Che cosa succede se anche un bassiji pensa al mutuo da pagare

Tatiana Boutourline

Prima dei pasdaran e dei bassiji a infastidire le ragazze iraniane ci pensava il laat. Bullo di quartiere con molto tempo tra le mani, il laat più che tormentare – come i suoi ben più sinistri successori – infastidiva come un qualsiasi supermacho con un'alta opinione di sé. Fiero di essere un figlio della strada in tempi in cui tutti aspiravano ad aggiungere un “Doktor-Professor” prima del nome, il laat dominava la piazza o la borgata con un misto di arroganza ed equanimità.

    Prima dei pasdaran e dei bassiji a infastidire le ragazze iraniane ci pensava il laat. Bullo di quartiere con molto tempo tra le mani, il laat più che tormentare – come i suoi ben più sinistri successori – infastidiva come un qualsiasi supermacho con un'alta opinione di sé. Fiero di essere un figlio della strada in tempi in cui tutti aspiravano ad aggiungere un “Doktor-Professor” prima del nome, il laat dominava la piazza o la borgata con un misto di arroganza ed equanimità. Di famiglia umile e religiosa, il laat si considerava un musulmano osservante, senza per questo sentirsi costretto a rinunciare all'alcol o alle signore. In un'epoca in cui le distinzioni di classe erano proibitive, il massimo a cui potesse aspirare un laat era compiere il salto carismatico a jahel, diventare un piccolo boss di zona: in entrambi i casi, in misura maggiore o minore, il laat teneva le fila di un numero imprecisato di attività illegali o ai margini del consentito, compiacendosi del suo ascendente e giocando di volta in volta il ruolo del paciere e dell'incendiario. Nelle pellicole prerivoluzionarie è una presenza fissa, il burino con le vocali aperte, il vestito nero di pessima fattura, la camicia senza collo, il borsalino e il fazzoletto bianco da agitare come un feticcio, l'inventore – o piuttosto l'ispiratore – della danza del jahel, un insieme di movimenti  rotatori con cui chiudere in modo irriverente le feste dei ragazzi di città.

    Quando arriva la rivoluzione il laat, con la sua energia e la facilità a menar le mani, ha le carte in regola per entrare a far parte dell'ordine nuovo. Ma come per tante altre categorie di iraniani ne sperimenterà prima la ferocia e poi il grigiore. Nella Repubblica islamica non c'è spazio per la sua stravagante anarchia. I komiteh, i comitati rivoluzionari, gli strappano il controllo del territorio. Il laat sarà reclutato tra i bassiji e i pasdaran. Nell'immaginario è superato da altri protagonisti e la sua figura di delinquentello impudente e involontariamente comico sarà sostituito da uomini meno inclini al ballo e al sorriso.

    Non lottare per una causa dalla verità incerta. Non rimanere immobile se la verità di una causa è evidente. Cerca sempre di fare le cose al momento giusto e nel luogo giusto”. Il bene, il male, il movente, l'occasione. Un bassiji sa riconoscere il tempo per picchiare duro anche senza la voce cantilenante dello speaker della tv di stato a reinterpretare gli hadith dell'imam Ali. Un bassiji sa che un ordine è un ordine, e obbedisce. Gli hanno insegnato che essere un bassiji significa “aiutare gli altri”, proteggerli dai nemici e salvarli anche se non desiderano essere salvati e così cavalca la sua moto fiammante con la barba incolta e gli occhi ardenti, un cellulare attaccato alla cintura e un piccolo arsenale tascabile sempre pronto all'uso. Un bassiji – si ripete nei momenti difficili – ha la forza di fare la cosa giusta anche quando sotto i suoi stivali finisce un ragazzo dei sobborghi con la camicia senza colletto di un laat, lo scacciapensieri in tasca e la sua stessa barba mal rasata.

    Oppure no? Sono tempi esaltanti e terribili questi, per un bassiji. Spesso troppo giovane per avere un'esperienza diretta del fronte, ha il mito dei fratelli maggiori. La parola democrazia gli evoca soltanto qualcosa di confuso e di alieno, qualcosa che fa a pugni con le sue certezze e mette in discussione i suoi privilegi. Sono altri i suoi modelli. Lui è diventato grande versando acqua di rose sulle tombe degli eroi, da ragazzino ha collezionato memorabilia di guerra e affrontato lunghi viaggi per onorare i caduti della “sacra difesa”. Non sembra vero che infine ci sia una piccola guerra anche per lui, un'opportunità per mettere alla prova personalità e addestramento, eppure, al dunque, proprio quando è giunta l'ora di provare ai superiori di che pasta è fatto, il momento si rivela molto meno che perfetto. Perché si può essere svelti, efficienti e tutti d'un pezzo, si possono lanciare candelotti lacrimogeni a raffica, si può sparare in aria o puntare diritto nel mucchio, ma se ti gridano “mercenario”, se signore che potrebbero essere tua madre ti implorano “ragazzo non uccidere i tuoi fratelli”, se i tuoi compagni per un attimo indietreggiano e si fanno tirare le pietre mentre i ribelli vi buttano giù dalla moto e issano i loro simboli verdi sulle vostre torrette, tu puoi andare avanti e scaricare i tuoi colpi, ma l'epifania tanto agognata si dissolve, e resti solo con la tua rabbia e il tuo smarrimento.

