Non chiamatelo partito dell'amore
Il bacio di Lamourette insegna che in politica tutto è possibile
Accadono cose, in certi momenti della storia e delle nazioni, come piccole e un po' folli epifanie, che sembrano per incanto avere il potere di trasformare di segno le cose, di tramutare l'odio in amore. Qualche tempo dopo il bacio della morte a Monsieur Foulon de Doué, nell'estate del 1792 la situazione della Francia era ancor più burrascosa. Il fronte cedeva agli invasori, Lafayette aveva già cambiato bandiera, il re tramava in segreto per la vittoria dell'Austria e il prezzo del pane, fieno o non fieno, aumentava a dismisura. Ma soprattutto la politica.
L'afa insopportabile rende sempre nervosi. Nei giorni di luglio successivi alla presa della Bastiglia, poi, le voci di complotti orditi per affamare il popolo rendevano i parigini particolarmente intrattabili. Capitò che la folla inferocita se la prendesse anche con un uomo probabilmente dabbene, che forse non aveva mai odiato né affamato nessuno. Ma la folla prese il signor Foulon de Doué, funzionario del ministero della Guerra, “gli staccò la testa dal collo e la portò in giro in cima a una picca con la bocca riempita di fieno a simboleggiare la sua complicità con la congiura”. L'avevano sentito dire “che mangino il fieno”, ma è assai probabile che fosse soltanto una diceria senza fondamento. Poco dopo, “un'altra banda di sediziosi catturò il genero di Foulon e lo obbligò a marciare per le strade, con quella testa davanti al viso cantando ‘Bacia papà! Bacia papà!'”. Poi lo massacrarono davanti all'Hotel de Ville. Al signor Foulon andò ben peggio che se gli avessero tirato un souvenir della Bastiglia. I tempi sono fortunatamente cambiati, e quel macabro bacio della morte resta a far inorridire. Roba che persino a Gracchus Babeuf, che aveva lo stomaco un po' meno peloso di certi magistraticchi riciclati in politica, fece impressione: “Oh! Quella gioia mi faceva star male”.
Ma accadono cose, in certi momenti della storia e delle nazioni, come piccole e un po' folli epifanie, che sembrano per incanto avere il potere di trasformare di segno le cose, di tramutare l'odio in amore. Qualche tempo dopo il bacio della morte a Monsieur Foulon de Doué, nell'estate del 1792 la situazione della Francia era ancor più burrascosa. Il fronte cedeva agli invasori, Lafayette aveva già cambiato bandiera, il re tramava in segreto per la vittoria dell'Austria e il prezzo del pane, fieno o non fieno, aumentava a dismisura. Ma soprattutto la politica. Un odio “rissoso e inconcludente” regnava all'Assemblea nazionale: “Il 7 luglio i deputati sembrano prossimi a scannarsi l'un l'altro. Le polemiche sono divenute così aspre che nessun consenso può unirli e nessuna opposizione può esistere senza essere tacciata di tradimento”. Fu allora che accadde. Che “il sentimento popolare della fraternità, il più singolare nella triade dei valori rivoluzionari, investì Parigi con la violenza di un uragano”. Quel 7 di luglio Antoine-Adrien Lamourette “sale alla ribalta della storia solo per un attimo, il tempo necessario a un bacio di tutt'altro genere”.
Nel pieno della disputa, Lamourette si alza. Spiega che tutti i mali di Francia nascono dalla faziosità, e che ci voleva più fratellanza. “Ha una soluzione da proporre: l'amore. L'amore fraterno. L'amore può lenire qualsiasi ferita, superare qualsiasi barriera”. E invita tutti i deputati a dimenticare i rancori e le animosità. Un attimo di incredula sorpresa, di commosso stupore, e poi tutti, realisti e costituzionalisti, girondini e giacobini, orleanisti, “si alzarono in piedi e cominciarono ad abbracciarsi come se le loro divisioni politiche potessero essere spazzate via da un'ondata di amore fraterno”. Persino il re fu chiamato a vedere “come questi cristiani si amavano l'un l'altro”. La seduta del 7 luglio 1792, viene comunemente ricordata come la “seduta della riconciliazione nazionale”. Ma gli storici hanno sempre sorvolato sull'episodio, una bizzarria nell'infinito catalogo di follie della rivoluzione, e hanno sempre catalogato quella fatidica giornata come quella del “bacio di Lamourette”. Eppure quell'esplosione repentina di amore e concordia, che brucia l'odio politico e lo trasfigura in bene comune, fu uno di quei rari momenti magici, di “sospensione dello scetticismo”, in cui tutto sembra possibile e tutto (forse) avrebbe potuto andare diversamente.
