The Scrooge of the year
Avevamo giurato, qui al Foglio, che non avremmo mai e poi mai ceduto. Che mai ci saremmo piegati alla corriva moda dei premi e premietti, ricevuti e dati, alla perversione nazionale dell'“io-premio-te-e-tu-premi-me”. Che giammai ci saremmo ritrovati a concorrere nella pomposa gara cultural-mondana dei simil-Nobel, visto che pensiamo il peggio anche degli originali.
Avevamo giurato, qui al Foglio, che non avremmo mai e poi mai ceduto. Che mai ci saremmo piegati alla corriva moda dei premi e premietti, ricevuti e dati, alla perversione nazionale dell'“io-premio-te-e-tu-premi-me”. Che giammai ci saremmo ritrovati a concorrere nella pomposa gara cultural-mondana dei simil-Nobel, visto che pensiamo il peggio anche degli originali. Poi però siamo andati al cinema, a vedere “A Christmas Carol” di Robert Zemeckis, formidabile produzione disneyana tratta dal celeberrimo racconto di Natale di Charles Dickens. E abbiamo capito che il modo migliore per condividere l'illuminazione che in sala ci ha colti era quello di affidarla a un riconoscimento ufficiale. Detto fatto: lo abbiamo chiamato “The Scrooge of the year” e lo abbiamo assegnato, senza indugi e senza incertezze, al professor Giovanni Sartori. Illustre politologo fiorentino, docente a Firenze, Stanford, Yale e Harvard. L'uomo capace, come ha scritto Edmondo Berselli, di sintetizzare “due o tre secoli di costituzionalismo, e un due o tremila anni di storia della democrazia, degli antichi e dei moderni, dai greci passando per il diritto romano, e quindi Machiavelli, Guicciardini, Bodin, Locke, le rivoluzioni inglese, americana e francese”, e di “spiattellare la lezioncina in due colonne di giornale come se si trattasse di uno svelto riassunto per il nipote somaro”. Non a caso. “Asino”, “asinata” e “asinerie” sono parole predilette dal professore, che le dispensa senza risparmio a chiunque non sia totalmente d'accordo con lui. Lo ha anche rivendicato, in una polemica con Angelo Panebianco a proposito di sistemi elettorali: “E' anche vero, lo ammetto, che io il vizio di chiamare asini gli asini lo tengo. (Già nel '69, ricordo, scrivevo di ‘asinocrazia')”.
Torniamo però al “Premio Scrooge”, per proclamare che è proprio Giovanni Sartori il gemello separato alla nascita del personaggio del “Canto di Natale” dickensiano. Con qualche fondamentale distinguo, naturalmente, che converrà subito chiarire. Se il tirchio quant'altri mai Ebezener Scrooge (basti pensare che il nome originale dell'avaraccio insuperato dei fumetti, Paperon de' Paperoni, è Scrooge McDuck) è personaggio “chiuso, controllato e solitario come un'ostrica”, uno che “la sua bassa temperatura se la portava sempre addosso; gelava il suo studio nei giorni canicolari; non lo scaldava di un grado a Natale”, il professor Sartori, al contrario, è e appare simpaticissimo, caloroso, spesso e volentieri mondano e salottiero, nonché uso a infiammare, più che raffreddare, con salaci battute e spiritaccio tosco, qualsiasi dormiente e annoiato consesso. E magari (per quel che ne sappiamo) nella vita privata sarà anche munifico e dedito alla beneficenza.
Ma a fargli meritare il titolo di “Scrooge of the year 2009” (con motivazione retroattiva, volendo, anche al 2008, 2007, 2006, 2005 e via risalendo almeno per gli ultimi tre lustri) è la sua vera fissazione predominante, senz'altro condivisa con il terribile Scrooge. Il quale, come è noto, considerava il giorno di Natale il peggiore dell'anno. Ci si è mai chiesti seriamente perché? Non soltanto per quello che spiega il suo ideatore (il 25 dicembre è l'unico giorno in cui Scrooge è costretto a pagare il suo contabile, Bob Cratchit, carico di miseria e di figli, senza poterlo far lavorare) ma anche perché – Dickens non lo dice, nemmeno Pietro Citati nel suo bellissimo pezzo su Repubblica se ne è accorto, e invece noi l'abbiamo capito – a Natale si festeggia (orrore!) la nascita di un bambino. Capite? Un nuovo bambino su questa terra, vale a dire un altro divoratore di risorse, un ennesimo produttore di CO2, un ulteriore agente inconsapevole del riscaldamento globale. Un essere solo apparentemente innocente, eppure destinato, fin dall'attimo del parto, ad aggravare la catastrofe climatica prossima ventura – anzi, già in atto – dipendente in tutto e per tutto dalla sovrappopolazione.
