Tutta la vanità degli epitaffi

Mariarosa Mancuso

Il testamento (diceva William Hazlitt) è l'ultima occasione che ognuno di noi ha di dimostrare la propria perfidia, e solitamente ne fa buon uso. La lettura di “Meglio qui che in riunione” – volumetto dove 250 italiani noti e ignoti scrivono da sé quel che vorrebbero leggere sulla propria tomba (a cura di Eugenio Alberti Schatz e Marco Vaglieri, Rizzoli) – invita alla parafrasi.

    Il testamento (diceva William Hazlitt) è l'ultima occasione che ognuno di noi ha di dimostrare la propria perfidia, e solitamente ne fa buon uso. La lettura di “Meglio qui che in riunione” – volumetto dove 250 italiani noti e ignoti scrivono da sé quel che vorrebbero leggere sulla propria tomba (a cura di Eugenio Alberti Schatz e Marco Vaglieri, Rizzoli) – invita alla parafrasi: “L'autoepitaffio è una preziosa occasione per dare sfogo alla propria vanità e quasi nessuno se la lascia scappare”. Già il titolo suona come una variazione sul celebre autoepitaffio dell'attor comico W.C. Fields (sue le battute “Uno che odia così tanto i cani e i bambini non può essere completamente malvagio” e “Primo premio una settimana a Philadelphia, secondo premio due settimane a Philadelphia”). Sulla sua tomba voleva fosse scritto: “Tutto sommato, preferivo Philadelphia”.

    Tra gli interpellati che hanno accettato l'invito (altri hanno provveduto agli scongiuri, facendo perdere le loro tracce) spicca Marco Travaglio. “Brindate, brindate pure. Tanto ricomincio subito dall'altra parte” è il ghigno postumo vergato in vita, perfettamente in linea con un'esistenza spesa a scrutare verbali con il piglio del moralizzatore universale. Vince la gara di presunzione a pari merito con Achille Bonito Oliva, “scorpione ascendente scorpione” precisa la biografia: “Sono stato una spina nell'occhio dell'arte e della critica”. Francesco Saverio Borrelli adotta lo stile delle lapidi commemorative “la cittadinanza pose”, già oggetto di pubblico ludibrio nei “Viceré” di Federico De Roberto. Ecco il passo saliente del capolavoro, solo un po' sforbiciato: “Con pungente rimpianto per la magia /delle abbandonate note /fu sospinto da eventi inattesi verso senile notorietà /alle cui ambigue lusinghe seppe senza sforzo /resistere resistere resistere”.

    Ivan Scalfarotto, “dirigente di risorse umane e politico”
    , vuole far sapere al viandante che “Visse il suo tempo. Fino in fondo” (e chissà se al posto della fotina sopra il lumicino del cimitero vorrà mettere il suo ritratto con l'orsacchiotto di pezza, nella posa resa celebre dalla miniserie “Ritorno a Brideshead”). Certo è che nessuna sedicente poetessa siederà su quella tomba, tramezzino in mano, per scrivere i suoi versi e offrire un boccone al poliziotto di passaggio: sono cose che succedono solo nei cimiteri vittoriani e nei romanzi di Muriel Spark. Massimo Teodori sfoggia l'understatement di chi fa scrivere un'interminabile lista di titoli sul biglietto da visita (inevitabilmente ricordando il Grand. Uff. Stronz. del ragionier Fantozzi) e poi li barra con un tratto di penna: “Non si curò d'essere globetrotter, architetto, storico, americanista, deputato, docente, giornalista, scrittore e radicale, ma volle essere ricordato come amico”.

    I noti offrono con l'autoepitaffio un motivo in più per non frequentarli in vita. I meno noti, o quelli che sarebbe il caso di dimenticare, forniscono un bestiario di professioni che finora ignoravamo (non si finisce mai di imparare). Mario Capanna, oltre che coltivatore diretto e apicoltore, è “libero pensatore a tempo pieno”. C'è un “agitatore editoriale”, un “sociologo e neolibertino”, un'esperta di “arte di ascoltare e gestione creativa dei conflitti”, un “art director e visionary writer”, un “manager delle risorse umane e storico medievale”. Imbattersi in un dermatologo e basta, provoca un bel sospiro di sollievo.
    Rari quelli che non si prendono sul serio. La prima consolazione viene dalle canzonette: Rocco Tanica di Elio e le Storie Tese vuole scritto sulla tomba “Céci n'est pas un épitaphe”. La seconda dai fumetti: Silver – vi dice nulla Lupo Alberto? – vuole sulla sua lapide: “Se sapevo che era così corta mi portavo dietro meno roba”. Ernesto Ferrero sceglie: “Generalmente lodato per bontà e mitezza, rinunciò ancor giovane alla pratica del Male perché troppo faticosa”. Aldo Grasso (succede quando si vedono troppi telefilm americani): “To be continued”. Mario Monicelli ai posteri di sé vuol far sapere: “Non andò mai alle Maldive”.