del resto.
Cominciò per l'appunto quando Marco Formentini, bel paciarotto, come si dice qui, leghista tutt'altro che ruvido e manesco, divenne sindaco sospinto dal vento del Nord: “Me ne vado da questa città”, tuonò. Fu travolto, per onore di cronaca, dall'incredulità generale. E puntualmente rimase. Malmostoso e impalato come un basilisco in riva ai Navigli, ma rimase. A ingoiare i rospi della città senz'anima. A opporre il fiero petto alle intemperie della storia. L'altalenante partente del resto è solito cambiare idea. A un certo punto pure Bossi era diventato buono. Nel 1995 decretò: “Il governo Berlusconi è caduto grazie a Bossi. E oggi è evidente a tutti che la Lega ha una funzione determinante nel passaggio dal centrodestra al centrosinistra”. E dunque, un'altra volta ancora rimandò la partenza: “Guardi, quando ho detto che me ne sarei andato di qui, l'ho fatto solo come provocazione in risposta al linguaggio provocatorio e aggressivo della Lega. Non ha senso cambiare città… Né ci sono motivi di lasciare l'Italia, perché c'è ancora la democrazia”.
Poi tornò ferocemente schifato, capofila di quelli che minacciarono l'esilio, come Umberto Eco: “Cinque anni di Berlusconi e siamo fottuti. Ci giochiamo tutto, stavolta. Quanto a me, nel caso, vado in pensione e mi trasferisco all'estero”. Ma anche il semiologo, del resto, è ancora qui. Vennero poi tempi eroici in cui, anche a nome di Tabucchi e Camilleri, rifiutava di rappresentare al Salone del libro di Parigi “un governo che non ha nulla da spartire con la cultura”. Ma a Milano, la “centrale della menzogna”, restò. Invece proprio adesso che pure Roberto Saviano si sente milanese adottivo della città “più meridionale d'Italia” (“fa bene ad andarsene dall'Italia” gli suggerì), lo sdegnoso pendolare non ce la fa più. Raccatta le sue cose e annuncia a un giornale siciliano che la città che pur gli ha dato tanto non è più patria per lui: “E' razzista, trovo migliore la mia Sicilia”. Ma il sospetto è che alla fine anche stavolta Consolo rimarrà nella città che ama e odia. Lui, l'antirazzista che a Raffaele Lombardo ha rinfacciato di essere nient'altro che un “oriundo lombardo”, malignamente ricordandogli che “anche Riina e Provenzano sono di origine lombarda”, ha aggiunto con prudenza: “Dovrei rimanere. Nella speranza di rivedere quella città che mi è sparita sotto gli occhi”. D'accapo.
Il Foglio sportivo - in corpore sano