L'ayatollah “topo gigio”

Carlo Panella

Montazeri è stato l'archetipo del religioso sciita su cui Khomeini ha costruito il suo “Partito di Allah”, o “Hezbollah”. Nato nel 1922 da una famiglia di agricoltori nella provincia più profonda, a Najafabad, nell'Iran centrale, Montazeri cominciò gli studi religiosi a dieci anni, prima a Isfahan e poi a Qom, cioè in università coraniche periferiche rispetto a quella di Najaf, in Iraq, che è il vero e unico “Vaticano sciita”, che forma la più importante Marjia a cui gli sciiti di tutto il mondo guardano.

    Montazeri è stato l'archetipo del religioso sciita su cui Khomeini ha costruito il suo “Partito di Allah”, o “Hezbollah”. Nato nel 1922 da una famiglia di agricoltori nella provincia più profonda, a Najafabad, nell'Iran centrale, Montazeri cominciò gli studi religiosi a dieci anni, prima a Isfahan e poi a Qom, cioè in università coraniche periferiche rispetto a quella di Najaf, in Iraq, che è il vero e unico “Vaticano sciita”, che forma la più importante Marjia a cui gli sciiti di tutto il mondo guardano. Marginale, come Khomeini, rispetto alle intricate e misteriose correnti che costituivano la direzione teologica e politica degli sciiti iraniani, Montazeri è stato uno dei pochissimi ayatollah che Khomeini si trovò al suo fianco nel 1963, quando chiamò il popolo iraniano alla rivolta contro la Riforma agraria antifeudale dello scià. Riforma che J.F. Kennedy impose (quasi con la forza) allo scià Reza Pahlevi col fine di liberare i contadini da rapporti di servitù della gleba, di favorire la formazione di una classe di agricoltori medio-alti e di accelerare così un minimo di accumulazione finanziaria su cui innestare lo sviluppo. Quella “rivoluzione bianca”, pilotata da un kennedismo dogmatico e velleitario, conseguì un discreto successo strutturale, ma produsse un disastro culturale e sociale, di cui Khomeini – con Montazeri – fece pieno profitto.

    Nella primavera del 1963 i loro appelli alla rivolta contro la Riforma agraria ebbero grande eco, le manifestazioni scossero Teheran e tutto il paese. Il regime scricchiolò, rispose con una repressione feroce, seminò morte per le strade e superò la crisi soltanto con la repressione più dura. Khomeini fu prima condannato a morte – pare – e poi grazie al grande ayatollah Shariat Madari (il più autorevole di Qom) fu costretto all'esilio a Najaf. Ma lasciò in Iran il fido Montazeri che – più volte arrestato – si rivelò nell'arco di 15 anni un eccezionale organizzatore e catalizzatore di consensi in tutte le moschee delle campagne e in quelle delle periferie di Teheran. I suoi interlocutori erano le decine di ayatollah e le migliaia di mullah che controllavano i grandi latifondi che possedevano le Waqf, le Fondazioni islamiche, che avevano visto colpiti a morte interessi fondiari e ruolo sociale. E non erano isolati dai loro fedeli. La Riforma agraria produsse un'epocale urbanizzazione di braccianti e piccoli contadini travolti e privati del loro reddito di sussistenza, che si riversarono su una Teheran passata  dalle poche centinaia di migliaia di abitanti dei primi anni Sessanta agli attuali 10-12 milioni.

    Per 15 anni, dal 1963 al 1978, Montazeri fu al centro della trama di una resistenza sotterranea, i cui nodi principali erano religiosi di scarso peso teologico, ma molto radicati socialmente nelle province e nelle campagne. Ali Khamenei, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani (latifondista di pistacchi) e Hossein Behesti erano i più tipici rappresentanti di questa leadership parallela, guardata dall'alto in basso dai grandi ayatollah di Qom, nettamente opposti al cosmopolitismo moderno di un altro ayatollah, Mohammed Taleghani, che era la figura più amata e seguita a Teheran. Per usare un termine europeo: in quegli anni Montazeri ha organizzato capillarmente l'insurrezione della Vandea iraniana. Con la differenza che quella Vandea di mostafazin ( i “diseredati”) e di religiosi marginali materialmente circondava – e poi ha “mangiato” – la capitale, la polis, la sua rivoluzione e i dirigenti laici che aveva prodotto.
    Conquistato il potere con la Rivoluzione del 1979, si scoprì che la dirigenza laica che Khomeini era stato in un certo senso obbligato a porre al vertice della sua Repubblica islamica era in realtà priva di spessore, che aveva un'esile base popolare di consenso.

