Sponsor addio, ma l'etica gioca su un altro green

Nei passi precostituiti della saga Tiger si sta precostituendo la resurrezione

Stefano Pistolini

Ne avrebbe fatto a meno ma, coerentemente, Tiger Woods ha chiuso l'anno orribile 2009 con l'ultimo inciampo. Nel giorno del suo 34° compleanno, la AT&T ha annullato – avendone facoltà – l'accordo di sponsorizzazione: con uno scarno comunicato, le quattro lettere scompaiono dalle sacche del campione, mentre gli si augurano le migliori fortune per il futuro. Pepsi ha già ritirato il Gatorade ispirato a Woods, il “Tiger Focus”, bevanda che evoca la visione più nerd e consumistica dello sport.

    Ne avrebbe fatto a meno ma, coerentemente, Tiger Woods ha chiuso l'anno orribile 2009 con l'ultimo inciampo. Nel giorno del suo 34° compleanno, la AT&T ha annullato – avendone facoltà – l'accordo di sponsorizzazione: con uno scarno comunicato, le quattro lettere scompaiono dalle sacche del campione, mentre gli si augurano le migliori fortune per il futuro. Pepsi ha già ritirato il Gatorade ispirato a Woods, il “Tiger Focus”, bevanda che evoca la visione più nerd e consumistica dello sport. Appare orientata diversamente la Nike: in catalogo ha varie linee che portano il nome e ostentano la consulenza di Tiger.

    Almeno nel linguaggio del merchandising, qui si tratterebbe di una collaborazione tecnica, garantita dal talento del protagonista, e solo ammaccata dalle disavventure di Woods e delle sue tante signore. La AT&T, invece, voleva solo una bella faccia per le sue offerte, come fa Clooney col caffè o Totti con la Vodafone. Crollando la reputazione dell'uomo-immagine, scompare il senso dell'operazione. Meglio scappare, come pensano di fare anche Tag Heuer, fabbricante svizzero di orologi, Procter & Gamble e altri marchi, mentre la compagnia Accenture, ha già rotto i ponti con Tiger.  Grazie all'efficacia della sua icona, si è calcolato che Woods sia stato il primo sportivo a guadagnare un miliardo di dollari, di cui solo la decima parte vinta sul green, il resto prelevato dagli stessi investitori che ora sopporterebbero perdite da 12 miliardi di dollari.

    Lui, dal giorno dell'incidente, è sparito. I siti di gossip come Tmz o X17 – che grazie alle disavventure di gente come Woods o Michael Jackson hanno conosciuto la migliore stagione della loro storia – sostengono che l'asso del golf sarebbe in una lussuosa clinica dell'Arizona, o per la solita, indecifrabile “disintossicazione dal sesso”, o per qualche ritocco di chirurgia plastica (altro onnipresente oggetto della cultura della celebrità), dal momento che quella sera, rientrando a casa da un poker, Tiger avrebbe trovato ad attenderlo la consorte Elin con una mazza numero 9.

    Diagnosi: uno zigomo rotto e due denti spezzati. Poi la fuga, terrorizzato e scalzo, a bordo del macchinone, l'inseguimento della valchiria armata e ferita nell'orgoglio, l'ultimo fatale colpo vibrato al deflettore e dopo pochi metri il faccia a faccia con un palo, seguito dalla strombazzata deflagrazione della verità (che nel giro del golf pare fosse il segreto di Pulcinella): il campionissimo modello, l'erede di Michael Jordan quanto a crossover appeal – la contemporanea capacità di piacere indistintamente a bianchi e neri – non era ciò che sembrava, fenomeno, padre modello, marito perfetto, evoluzione dello splendore americano. Era solo un miliardario assatanato ed edonista, pur restando il migliore quanto al mandare la palla in buca. Ciò che è seguito, ha l'aria di passaggi precostituiti. La confessione, la penitenza, il ritiro dalla scena in cerca di espiazione e sbrigativo perdono. Nel frattempo s'incolonnavano le dozzine di amanti vere o presunte, invariabilmente di nome Holly, Cori o Mindy, a caccia di comparsate nei talk show.
    Tutto, in vista dell'epilogo: la resurrezione. Istante irrinunciabile nel vivere da famosi. Gli stessi media che hanno contribuito a creare Tiger, l'hanno scarnificato. Ma presto provvederanno a rimetterlo sul piedistallo, perché nessuna storia è migliore del “solo chi cade può risorgere”. Pura saga emotiva. Il mito ripartirà da qui, seppure stazzonato.

    Il pubblico impazzirà dalla voglia di vederlo tornare. Ci sarà un interesse parossistico attorno a lui. In America c'è una cosa che alla gente piace vedere più di un idolo nella polvere: vederlo eroicamente rialzarsi”, commenta Bob Boland, docente di management sportivo alla NYU. Di certo la storia non si esaurisce con le cronache del congedo degli sponsor. Tiger è uno che infiamma. A inizio 2009 la rivista “Golf Digest” pubblicò una copertina strillata: “I trucchi che Obama può prendere da Tiger”. Vi si diceva che un presidente innovativo come Obama dovesse badare al primo comandamento della legge di Woods: “Non far nulla che ti faccia sembrare ridicolo”. Adesso Tiger farà i conti con un teorema ancor più audace: la fama conta di più, addirittura sovrasta, la qualità umana. E noi conteggeremo quanti utilizzeranno questo principio per avviare le loro manovre di rientro. Questione di tempismo e d'intuito. L'etica gioca in un altro campionato.