A “Il bacio di Lamourette” lo storico statunitense Robert Darnton, gran specialista del Settecento europeo, dei suoi Lumi e delle sue ubbie, delle sue enciclopedie e del perverso sistema dell'informazione e della manipolazione dell'opinione pubblica che proprio allora iniziò a svilupparsi, ha intitolato uno dei suoi libri più belli (pubblicato da Adelphi nel 1994, per chi riesce a trovarlo). Lamentando che gli storici abbiano sempre sottovalutato la portata simbolica – non certo pratica – di quell'episodio. Ma oltre al clima di quei giorni c'è anche di più, c'è l'anomalia politica, culturale, persino teologica rappresentata dal suo protagonista. “Il bacio di Lamourette fu tanto improbabile quanto il suo nome”, scrive Darnton. “Ad accentuare tale improbabilità, Lamourette era un vescovo, un vescovo ‘costituzionale' visto che aveva giurato fedeltà alla Costituzione del 1791 e nel 1792 sedeva all'Assemblea legislativa come deputato della Rhône-et-Loire”.
Sacerdote che aveva aderito alla costituzione civile del clero e “ghostwriter” di Mirabeau, nel suo libro “The Religious Enlightement” (vedi il Foglio del 5 gennaio) David Sorkin lo ha riscoperto come una figura chiave di illuminista religioso, che per un po' credette di mettere insieme riforma della chiesa e rivoluzione, Dio e i Lumi. E in quello spirito diede il suo contributo di “Fraternité”. Si interroga Darnton: “Che cosa ha rappresentato il bacio di Lamourette? Un ripristino del bacio d'amore medioevale, visto come rito che poneva fine alle guerre civili? Oppure un'esplosione di sentimenti preromantici… Oppure ancora una momentanea vittoria di Eros su Thanatos, una scaramuccia vinta in qualche oscuro recesso dell'anima?”.
Fu una meraviglia passeggera. La Guardia nazionale già si ammassava per l'attacco alle Tuileries; gli ultimi moderati foglianti si dimetteranno tre giorni dopo “le besier”, il 10 luglio. La macchina del signor Guillottin inizierà a funzionare il 21 agosto, i cupi “massacri di settembre” già alle porte. Eppure, quel tentativo minore e non riuscito brilla oggi, a guardarlo da lontano e da una nazione altrettanto rissosa, come una benagurante analogia. Allora non c'erano i social network moltiplicatori d'odio, ma come Darnton ha scritto in un altro bel libro, “L'età dell'informazione”, le gazzette degli illuministi e dei club svolgevano egregiamente la stessa funzione sanguinaria. Eppure “il sentimento popolare della fraternità, il più singolare nella triade dei valori rivoluzionari, investì Parigi con la violenza di un uragano”. L'appello dell'amore a un Parlamento che solo nel nome di una rinnovata concordia potrebbe ritrovare il suo senso di esistere è poco più di una cabala. Darnton chiama “possibilitarismo” il fenomeno per cui, in certi momenti della storia, possono avverarsi “quei fenomeni di follia, di sospensione dello scetticismo” e il mondo appare come “tirato a lucido dalla mareggiata del sentimento popolare”.
Naturalmente, “la gente non può vivere a lungo in uno stato di euforia epistemologica”, e Lamourette finì ghigliottinato nel 1794. Ma questi sono i dettagli della storia, sempre così avara di amore e fantasia.
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