    Usando prima l'occupazione dell'ambasciata americana di Teheran e poi la guerra con l'Iraq, Khomeini ebbe buon gioco a eliminare dal governo i laici Mehdi Bazargan, Abolhassan Banisadr, Ibrahim Yazdi, Ahmed Salamatian e Ghotbzadeh Sadegh, per affidare il compito di gestire lo stato, ai suoi ordini, al partito della Repubblica islamica di Rafsanjani e Khamenei. Il “partito della Vandea islamica iraniana”, con i suoi dirigenti dal secondario peso dottrinale (sia Khamenei sia Rafsanjani non erano ayatollah, ma solo hojatoleslam), esercitò da allora in poi il controllo di tutti i gangli del potere.
    Montazeri ebbe da subito da Khomeini il pieno riconoscimento del suo ruolo centrale nella formazione del proprio blocco di potere e fu da lui, da subito, indicato quale suo successore come Guida della Rivoluzione, Rahabar, giureconsulto. Montazeri assecondò per anni, senza mai fiatare, la più crudele ed efferata gestione del potere khomeinista, l'eliminazione dei laici (anche fisica, Ghotbzadeh Sadegh finì sulla forca), la repressione in Kurdistan e l'uccisione di migliaia di oppositori di provata fede musulmana, a iniziare dai mujaheddin del popolo fondati dall'ayatollah Teleghani.
    Al suo fianco  aveva Mir Hussein Moussavi, nominato primo ministro nel 1981, oggi leader degli oppositori, allora fedele esecutore dei più crudeli ordini di Khomeini. Ma Montazeri fece anche di più: fu complice nell'estirpazione – il termine è quasi un eufemismo – del ruolo dei grandi ayatollah dalla gerarchia sciita iraniana. Morto l'ayatollah Taleghani, Khomeini portò a termine questa emarginazione con una mossa magistrale: accusò il più seguito e autorevole ayatollah di Qom, Shariat Madari, di aver complottato contro di lui. Gli risparmiò la vita (perché gli doveva la sua, dal 1963), ma lo ridusse allo stato laicale e agli arresti domiciliari. Poi arrestò o fece uccidere – come testimonia Amir Taheri – non meno di 4.000 tra ayatollah e mullah. Infine e senza problemi, grazie a questa stagione di terrore, costrinse i grandi ayatollah a occuparsi – pena la persecuzione più dura – unicamente di studi teologici.

    Montazeri fu decisivo, materialmente, per la scrittura della Costituzione teocratica della Repubblica islamica, emarginando sia Shariat Madari (che chiamò invano il popolo a opporsi) e altri ayatollah. Già negli anni Sessanta Khomeini – che non era affatto un gran teorico ed era marginale nella gerarchia sciita – aveva trovato in Montazeri il teorico in grado di permettergli di sviluppare il suo scisma. Montazeri aveva prodotto testi che risolvevano in modo originale e propositivo il dilemma che aveva sempre travagliato il mondo sciita: dando per assodato il rifiuto della legittimità dei califfi sunniti (che avevano usurpato la carica emarginando i discendenti di Maometto, a partire dalla figlia Fatima e da suo marito Ali) e ancor più dei sovrani laici (vuoi le dinastie Safavidi e Qajar, vuoi quella dei Pahlavi), qual era il modello di stato cui gli sciiti dovevano ispirarsi?