Tutte cose che Ebezener Scrooge, a modo suo, oscuramente presentiva, ma sulle quali il professor Sartori da tempo mette la mano sul fuoco e alle quali dedica innumerevoli editoriali sul Corriere della Sera e, di tanto in tanto, qualche libro.
Così, se al gioviale nipote che lo invita a casa sua nella santa notte, Scrooge risponde scocciato che il Natale “è una sciocchezza”; e se ai distinti signori che vengono a chiedergli “qualche tenue soccorso per la povera gente”, prefigurando la morte dei derelitti per fame e per freddo, fa notare seccamente e malthusianamente che “scemerebbe di tanto il soverchio della popolazione”, che cosa, se non lo spirito di Scrooge, aleggia nella prosa colorita e terrorizzante del professor Sartori, quando ammonisce (“La Terra scoppia”, Rizzoli, scritto con Gianni Mazzoleni): “Siamo impazziti? Sì, chi asseconda un siffatto formicaio umano deve essere impazzito. Si risponde che il calo delle nascite nei popoli sottosviluppati avverrà ‘naturalmente' (quando? Quando saremo 15 miliardi?) con lo sviluppo economico. Ma assolutamente no”.
Per Sartori, la data da celebrare non è il Natale ma, anno dopo anno, “il giro dell'agosto, per me il giorno del rendiconto ecologico. Come sta la salute della Terra? Come andiamo con l'ambiente, con l'inquinamento atmosferico, con il clima, con l'esaurimento delle risorse? Va da sé che su tutto il fronte andiamo peggio. Va da sé perché non vogliamo né vedere né affrontare la realtà”. Infatti, scrive il professore, “la semplice verità è che la fame (e ancor prima la sete) sta vincendo, e che vincerà sempre di più, perché ci rifiutiamo di ammettere che la soluzione non è di aumentare il cibo ma di diminuire le nascite, e cioè le bocche da sfamare”. Il dilemma a livello globale, per Sartori “è questo: o riduciamo drasticamente i consumi, oppure riduciamo altrettanto drasticamente i consumatori”. E visto che la prima via è poco percorribile, “resta, allora, soltanto la soluzione di fermare la crescita demografica. A questo effetto la tecnologia è benefica, la tecnologia aiuta: contraccettivi, pillole del giorno dopo, pillole abortive, costano pochissimo e la loro utilizzazione richiede soltanto un addestramento minimo. Ed è la soluzione che davvero risolve”.
Eppure, si duole il nostro “Premio Scrooge 2009”, “di questa soluzione”, nonostante l'addestramento minimo necessario, “quasi non si parla. L'argomento è tabù. La chiesa cattolica si oppone, e la sua opposizione riesce a bloccare tutti”. E dire che qualche buon esempio c'è: “Si potrà protestare sulla crudeltà delle norme sulla procreazione imposte in Cina dal 1971 in poi. Ma in precedenza, a cavallo degli anni '50-60, tra i 15 e i 30 milioni di cinesi erano morti di fame e di epidemie. E' più crudele imporre l'aborto o lasciar fare alle carestie?” (anche se, nel frattempo, financo la Cina si appresta a dare qualche dispiacere al professor Sartori, e a revocare – notizia di pochi giorni fa –la politica del figlio unico, che sta provocando squilibri ben più tangibili dell'esaurimento delle risorse e del riscaldamento globale).
A proposito di riscaldamento globale ed effetto serra, Sartori-Scrooge ha le idee chiarissime: “I sostenitori delle cause naturali fanno presente che la Terra è già passata molte volte dai periodi di surriscaldamento a periodi di raffreddamento… Dunque il clima può cambiare da sé. Ma non sappiamo perché. E se non sappiamo perché, come si fa a sostenere che anche il riscaldamento del nostro tempo è dovuto a ragioni cosmiche?
Questa è pura congettura. Una congettura che non è sostenuta da nessuna prova”. Una teoria – in pratica: se una cosa è già successa ma non sappiamo perché è successa, dobbiamo comportarci come se non fosse mai successa – che il Foglio (era il 2002), battezzò “alluvionellum”, in omaggio alla pirotecnica capacità del professor Sartori di inventare neologismi applicati all'ingegneria politico-partitico-elettorale e passati nel linguaggio comune (sua, come è noto, è la definizione “Porcellum”).
