La nostra guerra di religione
Si concluderà mai la guerra di religione che da un ventennio eccita ma anche ipnotizza gli italiani? Nel 2010 il partito cattolico e quello protestante faranno la pace di Westfalia? Cattolici, protestanti: con tali nomi indico i contendenti non in base a una professione di fede, quanto per la modalità del pensare e dell'agire, per il carattere: gaudenti e ingordi, indulgenti e teatrali gli uni; saccenti e malinconici, moralisti e accorti gli altri; e tuttavia entrambi a loro modo industriosi. E per questo rivali, insofferenti.
Si concluderà mai la guerra di religione che da un ventennio eccita ma anche ipnotizza gli italiani? Nel 2010 il partito cattolico e quello protestante faranno la pace di Westfalia? Cattolici, protestanti: con tali nomi indico i contendenti non in base a una professione di fede, quanto per la modalità del pensare e dell'agire, per il carattere: gaudenti e ingordi, indulgenti e teatrali gli uni; saccenti e malinconici, moralisti e accorti gli altri; e tuttavia entrambi a loro modo industriosi. E per questo rivali, insofferenti. Ma oggi il disagio della civiltà esige un passo. Come ogni Papa che si rispetti, nel momento difficile, quando più la civiltà viene minacciata dal nichilismo, Benedetto XVI, veggente urbi et orbi ben più di ogni mago, invita all'intesa: imprese necessarie e meritevoli urgono.
Dopo l'attentato al premier ha preso a serpeggiare un diffuso sconcerto e malcontento: le guerre delle due rose e dei Roses all'inizio paiono tenzoni eroiche e fin giocose, ma coll'andar del tempo, indurendosi nel rancore, portano al disastro. E' tempo di novità: questioni d'onore, princìpi non negoziabili, valori irrinunciabili… bah, quante se ne sentono e poi… Diamoci piuttosto l'occasione di cambiare idea con una certa velocità, fa così bene. C'è chi va in analisi vivendo da decenni nell'odio di papà e dopo sei mesi scopre che in realtà odiava mammà e dopo un anno li ama entrambi e odia se stesso perché ha perso tutto quel tempo a odiare. Infine smette di odiarsi e comincia a occuparsi dei figli.
Ne abbiamo in ogni parte del mondo, figli che se la passano malissimo tra il burqa e la fame, e quando finalmente hanno qualche dinaro per comprarsi un cetriolo al mercato rischiano di saltare in aria. Forse la democrazia occidentale non è esportabile, forse nemmeno la Bibbia, anche se tanti martiri in ogni parte del mondo testimoniano che sì. Ma la chance per una vita degna di questo nome deve essere offerta a ciascuno, sulla scia di una generosità che non si ferma all'altruismo, né teme di sporcarsi le mani con l'intervento. Si è accusato Bush di avere calcato troppo la mano, ora ci si accorge che al Qaida proprio non sopporta d'essere dimenticata. Come accadde nell'ex Jugoslavia, in Ruanda e in tante altre parti del mondo, il terzismo voyeur è il più colpevole. Se non s'interviene con intelligenza e con forza, ci si accomoda in quel fanatismo della frivolezza, della chiacchiera e del lamento, che è ancor più feroce di quello del sangue.
Di che natura è la guerra tra il partito cattolico e quello protestante, e perché è così difficile andare oltre? Si tratta di una guerra parlata, fatta di accuse roventi: i protestanti rimproverano ai cattolici d'essere assidui frequentatori della grassa e accogliente Madame Corruption, i cattolici controbattono accusando i protestanti di passare le loro giornate nell'annodare fruste davanti al gelido caminetto di Miss Correction. Più vicine di casa di quanto vogliano ammettere, le due celebri dame da sempre bisticciano o meglio fingono, dal momento che una ha bisogno dell'altra e, forse, sono addirittura la stessa cosa; etimologicamente discendeno entrambe dai gagliardi lombi di ‘rumpo', padre guerriero cui fanno il verso nella presunzione di rovinare gli umani o di salvarli. Il loro pianerottolo è un gran via vai tra il doposcuola e il bordello – nel migliore dei casi, se no c'è il gulag e la mafia – che a un certo punto si confondono uno con l'altro in un carnevale di allucinazioni: nessuno è zozzo come il puro e nessuno si crede puro quanto lo zozzo. Si sbaglia frequentemente porta in quel caseggiato.