    Shariat Madari, Taleghani e altri grandi ayatollah avevano risposto nel 1978, quando la Rivoluzione era ancora in marcia e il potere dello scià, ancora regnante, iniziava a scricchiolare: a causa dell'assenza dalla Storia del dodicesimo Imam (che è in un certo senso il Messia sciita), il compito di interpretare il volere di Allah si era “diffuso nella umma” in cui risiede la sovranità (ovviamente escludendo o marginalizzando i non musulmani). Era un'originale concezione in alveo islamico della democrazia, della necessità teologica del pieno esercizio della sovranità popolare. E' questa oggi la concezione della sede della sovranità, teorizzata dalla Marjia di Najaf e dal grande ayatollah Ali al Sistani, che nel 1979 si oppose fieramente alla Costituzione voluta da Khomeini. E' questo il principio che ispira la Costituzione della Repubblica dell'Iraq, quella Costituzione democratica cui oggi guardano gli oppositori del regime iraniano.

    Montazeri, in sintonia con Khomeini, propendeva per tutt'altra e opposta opzione: in assenza del dodicesimo Imam il potere, tutto il potere, va riconosciuto solo e unicamente ad Allah e sulla terra non deve affatto essere esercitato dalla sovranità popolare della umma, ma da un uomo e un uomo solo: il Giureconsulto, secondo la formula della “Velayat-e faqih”, il governo del Giureconsulto. Questa è l'essenza dello scisma khomeinista. Questo è il fondamento della teocrazia iraniana. La Costituzione iraniana è la riproposizione moderna della concezione dello stato del grande filosofo sciita Abu Nasr al Farabi, vissuto a cavallo tra il IX e il X secolo, che aveva delineato uno stato neoplatonico piramidale (simile alla Città del Sole di  Tommaso Campanella o a Utopia di Thomas Moore) in cui al Filosofo, meglio, al Giureconsulto, al Conoscitore della Legge spettava il ruolo apicale, di Guida, mentre una serie di Consigli ne avrebbero accompagnato e aiutato la direzione dello stato.
    In realtà, Montazeri non concepiva il ruolo del Giureconsulto esattamente come Khomeini e pensava che il suo fosse solo un ruolo di supervisione autorevole e inappellabile, rispetto a un potere politico, militare e giudiziario che si sarebbe dovuto formare secondo la volontà popolare della umma. Ma tacque e non fece la minima fronda quando Khomeini lo intese, e lo esercitò, quale sede del potere pieno e incontrastato sullo stato, sul governo, sulle Forze armate e sul sistema giudiziario. Tacque per nove anni, in cui continuò a essere indicato – con elezione formale da parte del Consiglio dei Guardiani nel 1985 – quale Rahabar dopo la morte di Khomeini.

    Il tarlo della sua dissidenza teologica e politica con Khomeini, nonostante nove anni di pieno opportunismo politico, anche a fronte di migliaia di iraniani massacrati, lo spinse, in extremis, a una ribellione tanto coraggiosa quanto inaspettata – gli oppositori filoBanisadr lo chiamavano “Topo Gigio”, trasmissione molto popolare in Iran, venduta proprio dopo la Rivoluzione dalla Rai alla tv iraniana. Nel 1988 Montazeri protestò improvvisamente contro l'ennesimo bagno di sangue di migliaia di mujaheddin del popolo che Khomeini ordinò di fucilare nelle carceri iraniane in cui erano rinchiusi da anni. Poi giudicò immotivata la fatwa con cui Khomeini aveva condannato a morte Salman Rushdie e i suoi “Versetti satanici”. Fornì così – con tardiva resipiscenza – il fianco scoperto ai suoi ex pupilli Rafsanjani e Khamenei che avevano tutto l'interesse a eliminarlo dalla successione, come si vide alla morte di Khomeini. Rafsanjani aveva uno scabroso conto aperto con lui, perché nel 1986 era stato proprio Montazeri a spingere un suo fidato collaboratore, Mehdi Hashemi, che gestiva il sostegno all'Hezbollah libanese, a rivelare alla rivista libanese al Shiraale le forniture di armi degli Stati Uniti a Teheran (in parte poi girate ai Contras nicaraguegni)  nel pieno della guerra con l'Iraq. Era  scoppiato così lo scandalo “Iran-Contras”, un affaire gestito dallo stesso Rafsanjani, che vi aveva lucrato cospicue mazzette (questo suo fiduciario, Mehdi Ashemi, è stato probabilmente il mandante degli attentati che nel 1983 a Beirut uccisero 225 marine americani e 180 parà francesi).