“Stia al suo posto e faccia il ciabattino”, replicò all'epoca l'accademico al Foglio. E noi, per quanto è possibile, vorremmo ubbidire. Ma non prima di aver rimarcato che, forse, l'ostilità di Sartori alle nuove nascite potrebbe freudianamente ascriversi al suo essere felicemente figlio unico di una mamma “bellissima”, come ha raccontato lui stesso a Claudio Sabelli Fioretti, in un'intervista di qualche tempo fa sul Magazine del Corriere. Un bel mondo di figli unici, senza fratelli rompiscatole con i quali condividere le esauste risorse agroalimentari e idriche, oltre alle coccole dei genitori, è infatti il mondo ideale sognato da Sartori. Un mondo dove tutti si stia soddisfatti e comodi come Scrooge nella sua immensa casa vuota, “salotto, camera, stanzone, tutto in ordine. Nessuno sotto la tavola, nessuno sotto il canapè; un fuocherello nel caminetto… Nessuno sotto il letto; nessuno nel gabinetto; nessuno nella veste da camera, pendente dalla parete in attitudine sospetta”. E quando il secondo dei tre fantasmi che lo conducono a vedere i Natali del passato, del presente e del futuro, gli racconta che ha milleottocento fratelli maggiori, fantasmi pure loro, Ebenezer Scrooge non riesce a trattenersi, per quanto intimorito dagli accadimenti soprannaturali che gli stanno capitando: “Una famiglia tremenda da mantenere!”.
Dal che si vede come certi argomenti sartoriani non fossero profeticamente estranei a Scrooge. Anche se poi, quando lo stesso spirito lo porta, protetto dall'invisibilità, a visitare la casa del contabile Bob Cratchit (vittima quotidiana e inerme delle angherie e della grettezza di Scrooge, che ancora nel pomeriggio gli aveva lesinato il pezzetto di legna per riscaldarsi e lo aveva minacciato di tagliargli la paga, se non si fosse presentato in anticipo sull'ora solita la mattina dopo Natale), il vecchio avaro, già sulla strada della redenzione, riesce a commuoversi di fronte all'affetto che circola in quella famiglia povera ed extralarge (abbiamo contato almeno sei figli, compreso il piccolo invalido Tiny Tim, appoggiato a suo padre, con la sua “gruccetta e una macchinetta di ferro per tenersi ritto”). Capitasse la stessa toccante visione al professor Sartori, non è detto che l'effetto sarebbe lo stesso. La Londra dickensiana del 1843 non doveva essere tanto diversa, nei quartieri abitati dai Cratchit, dagli incubi che popolano gli scritti del professore fiorentino. Che immaginiamo pronto ad approfittare dell'occasione per suggerire, almeno alle giovanette Cratchit, di informarsi quanto prima sui metodi contraccettivi più aggiornati (per i loro genitori non c'era evidentemente speranza, visto che avevano deciso di riprodursi tanto copiosamente e dissennatamente).
Ma quando abbiamo deciso di insignire il professor Sartori della qualifica di “Scrooge of the Year 2009”, non avevamo soltanto in mente la parte oscura del personaggio. Ci piacerebbe immaginare un'aderenza totale all'intera novella, anche nella parte che vede il glorioso ravvedimento del finanziere misantropo. Del quale, peraltro, alcuni apprezzano proprio l'aspetto feroce. Tra questi, Oscar Giannino. Il quale ha definito Scrooge “un eroe, per noi individualisti-mercatisti. Ricordate che cosa risponde ai due borghesoni tronfi di buonismo, quando si presentano nella sua bottega chiedendogli di contribuire alla colletta natalizia? Replica seccamente che lui paga già le tasse, con cui lo stato alimenta il welfare pubblico – cioè, nell'Inghilterra di allora, gli ospizi per i poveri, e le prigioni in cui si finiva per debiti. Altro denaro per gente che non conosce, Scrooge non ne dà, perché sarebbe sprecato… Oggi, finalmente, siamo in grado di dimostrare razionalmente che i grandi imperi economici e mercantili del passato sono nati non a caso proprio da gente come Scrooge”.
Non siamo abbastanza competenti per ribattere alcunché. Ma è pur sempre Natale, e allora vogliamo concludere con un elogio del professor Sartori.
Che sarà pure malthusiano fuori tempo massimo, tra gli ultimi irriducibili a trattare come oro colato le previsioni fallite di Aurelio Peccei e di Paul Erlich (con la scusa che, se le scadenze sono sbagliate, le tendenze non lo sono. E pazienza se il Club di Roma di Peccei aveva previsto l'esaurimento del petrolio più o meno per questo periodo, mentre Erlich aveva pronosticato la morte per fame di un quarto dell'umanità nel 1983, con la sempre più irrimediabile carenza di cibo, vale a dire il contrario di quello che è successo). Malthusiano e catastrofista, insomma, ma pur sempre in grado di innamorarsi e di fidanzarsi a ottantacinque anni, con una bella signora di trentacinque. E' questo, il professor Sartori che più ci piace e più ci sta simpatico. Simpatico, in fondo, proprio come Scrooge.
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