La sua passione erano le storie, da leggere e raccontare
Beniamino Placido, che sapeva vedere Omero in Beautiful
La vera passione di Beniamino Placido – morto a meno di un mese dall'ottantunesimo compleanno, all'alba di ieri, a Cambridge, dove si era da poco trasferito per stare con la figlia Barbara e con i due nipotini – erano le storie. Le storie da ascoltare e da raccontare, da leggere e da guardare, al cinema e in televisione, Omero e Beautiful, Achille e Chandler, Tim Burton e Ulisse (ma anche Del Piero, perché l'epica sportiva, le metafore calcistiche e il tifo per la Juve erano un altro tratto costitutivo del suo stile).
La vera passione di Beniamino Placido – morto a meno di un mese dall'ottantunesimo compleanno, all'alba di ieri, a Cambridge, dove si era da poco trasferito per stare con la figlia Barbara e con i due nipotini – erano le storie. Le storie da ascoltare e da raccontare, da leggere e da guardare, al cinema e in televisione, Omero e Beautiful, Achille e Chandler, Tim Burton e Ulisse (ma anche Del Piero, perché l'epica sportiva, le metafore calcistiche e il tifo per la Juve erano un altro tratto costitutivo del suo stile).
Del “meridionale imperfetto” che si considerava (per via dell'emigrazione precoce con mamma vedova e quattro fratelli dalla natia Rionero in Vulture verso Roma, dove poi ha sempre vissuto) aveva conservato e al massimo valorizzato certe caratteristiche legate all'attenzione e alla curiosità per gli altri, all'idea che fatti e fatterelli ingiustamente ritenuti insignificanti possano invece trattenere frammenti di verità, da spigolare, registrare e, se del caso, condividere. Anche l'attività di critico televisivo – quella che più lo ha reso popolare, grazie alla rubrica quotidiana tenuta per otto anni su Repubblica – era per lui, spiegò una volta al più giovane collega Aldo Grasso, “come nei paesi, affacciarsi alla finestra e vedere che cosa accade, chi passa, che cosa si dice, né più né meno. Non l'ho mai presa in un modo diverso da questo, che però è un modo, mi pare, estremamente rispettabile. C'è stata una mia zia, una delle mie zie contadine che avevano gli animali in casa, alla quale è accaduto una volta che il maiale avesse spinto il muso presso la finestra. E le amiche, le comari entrate chiesero a mia zia: ‘Ma che diavolo fa il maiale?'. Lei diede una risposta che diventò famosa in tutto il paese, rispose: ‘Guarda chi passa. Anche i maiali hanno voglia di guardare chi passa, di sapere che cosa accade, di informarsi su quello che si dice'. Ho guardato chi passava”.
Beniamino Placido lo ha fatto con arguzia ma senza spocchia, forte ma non tronfio delle infinite letture e dei coltissimi ed eclettici interessi, che non usò mai come una clava. Preferiva l'efficacia del sottotono, dell'ironia, dell'autoironia e della contaminazione spericolata e giocosa, nella quale è stato maestro e ispiratore di molti. Per questo, anche ora che da tempo Placido non scriveva più, costretto al silenzio da una malattia lunga e invalidante, lui continuava in qualche modo a esserci. E non si è mai interrotta – lo ricordava il critico letterario Enzo Golino in un piccolo “libro degli amici” dedicato a Placido nel 2006, in occasione del suo settantasettesimo compleanno – la gara per l'adesione al Club degli Inventori di Beniamino, “una setta esclusiva, tormentata dal fazioso struggimento di ciascuno degli iscritti a volersi considerare primi in assoluto – l'uno dell'altro invidioso – ad avergli dato visibilità nelle pratiche in cui il soggetto di tanto interesse era invitato a esercitare il suo talento”.
Le pratiche, in effetti, sono state molte e molto diverse. Studioso di letteratura americana, materia che per qualche tempo ha insegnato all'Università di Roma dopo essere stato per molti anni funzionario della Camera dei deputati (a metà degli anni Cinquanta aveva vinto il concorso, secondo su cinquecento partecipanti, e aveva lungamente lavorato come segretario della commissione Agricoltura, della commissione Istruzione e come vicedirettore del Servizio commissioni), Beniamino Placido ha vissuto molte vite professionali, riuscendo ad amalgamarle in un fondamentale atteggiamento di cura e di attenzione: per le parole, per le amicizie, per le buone maniere, per il dialogo serio e fantasioso che andava intrecciando con i suoi lettori e con chi ha seguito le sue trasmissioni televisive.
Memorabili serate dedicate sulla terza rete Rai a Marx, a Garibaldi, a Manzoni, ma anche cronache quotidiane dalla Mostra del cinema di Venezia o le conversazioni con Indro Montanelli (“Eppur si muove”, nella sigla c'era “O sole mio” sulle immagini del “Dottor Jekyll e mister Hyde”: si discuteva soprattutto di maschere nazionali, per esempio di “furbi e fessi”). Negli anni in cui Beniamino Placido si era occupato del Salone del libro di Torino, inventando edizioni su temi come “l'immortalità” o “il secolo delle donne”, era visibile il suo entusiasmo, il divertimento, la felicità di aver trovato pane per i suoi denti. Fu ricambiato da grandi successi e dall'affetto dei suoi estasiati collaboratori. Che lui coccolava, come sempre ha fatto con gli amici. Senza affettazione, perché gli veniva del tutto naturale.
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