“Io, loro e Lara” - Prove cinematografiche di fede

Bianco rosso e in abito talare. Così don Carlo Verdone ritorna in sagrestia

Stefano Di Michele

C’è sempre un prete che torna. E nel ritorno di un prete, cinematograficamente parlando, c’è sempre qualcosa di buono. Se non per la gente, se non per il Padreterno, almeno per lui. E se quasi un quarto di secolo fa l’insopportabile don Giulio di Nanni Moretti tornava da un’isola per riparare infine in una chiesetta in mezzo alla Terra del Fuoco (geniale inversione dell’ordine delle cose: invece di cercare Dio, è il Padreterno che deve venire a scovarti – del resto, fa parte del Suo mestiere), adesso tocca al missionario padre Carlo di Carlo Verdone nel film “Io, loro e Lara”.

    C’è sempre un prete che torna. E nel ritorno di un prete, cinematograficamente parlando, c’è sempre qualcosa di buono. Se non per la gente, se non per il Padreterno, almeno per lui. E se quasi un quarto di secolo fa l’insopportabile don Giulio di Nanni Moretti tornava da un’isola per riparare infine in una chiesetta in mezzo alla Terra del Fuoco (geniale inversione dell’ordine delle cose: invece di cercare Dio, è il Padreterno che deve venire a scovarti – del resto, fa parte del Suo mestiere), adesso tocca al missionario padre Carlo di Carlo (ma guarda un po’, prete e attore si chiamano allo stesso modo) Verdone nel film “Io, loro e Lara”. Che dubbi ne ha (il preservativo, l’Aids, le tentazioni della carne), e sconfitte ne subisce, come quando ritrova sul ciglio della statale certe sue pecorelle smarrite arrivate direttamente dall’Africa, e stanno orbe di fede e, oggettivamente, “pure di mutande”.

     

    E tanto era insopportabile la famiglia di don Giulio, tanto è insopportabile questa di padre Carlo: dal babbo un po’ rincoglionito e in tardo arrapamento dietro la badante moldava al fratello cocainomane alla sorella psicologa – che più che altro di una psicologa avrebbe bisogno. Chiaro che, piuttosto che una simile attruppata, meglio: a) il seminario; b) la savana. Ma non è una caricatura, quella di padre Carlo. Anzi, ripetutamente Verdone ha spiegato che ha voluto interpretare il missionario (e dopo aver rassicurato sulle migliori intenzioni i missionari tutti, comboniani e gesuiti) proprio per non ripetere il puttaniere borghese, il cinico arraffone, il coglione modaiolo (quello che voleva chiamare suo figlio Kevin: peccato per cui non c’è assoluzione), il tenero pasticcione, l’insopportabile psicolabile, “scusa cara, mi dai qualche momento di concentrazione onde avere un’eccellente erezione?”.

     

    Un uomo perbene, voleva interpretare Verdone, un uomo “etico”. Ha detto pure: “In mancanza di altri punti di riferimento, credo che questi preti siano sempre più al centro dell’interesse della gente”. E di più, quando qualche tonaca mostrò apprensione per il progetto – sullo schermo, e con una certa saggezza, i preti hanno sempre il sospetto di un seguito possibile di “Uccelli di rovo” adeguatamente aggiornato – Verdone chiarì che, casomai, ne poteva venir fuori “un bell’assist per la chiesa”. Dal Gallo Cedrone al missionario un po’ sperso, il sospetto di una conversione del regista potrebbe farsi strada. Bastava vederlo domenica sera, da Fabio Fazio, mentre in lungo e in largo ripercorreva tutta la sua vita alla luce tanto dei preti cinematografici interpretati quanto dei preti reali incontrati, a cominciare dai Pallottini che stavano di convento davanti casa sua, e nella cui chiesa servì messa per anni – fino a quando il collega chirichetto non fu beccato a fare la cresta sulle offerte, e il sospetto di un’associazione a delinquere si fece strada in sagrestia. “All’università ho studiato storia delle religioni. Se non avessi fatto l’attore, molto probabilmente sarei diventato docente in questo ambito, che mi ha sempre appassionato molto”, ha aggiunto.

     

    Per fortuna, Verdone ha assicurato che non andrebbe mai in giro a parlare della sua fede e di sempre possibili folgorazioni mariane – essendo la casistica dei vip convertiti molto affollata e piuttosto grottesca. Persino quelli della Cei si sono goduti in anteprima l’opera, e il giudizio è stato positivo, “guardarlo è stata come una carezza”. Ha molti amici preti, Verdone – scambio quantomeno alla pari, tra la sua ammirevole conoscenza degli ansiolitici e la loro profonda convinzione della serenità che dà la fede. E di molti parla con ammirazione. Forse esagera un po’ solo quando batte e ribatte sul fatto che padre Carlo è “un prete moderno” – definizione ambigua, essendo spesso il “prete moderno” ciarliero molto e suggestivo poco, ben più moderno era il suo caricaturale don Alfio di tanti anni fa, con gli occhiali da sole, il linguaggio giovanile e l’inconcludenza parolaia. Nell’attesa del Papa morettiano, questo “bianco, rosso e pretone” risulta intanto già una bella prova di fede.