C'è del vero nelle reciproche accuse? Impossibile accertarlo: non esiste alcun desiderio di cercare una verità e ci si accontenta di credere a quel che si dice, sicché alla fin fine ciò che rimane è solo la voglia di distruggere l'altro. Partiamo dall'anno fatale. 1994: da un lustro i comunisti sono diventati ex, frettolosamente come tutti i ritardatari. La tanto biasimata arroganza del neopolitico Berlusconi fu ben poca cosa a confronto di quella del neoconvertito Occhetto, che si proponeva alla guida del paese con l'eco dei canti bulgari nelle orecchie. Alla Bolognina non si pianse per il rimorso, si pianse di nostalgia per il buon tempo andato. Si cercò di recuperarlo: fu proprio dopo il suo scioglimento che il Pci tentò quel colpaccio che invano tanti suoi militanti avevano invocato fin dalla fondazione del partito. Solo un “non Pci” poteva fare, senza allarmare troppa gente, un simpatico golpecito per instaurare un onesto regime di polizia giudiziaria. I postcomunisti costituivano il fulcro del partito protestante che negli anni Ottanta aveva trovato in Berlinguer il suo anoressico condottiero, di contro lo straripante Craxi; erano gasatissimi: la prima grande battaglia con il partito cattolico si era conclusa con la sconfitta dei socialisti che di questo partito erano l'ala marciante; la sanguinosa notte di Mani pulite non fece prigionieri. Ma il duca di Guisa, quello vero, era scampato al massacro travestendosi da protestante. E passò alla riscossa. Si ripeté quanto era accaduto tanti anni prima quando, nelle elezioni del 1948, Alcide De Gasperi fermò quella che sembrava l'irresistibile ascesa comunista. Con una differenza non da poco: De Gasperi era un santo, viveva nella più assoluta sobrietà e alla fine del mandato si ritirò in Val di Sella e vi morì, probabilmente senza vedere mai la televisione. Tutt'altro che santo, Berlusconi è un uomo d'affari, affari burleschi e barocchi: un regime di giudici accaniti e d'impeccabili finanzieri era per lui un pessimo affare. Non è un santo Berlusconi ma andò bene anche così: gli affari sono affari ma anche qualcosa di più, c'è un'anima nel commercio, l'anima vispa del dio Mercurio. I protestanti non ci stanno, sono convinti che il Grande Comunicatore faccia commercio di anime.
Da allora la guerra tra il Cavaliere, capo indiscusso del partito cattolico, e i protestanti, procede con alterne fortune; di una cosa tuttavia gli italiani, pur lentamente e tra mille sconfessioni, hanno preso coscienza: il cattolicesimo è meglio, più sano. I protestanti hanno tutto ma proprio tutto dalla loro: l'etica e l'estetica, la cultura e la scrittura, la decenza e la prudenza… e una sola pecca, ma decisiva: il giustizialismo. Giustizialista è colui che, reputandosi giusto, passa tutto il suo tempo a scagliare pietre. E' il peccatore imperdonabile perché si pensa senza peccato; in tal modo diventa il cretese mentitore e tutto quel che dice suona falso e quel che fa diventa sospetto. E' un fenomeno che si può vedere all'opera negli scontri televisivi: l'ospite protestante potrebbe facilmente prendere il cattolico con le mani nel sacco ma eccede, vale a dire mente; mente per il disprezzo che nutre per l'altro e per la verità di cui si pensa unico depositario, in una presunzione d'impunità conferitagli dal fine che giustifica ogni mezzo. Gli fa piacere schiacciare il serpente, e in tal modo scopre il fianco al contrattacco del cattolico che, con un imperturbabile sorrisino, prontamente lo infilza.
