Anyone but Cav.
Il blog di autoanalisi del Guardian – InsideGuardian.co.uk – ha rivelato a sorpresa che la parola più ricercata dagli utenti del quotidiano online è “Berlusconi”. Dietro al Cav. si sono piazzati “Iran” e “influenza suina”; “Obama” è miseramente sesto, “Susan Boyle” tredicesima. L'interesse per il nostro premier appare tuttavia svincolato da quello per il nostro paese, in quanto nella classifica per nazioni “Italy” si piazza non solo alle spalle dell'Iran ma anche di Cina, India, Russia, Germania, Israele.
Il blog di autoanalisi del Guardian – InsideGuardian.co.uk – ha rivelato a sorpresa che la parola più ricercata dagli utenti del quotidiano online è “Berlusconi”. Dietro al Cav. si sono piazzati “Iran” e “influenza suina”; “Obama” è miseramente sesto, “Susan Boyle” tredicesima. L'interesse per il nostro premier appare tuttavia svincolato da quello per il nostro paese, in quanto nella classifica per nazioni “Italy” si piazza non solo alle spalle dell'Iran ma anche di Cina, India, Russia, Germania, Israele, Turchia, Afghanistan, Pakistan e Grecia. Di là dal consuntivo di fine anno, questa statistica ha una rilevanza che indica il progresso dei gusti dei lettori del Guardian o meglio fornisce una chiara testimonianza riguardo alla concezione del quotidiano che si avanza fra gli utenti del Web: una fonte per apprendere notizie e commenti su Berlusconi più che sul British National Party (quarto), su Michael Jackson (sedicesimo) e sul G20 (venticinquesimo).
Purtroppo non è altrettanto semplice riuscire a stabilire i gusti dei lettori dell'edizione cartacea. Il Guardian è un quotidiano composto di tre sezioni staccate (durante il weekend diventano più di dieci); quindi si può agevolmente supporre che l'acquirente medio non lo legga dalla prima all'ultima parola. Non potendo disporre di statistiche sugli articoli più letti su carta, l'unica possibile soluzione è un gioco di specchi: tentare di capire come il Guardian venga percepito dai suoi lettori sulla scorta di come il Guardian stesso seleziona e impagina i propri articoli, così tale da intuire ciò che la redazione si aspetta che gli acquirenti leggano.
Anche in questo caso balza all'occhio un primato berlusconiano. Insieme al summit di Copenaghen, nella settimana appena trascorsa l'assalto a Berlusconi ha goduto sul Guardian di una copertura eccellente tanto per evidenza (due articoli di fila in prima pagina e ampio spazio nei commenti) quanto per continuità (almeno un articolo al giorno da lunedì in poi). Il confronto incrociato fra versione online e versione cartacea rende lampante che il Guardian nutre per Berlusconi un interesse superiore alla media delle altre testate estere.
Significa che il Guardian si sta trasformando nella versione d'oltremanica del Fatto o di Repubblica? John Lloyd, corsivista del Financial Times e membro del Reuters Institute for the Study of Journalism di Oxford, non è di quest'avviso. Interrogato dal Foglio, Lloyd distingue fra le due cose. Anzitutto “buona parte dei giornali britannici è quantomeno scettica riguardo a Berlusconi: il Times lo critica più del Guardian e perfino i tabloid popolari lo usano come fonte di storielle sexy un po' buffe”. Ne consegue che in Gran Bretagna la critica a Berlusconi non possa essere interpretata politicamente perché “perfino giornali di centrodestra come il Financial Times e l'Economist sono molto duri con lui”. Quanto alla generale identità del Guardian, Lloyd ravvisa che si sia piuttosto spostata “un po' verso il centro” ma in generale non gli sembra che ci siano stati “grandi cambiamenti, a parte una maggiore concentrazione su temi correlati all'ecologia”.
Il giorno dopo l'assalto a Berlusconi il Guardian presentava in prima pagina un resoconto di Fiona Winward corredato di foto del premier insanguinato e intitolato “Greetings from Milan”, saluti da Milano. Il sarcasmo un po' greve di questa scelta dava simbolicamente la stura a posizioni sempre più oltranziste. Nei giorni successivi il Guardian non ha mancato di giustapporre alla cronaca del decorso ospedaliero di Berlusconi considerazioni sul suo “calo di popolarità nei sondaggi”, sui suoi “problemi giuridici” e sul suo “coinvolgimento in scandali sessuali”.
Simon Hoggart, cronista di Westminster che nutre una preoccupante predilezione per barzellette spiazzanti, ha dedicato un corsivo a “quale edificio ecclesiastico locale possa essere scelto per un'eventuale aggressione” a un politico britannico. Il G2, dorsetto light del quotidiano, mentre Berlusconi era ancora ricoverato ha pubblicato un articolo che esordiva: “Domenica sera, prima di venire colpito al volto durante un comizio, Silvio Berlusconi ha fatto un annuncio scioccante: aprendosi la camicia ha mostrato al popolo italiano di non indossare alcuna maglia di lana. Ciò, ha rivendicato, dimostra come nonostante i suoi 73 anni d'età sia ancora giovane e in gran forma. Ma è solo in quest'impresa? I passeggeri di King's Cross sono coraggiosi come lui?”. Seguiva una serie di testimonianze di passanti chiamati a illustrare le proprie scelte in materia di indumenti intimi.
