Il Cav. annuncia le riforme per il 2010. Ecco gli ostacoli che dovrà evitare

Salvatore Merlo

Silvio Berlusconi ha inaugurato la strategia distensiva del dialogo con le opposizioni e nel Pdl, persino tra alcuni dei più muscolari dirigenti berlusconiani l'umore del leader viene assecondato e amplificato. Con risultati positivi, come conferma anche Maurizio Gasparri: “Ci sono tutte le condizioni per avviare, dopo le regionali, quel costruttivo confronto sulle riforme che auspichiamo da tempo e sul quale anche il presidente Napolitano è più volte intervenuto”. Così il clima appare disteso e le buone promesse di riforme condivise, grazie anche al contrafforte istituzionale del Quirinale, sembrano più che mai plausibili.

    Silvio Berlusconi ha inaugurato la strategia distensiva del dialogo con le opposizioni e nel Pdl, persino tra alcuni dei più muscolari dirigenti berlusconiani l'umore del leader viene assecondato e amplificato. Con risultati positivi, come conferma anche Maurizio Gasparri: “Ci sono tutte le condizioni per avviare, dopo le regionali, quel costruttivo confronto sulle riforme che auspichiamo da tempo e sul quale anche il presidente Napolitano è più volte intervenuto”. Così il clima appare disteso e le buone promesse di riforme condivise, grazie anche al contrafforte istituzionale del Quirinale, sembrano più che mai plausibili. Eppure, al di la delle apparenze, non mancano i sintomi di debolezza di un dialogo annunciato all'indomani dell'aggressione di Milano: lo stil novo può interrompersi bruscamente alla prima verifica di Palazzo. Una possibilità che anche Paolo Bonaiuti, forse per ragioni scaramantiche, ma forse anche perché al corrente dei pensieri del Cav., sembra ventilare quando scherzando dice che “l'Epifania tutte le feste si porta via, ma non vorrei che domani con l'Epifania sparissero anche tutti i progetti di dialogo, di confronto e di ricerca delle intese”.

    Il premier, è vero, da giorni lavora a un intervento pubblico, a un discorso alla nazione dall'impianto volitivo, riformista e dialogante. Ma l'agenda d'azione che il Pdl sta mettendo giù in queste ore rischia fatalmente di scontrarsi, in tempi brevissimi, col riflesso giustizialista che anima ampi settori del centrosinistra. Nel partito berlusconiano le dichiarazioni distensive si accompagnano a stereotipati ultimatum al Pd (“rompa con Antonio Di Pietro”, copyright Daniele Capezzone) rafforzati specularmente dalle parole dell'ex pm, il quale si è rivolto al vicesegretario democratico Enrico Letta definendolo “la grancassa di Fabrizio Cicchitto”. Il massiccio intervento della maggioranza intorno ai problemi giudiziari del premier che dovrebbe giungere a compimento entro la fine di febbraio, combinato con il clima della campagna elettorale per le regionali di marzo, rischia di comportare la fine prematura del confronto tra le forze politiche. Tanto più perché sia il Pd sia il Pdl, anche per timore di un eccessivo rimescolamento degli equilibri, sono restii all'ipotesi di costituire un organismo ad hoc per ragionare di riforme come proposto dalla Lega, asseverando, al contrario, la centralità del Parlamento. Un luogo dove peraltro – come sostengono in molti – in questa legislatura non siedono più gli storici ufficiali di collegamento tra i due poli.

    Nelle file parlamentari del Partito democratico, per decisione di Walter Veltroni, è scomparsa la genia dei Guido Calvi e dei Luciano Violante, così come anche Marco Boato non siede più alla Camera. Secondo molti osservatori manca quel “tessuto connettivo” politico, fatto di esperienza combinata a capacità tecnica, indispensabile a un serio tentativo di riforme condivise. Forse anche per questo, facendosi poche illusioni, nell'entourage di Berlusconi non si progetta una grande stagione costituente ma ci si acconcia all'idea di fare da soli a cominciare dal tema divisivo della giustizia. Dal Pd arrivano segnali contraddittori, ancora da interpretare, e sebbene anche nella minoranza del partito si stiano aprendo spiragli di trattativa sull'immunità parlamentare (Enrico Morando), gli interlocutori del Pdl hanno l'impressione che manchi un preciso mandato politico e un'univoca linea d'azione concordata nella segreteria di Pier Luigi Bersani.

    Il 12 gennaio, a Montecitorio, è prevista una tavola rotonda dal titolo “Il Parlamento e l'evoluzione degli strumenti della legislazione”. Presenti, tra gli altri, Gianfranco Fini, Luciano Violante e Pier Ferdinando Casini. Si parlerà inevitabilmente di riforme e sarà ancora più chiara la disponibilità del presidente della Camera, in sintonia col Quirinale, a un arbitrato sugli interventi costituzionali. I due presidenti lo hanno ripetuto ancora ieri parlando quasi all'unisono. Commemorando la figura di Enrico De Nicola, Giorgio Napolitano ha fatto un implicito riferimento alla situazione politica contingente: “In tempi difficili per il paese – ha detto – si deve riscoprire il senso dell'interesse nazionale e il presidente della Repubblica è pronto a dare prova di correttezza e rigore”. La sponda istituzionale è utile ma potrebbe non bastare o persino essere in una certa misura controproducente tanto più se è vero, come confermano fonti vicine a Palazzo Grazioli, che una troppo palese triangolazione di Fini con Casini e il Pd dalemiano rischierebbe di spiazzare, e persino far ingelosire, il premier. Con perniciosi effetti collaterali.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.