Consapevole della sua forza, stanco delle scaramucce processuali, il Cavaliere da tempo chiede un riconoscimento per l'antico ‘folle volo', esigendo una ricompensa in puro stile cattolico: l'assoluzione plenaria dei suoi peccati – veri e/o/o/e presunti – che via via affiorano sulla scena giudiziaria. La maggioranza degli italiani è bendisposta, compresi non pochi ex comunisti tutt'ora all'opposizione ma che rifiutano l'egemonia protestante. Nel tempo hanno avuto modo di accorgersi che se non ci fosse stata la sconfitta del '94 e in seguito l'incessante confronto con il Cavaliere, essi stessi si sarebbero chiusi a riccio, paghi di uno sterile trionfo. Tra costoro si può sicuramente annoverare il presidente della Repubblica, che in cuor suo forse era già ex anche quando militava nel Pci; uomo lungimirante, sa che il vero pericolo per l'unità d'Italia non è il partito cattolico quanto le teste rotonde del Nord, i puritani iconoclasti e secessionisti infidi alleati del partito cattolico. Irriducibili, invece, nel volere senza se e senza ma la testa del Cavaliere restano i comunisti che ancora non trovano nulla di cui rimproverarsi, anzi; ma quelli lì più che della politica partecipano della psicopatologia. Il nucleo duro del partito protestante è invece formato da magistrati, giacobini della stampa, azionisti di Piazza Affari e giustizialisti di ogni colore. Tutti costoro non hanno sensi di colpa, non hanno debiti da pagare al Cavaliere, lo considerano il male assoluto, non colui che ha salvato l'Italia ma colui che l'ha affossata, e non vogliono saperne di dargli un premio; considerano mostruoso il fatto che lui lo chieda e cerchi di ottenerlo. E così la guerra continua, con foschi presagi. Sappiamo che fine fa l'ostinato Don Giovanni, ma l'altrettanto accanito commisssario Javert a sua volta sprofonda pur di non arrendersi alla felicità che… “subisce, esasperato”, scrive Victor Hugo. Non gli è bastato che il galeotto Jean Valjean sia diventato un grande industriale, che faccia lavorare tanti e bene, che sia entrato in politica, un sindaco da tutti benvoluto; la carità gli risulta pur sempre troppo pesante. Davvero è tutto così rigido, scritto nel marmo, aut-aut, torto o ragione, Cristo o Barabba? Fede, speranza e carità dicono di no. Lo dice anche un proverbio napoletano: “A raggione s'ha pigliano o fesse”. Fin da Betlemme Cristo dice qualcosa di più: occorre che il nuovo nasca.
Approfittando delle guerre di religione che misero l'Europa in ginocchio, il turco arrivò ad assediare Vienna e solo l'unione dei principi cristiani capitanati dal grande re Jan Sobieski respinse Kara Mustafa. Il Gran Visir già si leccava i baffi pensando alle fanciulle viennesi; ne esigeva la consegna e per prenderle intatte insieme ai loro gioielli aveva rinunciato ai bombardamenti. Non poteva sapere che, nel frattempo, i pasticcieri della città, beffardi, avevano inventato il croissant: luna crescente, mezzaluna. Oggi le battaglie non sono più scontri frontali, la linea del fuoco sta in Afghanistan come anche nelle città americane ed europee. Ma c'è un terzo fronte che è sicuramente il più importante: noi tutti. In ciascuno si combatte una guerra tra l'indifferenza e l'impegno, guerra il cui esito ha effetti decisivi per l'individuo e per la comunità. Il nemico di ora e di sempre è il nichilismo, “l'ospite inquietante” di cui parla Nietzsche. Ma se davvero inquietasse sarebbe il benvenuto: c'è bisogno di provocazioni, di occasioni di pensiero. Il fatto è che il nichilismo non inquieta per niente, anzi rassicura, addormenta, dice che tutto è vano e tanto vale acquietarsi nella fatuità. Inquietante è ben altro: Cristo, che sempre sta tra noi a indicarci la via più stretta; il figlio, che non ci lascia mai in pace; il pensiero, che altri pensieri evoca in un turbine incessante. Il nichilismo tuttavia è furbo, raramente si mostra e occorre un sguardo limpido e attento per individuarlo in tempo, prima che corroda un io o una civiltà. Lo sguardo torpido, annoiato o perso, è uno sguardo complice.