    La “scandalosa” fronda di Montazeri offrì ampi argomenti a Rafsanjani (presidente del Parlamento, il Majlis) e Khamenei (presidente della Repubblica) per convincere il Rahabar – che già aveva molti dubbi – a sconfessarlo. Nel marzo del 1989, soltanto tre mesi prima della morte, Khomeini lo eliminò brutalmente dalla successione e gli tolse il titolo di ayatollah. Sferzanti le parole con cui Khomeini motivò la sua destituzione: “La guida della Repubblica islamica è una grave responsabilità e per la sua ingenuità e mancanza di tolleranza Montazeri non è in grado di assumerla.”
    Morto Khomeini, i suoi ex due sodali, Rafsanjani e Khamenei, portarono a frutto l'eliminazione dello scomodo rivale: Rafsanjani fece promuovere sul campo Khamenei ayatollah e, quale presidente del Consiglio dei Guardiani, lo fece nominare Giureconsulto.

    Emarginato, privo di ogni prospettiva di potere, allora, ma solo allora, Montazeri, finalmente, diede il meglio di sé. Continuò a sferzare il regime, tanto che nel 1997 fu messo agli arresti domiciliari e ottenne la piena libertà solo nel 2008. E' quindi naturale che nel giugno 2009, dopo la sterile esperienza riformista di Khatami, suo sodale, e dopo la grande truffa elettorale, abbiano guardato a lui tutti gli oppositori di Ahmadinejad e i seguaci di Moussavi. E nell'occasione  Montazeri è stato coerente con l'ultimo sé stesso. Nel luglio del 2009 ha emesso una fondamentale fatwa in cui legittimava la necessità islamica di rivoltarsi contro il regime e la motivava teologicamente. Un atto coraggioso, una specie di manifesto dell'opposizione sciita in cui, finalmente, con trenta anni di ritardo, smontava dal punto di vista teologico le basi dittatoriali della “Velayat-e faqih” a cui lui stesso aveva dato un contributo essenziale e auspicava un ritorno alla sovranità popolare, quantomeno all'interno della umma islamica. In questa fatwa denunciava il cambiamento di natura della teocrazia, dal Giureconsulto ai pasdaran, al “clero combattente”, ai “militari islamici”, che hanno in Ahmadinejad il loro portavoce e che per otto anni, tra il 1980 e il 1988, hanno combattuto per esportare la Rivoluzione khomeinista in tutta la umma islamica (e che oggi vogliono la bomba atomica per lo stesso identico fine).
    Questa mutazione è l'esito dovuto dello scisma khomeinista che tanto deve a Montazeri: se il “prius” della umma è l'esportazione della Rivoluzione islamica, se la gerarchia sciita deve essere emarginata a favore dei “mullah della Vandea”, ispirati a un islam dogmatico e feroce, è nella natura delle cose che “l'esercito della Vandea islamica”, i nuovi monaci guerrieri alla Ahmadinejad ne assumano il comando politico.

    Questa è la contraddizione dell'Iran di oggi: a partire da Montazeri, per finire con Moussavi, passando per Rafsanjani, tutti i leader spirituali e politici che vorrebbero abolire la “Velayat-e faqieh” di Khamenei furono in prima fila con Khomeini per instaurarla. E hanno di fronte oggi, a contrastarli e perseguitarli, il grande blocco sociale rivoluzionario e filodittatoriale che loro stessi hanno contribuito a rafforzare. Questa contraddizione è uno dei grandi limiti dell'onda verde. Soprattutto perché, anche grazie a Montazeri (di cui era uno dei pupilli), Rafsanjani (che l'ha intronato) e Moussavi (che, premier, ne era un fedele esecutore, quando era presidente della Repubblica), Khamenei e il suo “clero combattente” possono contare oggi su una solida base sociale di consenso tra gli iraniani. Anche per costruire l'atomica. Anche per distruggere Israele, che è stato sempre il grande sogno dell'ayatollah Montazeri.