Tanto meno sono mancati interventi di giornalisti italiani appositamente ospitati dal Guardian: la freelance Manuela Mesco ha criticato la possibile limitazione di libertà su Facebook architettata dal ministro Maroni; Anna Masera, della Stampa, ha citato l'appello di Ezio Mauro contro la violenza fisica ma in difesa della libertà di espressione; Roberto Mancini, di Liberazione, ha fornito un “glossario di termini mafiosi” atto a “comprendere cosa sta succedendo all'Italia di Silvio Berlusconi”. L'opinione ufficiale del Guardian sull'assalto di Milano è stata espressa nell'editoriale anonimo del 16/12 significativamente intitolato “Silvio Berlusconi: politics alla puttanesca”, in cui le critiche di Cicchitto alla “campagna di odio” venivano equiparate a “una tecnica già sperimentata in un periodo più oscuro della storia d'Europa” nonché all'andazzo “di una repubblica centro-asiatica”. Al contrario il No Berlusconi Day era ritenuto indicativo di un'esigenza politica, dimostrando che ben a ragione “in Italia la gente non protesta contro il premier per ciò che rappresenta ma per ciò che è”.
Questo editoriale è stato ritenuto una risposta adeguata dal prof. Brian McNair, fondatore della Strathclyde School of Journalism and Communication e autore di “News and Journalism in the UK” (ma anche di “Striptease culture: sex, media and the democratization of desire”). McNair ribadisce al Foglio che “il Guardian non è diventato più liberal di quanto non fosse” e che nello specifico il suo atteggiamento nei confronti di Berlusconi è dovuto all'essere quest'ultimo “una figura altamente controversa, implicata in scandali di sesso e corruzione” che all'estero appaiono “tanto assurdi quanto sinistri”. L'atteggiamento del Guardian, secondo McNair, è giustificato dal fatto che “la storia fascista dell'Italia rende vieppiù importante che venga rispettata la piena libertà di stampa” minacciata dal premier. In definitiva “non bisogna incolpare il Guardian per gli eccessi di Berlusconi”.
Al contrario Andrew Michaels, capo dei servizi esteri del Daily Telegraph, signorilmente non si esprime riguardo alla posizione del Guardian (“non sarebbe appropriato”) e fa notare al Foglio che il suo quotidiano si è schierato per una posizione “che mi auguro riconoscerete equilibrata”: la colpa dell'accaduto va ricercata negli eccessi di entrambi gli schieramenti ed “è un peccato per l'Italia”.
Questa posizione è stata espressa dallo stesso Michaels nell'editoriale “Assault on Berlusconi shows Italy's lack of discourse”; sabato scorso però il Telegraph ha dedicato all'accaduto ben due articoli, entrambi di Nick Squires: uno elencava mese per mese i dettagli del “Berlusconi's annus horribilis”; l'altro azzardava un paragone con Mussolini, colpito al volto da un proiettile nel 1926 e “capace di usare l'attentato (…) per rinforzare la propria immagine di uomo di gran coraggio e saldi principi attaccato da folli ed estremisti, spingendo così l'Italia verso il fascismo e la disastrosa alleanza con Hitler”.
Il Telegraph è un quotidiano conservatore, quindi il suo atteggiamento va considerato opposto a quello del Guardian; come mai entrambi sembrano concordare nell'eccesso di pregiudizio contro Berlusconi? Il Foglio ha chiesto lumi al prof. Paolo Mancini, che si trova in una posizione di ideale terzietà in quanto insegna all'Università di Perugia ma al contempo è membro dell'Oxford Reuters Institute e quindi ben consapevole sia delle dinamiche politiche italiane sia del panorama mediatico inglese. “Quanto al Guardian”, esordisce Mancini, “si tratta di una questione di mercato come per tutti gli altri quotidiani”.
Lo storico quotidiano di Manchester recentemente s'è spostato su temi e tagli più liberal “perché il suo pubblico è cambiato, diventando sempre più istruito; i suoi lettori si sono spostati verso una fascia di mercato medio-alta; quindi il Guardian non si rivolge più agli operai ma a un target di intellettuali, insomma al milieu di Timothy Garton Ash. E' una scelta consapevole, presumibilmente basata su sondaggi e indagini di mercato”. La sostanziale trasformazione del Guardian in quotidiano d'opinione è molto simile “all'evoluzione di Repubblica”.
Il 19 gennaio Mancini terrà alla London School of Economics una conferenza intitolata “Berlusconi Common Sense”, nella quale spiegherà che “la sua avventura politica può essere interpretata come segnale della fine di una forma politica degli ultimi due secoli basata sulla natura ideologica dei partiti di massa”. Ai suoi occhi l'ossessione del Guardian (e dei suoi lettori) nei confronti di Berlusconi “si basa sulla percezione del premier come di un personaggio politico eccentrico ma che al contempo rappresenta il rassicurante stereotipo dell'italiano medio, in Gran Bretagna ritenuto un po' ridicolo”. Anche la scelta di dare molto spazio alle dichiarazioni più incendiarie di Di Pietro non è un endorsement ma “l'individuazione di un contraltare a Berlusconi che rientri nello stesso stereotipo dell'Italietta rissosa e sopra le righe. Se per assurdo Berlusconi non esistesse, verrebbe trovato un altro oggetto sul quale focalizzare lo stesso interesse stereotipato”. Un interesse che non manca di una certa sufficienza, come nel caso dell'articolo in cui il Guardian parlava di Berlusconi costretto per la quarta notte “in ospedale a Torino”? “Questo errore non l'ho notato, ma in linea generale all'estero non intendono parlare dell'Italia come di un paese normale. Non sanno e non vogliono farlo”.
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