L'abbiamo avuto in casa un nichilismo sanguinario, ci trescavamo, e poi fu tutto un “ma come, non è possibile, un così bravo ragazzo!…”. Quarant'anni fa li ho conosciuti alcuni di quei bravi ragazzi e ragazze; bevevamo insieme, dicevamo più o meno le stesse cose, più o meno, ma a un certo punto seppi che tacevano il più; camminavamo insieme sulla spiaggia la notte mano nella mano, poi, qualche giorno dopo, dalla tivù appresi… Non si conosce nessuno, tantomeno se stessi; difficile guardare quel che davvero si fa e non piuttosto quel che s'immagina di fare. Si è portati a confondere le acque, a raccattare giustificazioni e intanto si procede nel nulla, che il più delle volte non si fa di grandiose porcate, ma di piccole, una dopo l'altra, giorno dopo giorno, corrodendo l'anima dell'individuo, sgretolando le ossa della nazione, rammollendola al punto da farne pasto per il barbaro, che al confronto fa la figura dell'eroe. La guerra più dura la si combatte nel fronte più interno, l'anima, che se quella è esplosa a niente vale sparare dalla lontana trincea. Il silenzio degli spazi infiniti è musica, spaventoso il silenzio del cuore; non dobbiamo temere “il rumore della vita”, “dolce” anche quando ci fa spavento. Chi non combatte contro il nichilismo è già morto, arruolato nell'esercito degli zombi; ma non è mai tardi per scendere in campo. Enrico di Lancaster consuma le sue giornate e le sue energie con Falstaff, ma quando la patria chiama assume la sua responsabilità e conduce i soldati alla battaglia di Azincourt, luminosa non tanto perché nel giorno di San Crispino e Crispiniano quindicimila fanti inglesi fecero a pezzi cinquantamila cavalieri francesi, quanto per il discorso che Shakespeare ode dalle labbra del re: non è il numero o la potenza a convocare la gloria, ma la fede in quel che si sta facendo. Le imprese più gloriose compiute dall'Italia nel Dopoguerra sono state la sconfitta del terrorismo bierre e l'invio di truppe a contrastare il nichilismo nelle varie parti del mondo. Non è stato facile, molti facevano gli gnorri, molti altri remavano contro.
Non si è liberi per nascita o costituzione, la libertà è qualcosa che s'inventa e si conquista giorno per giorno; giorno per giorno occorre essere degni della grande chance che a noi italiani offrono San Francesco d'Assisi e Giacomo Leopardi da Recanati, i due protettori della nazione. Che il rinunciare alle liti di condominio e unirsi nella lotta contro il nichilismo sia il primo passo e decisivo, è fin troppo ovvio; meno ovvia è la natura di una siffatta unione: non una spartizione dell'esistente ma l'invenzione di una nuova modalità di esistere e di operare, riconoscendo in sé e nell'altro quanto di meglio, senza attardarsi a rinfacciarsi il peggio. E' ora di finirla con certi luoghi comuni: la Chiesa non fu e non è l'Inquisizione, l'Inquisizione fu un complotto satanista contro la Chiesa, capeggiato a volte da satanassi che avevano usurpato il trono di san Pietro. Parimenti il Terrore non fu il canto del cigno dell'Illuminismo, ma la sua ghigliottina. Il fanatismo non è il culmine di un pensiero, quanto la sua assoluta negazione; non il frutto malato di una radice sana ma la lama che cerca di reciderla. Solo dall'unione delle grande tradizioni, cristiana e illuminista, può scaturire un'efficace lotta al nichilismo, che nella loro contrapposizione trova incessanti spazi per annidarsi e prolificare. C'è tanta intelligence in circolazione ma un po' d'intelligenza non guasterebbe. Scende la neve qui dove io sto. E' la neve dei morti di Joyce, quella che ogni cosa ricopre ma non cancella. Sotto la sua fredda coltre si addormentano passioni che forse neppure erano tali, desideri per chissà che, idee inascoltabili per quanto urlavamo. Un giorno riposeremo tutti sotto la neve, cattolici e protestanti, e a vegliarci con tenerezza sarà una croce, una per ciascuno. Siamo fortunati.
Il Foglio sportivo - in corpore sano