    Non esistono sondaggi né dati precisi. E' difficile ingabbiare un umore in una statistica. Un giorno forse gli storici scriveranno dei sei mesi che hanno cambiato l'Iran, metteranno in fila il “martirio” di Neda Agha Soltan e Sohrab Arabi, le percosse e gli arresti delle “madri in lutto” punite per aver ricordato i figli morti ammazzati con candele e preghiere ogni sabato pomeriggio nei parchi di Teheran, esamineranno l'effetto dirompente degli stupri e degli omicidi di Kahrizak, la morte del grande ayatollah Montazeri e la profanazione dell'Ashura, ma a oggi gli studi restano prematuri e le informazioni imprecise, frammentarie, anche contraddittorie. Si fa confusione tra poliziotti bassiji, pasdaran, reparti antisommossa e militanti di Ansar-e-Hizbollah e si diffondono indiscrezioni non verificabili secondo le quali un gruppo nutrito di generali medita la fronda a Khamenei. Quello che emerge però è che la base di consenso dell'apparato repressivo del regime mostra segni di cedimento. “Le forze di polizia si rifiutano di obbedire all'ordine di sparare ai manifestanti nel centro di Teheran. Alcuni hanno esploso dei colpi in aria” si leggeva il giorno di Ashura sul sito web Jaras.

    Le voci e le immagini sono quelle registrate dai telefoni cellulari dei protagonisti della piazza. Si vedono agenti ribelli che si uniscono ai manifestanti, esistono file audio in cui comandanti pasdaran discettano dell'inutilità di fare fuoco sulla folla e ci sono i volti dei bassiji che fuggono con gli occhi sbarrati e implorano perdono. Pur ammettendo che è lecito sospettare della completa veridicità delle notizie diffuse dai vari siti legati all'onda e verde e che è complicato, forse impossibile, riuscire a confermare l'attendibilità dei filmati caricati su YouTube e sugli altri social network, la quantità e la varietà delle testimonianze è tale da mettere almeno in dubbio le profezie delle Cassandre sempre pronte a registrare il referto di morte prossima ventura delle piazze iraniane. Tanto che per molti osservatori affezionati all'idea dell'“engagement”, “perché tanto il regime è qui per restare”, è partita la corsa al riposizionamento: dall'ex consigliere di Barack Obama ora al Council on Foreign Relations Ray Takeyh a Karim Sadjapour del Carnegie Endowment per arrivare a Trita Parsi, presidente del National Iranian American Council, da molti annoverato tra i lobbysti di Ali Hashemi Rafsanjani, tutti si scoprono convinti che la Repubblica islamica abbia i giorni contati. Gli stessi che prima sottolineavano la coesione granitica tra il regime e i suoi bravi ora rilevano che il corollario dell'ascesa economica dei pasdaran è stato il proliferare di fazioni che indeboliscono l'identità del corpo.

    Secondo un recente dossier di Rand Corporation, se i vertici del corpo tendono a essere conservatori, i quadri nutrono spesso simpatie riformiste. Le maggiori incognite alla tenuta del patto tra il sistema e i suoi beneficiari sono rappresentate dalla crisi economica e dalla diminuzione del prezzo del petrolio. Cento miliardi di dollari in sovvenzioni sono un ottimo incentivo per la classe media e medio-bassa, ma il governo sarà costretto a contenere le spese e l'inevitabile crollo degli standard di vita tra i suoi elettori rischia di alienare nuovi settori della popolazione. La stessa devozione ideologica dei bassiji è spesso influenzata da preoccupazioni piuttosto mondane: prestiti, borse di studio, colloqui di lavoro. Nei giorni caldi delle contestazioni, un bassiji può essere pagato fino a due milioni di rial, 135 euro al giorno, una piccola fortuna in Iran per un ragazzo, se si considera che un coetaneo fatica spesso ad arrivare a 200 dollari al mese. Perduta l'aura sacrale, la Repubblica islamica è ormai solo un'agenzia per il welfare di tanti piccoli laat.

    L'aspetto più dirompente della crisi della Repubblica islamica va in scena lontano dai telefonini, dalle cifre e dagli esperti. Nelle famiglie si sbriciola la solidarietà familiare, padri contro figli e fratelli contro fratelli, mogli contro mariti. A luglio Mohsen Ruholamini, il figlio di un comandante pasdaran vicino al candidato presidenziale conservatore Mohsen Rezai, è stato arrestato e condotto nel centro di detenzione di Kahrizak, dove è morto in seguito alle torture subite. A ottobre la regista Narges Kalhor, sostenitrice dell'onda verde e figlia dell'eccentrico consigliere per i media di Ahmadinejad Mehdi Kalhor, ha chiesto asilo politico in Germania. “Questa è un'esplosione dopo trent'anni di soppressione e di intimidazione. Noi non chiediamo che ci rendano conto dei nostri voti, noi diciamo ‘restituiteci le nostre vite' e, se saremo condannati a perire, soffriremo da soli senza lasciarci ammazzare da altri”.

    Borzou Daraghi sul Los Angeles Times ha raccontato la crisi matrimoniale ed esistenziale di una coppia di bassiji. I loro sono percorsi speculari: famiglie semplici, studi modesti, militanza priva di inquietudini. Lei è una cugina, una bellezza lunare, vedono il mondo con gli stessi occhi e si definiscono conservatori. Tra i due il falco nella coppia è lei. Il marito guadagna poco e il suo attaccamento al sistema è messo a dura prova da uno scarno stipendio. Passano gli anni e anche la moglie perde la sua scorza ortodossa. Riprende gli studi, va in vacanza a Dubai e si fa fotografare senza velo. Si trucca, si iscrive a un corso di giornalismo e discute con un professore che la definisce una “femminista”. Lui invece torna a gravitare tra gli amici di un tempo, recupera entusiasmo e motivazione. Ahmadinejad è il suo candidato e i bassiji tornano a essere il centro della sua vita. E' il 2005 e da allora in casa non si parla più di politica. Poi arriva il giugno del 2009. Una sera lei lo vede tornare a casa coperto di sangue e capisce. Non hanno più niente da dirsi. Anche lei è stata una di loro.