Mappa e dati della flat tax

Con meno tasse lo stato ci guadagna

Carlo Stagnaro

Che fine ha fatto la flat tax? In Italia è stata il biglietto da visita di Forza Italia nel 1994, quando Antonio Martino dava la linea economica al partito. Da allora, pur essendo riaffiorata spesso nel dibattito politico, non ha avuto applicazioni. Eppure, nel 2010 è disponibile una mole di evidenze empiriche che sedici anni fa non c'era (mappa della flat tax in Europa, da Wikipedia).

Leggi: Soltanto riducendo le tasse ci sarà la ripresa. Parla Martino

    Che fine ha fatto la flat tax? In Italia è stata il biglietto da visita di Forza Italia nel 1994, quando Antonio Martino dava la linea economica al partito. Da allora, pur essendo riaffiorata spesso nel dibattito politico, non ha avuto applicazioni. Eppure, nel 2010 è disponibile una mole di evidenze empiriche che sedici anni fa non c'era. La flat tax (nella mappa, la flat tax in Europa, da Wikipedia) non ha indebolito i conti pubblici: i numeri, quindi, sembrano dare torto a chi dice che non ci sono le risorse. I tagli fiscali, in larga parte, si finanziano da sé. La decisione, in questa prospettiva, non è tecnica ma politica: riguarda la scelta se le risorse devono restare nelle tasche di chi le produce, oppure andare al governo perché le spenda nel nome di un non meglio identificato interesse collettivo. Leggendola con gli occhiali della libertà, si ottiene la stessa risposta che impiegando le lenti dell'efficienza.

    Vediamo una parte della mole di dati che sconfessa il “non possiamo farlo”. Nel 1994 il primo ministro estone, Mart Laar, introdusse per primo la tassa piatta: si partiva con un'aliquota del 26 per cento, scesa gradualmente al 21 per cento attuale, per calare ancora al 19 per cento l'anno prossimo e al 18 per cento nel 2012. Il contagio si trasmise presto ad altri paesi dell'Europa orientale. Oggi 23 nazioni fanno parte del club: di queste, sette (Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia) stanno nell'Unione europea. Tra gli altri, si segnalano il Montenegro, che ha adottato una flat tax  fin dall'indipendenza nel 2007, la Russia (con un'aliquota del 13 per cento in vigore dal 2001), e l'ultimo arrivo, l'Albania, che dal 2008 ha un'aliquota del 10 per cento. L'ondata di riforme fiscali ha fatto parlare della “rivoluzione della flat tax” (così il libro-manifesto di Steve Forbes).

    Limitandosi ai paesi europei, si possono osservare alcuni dati. Anzitutto, la pressione fiscale nei sette paesi “flattisti” è inferiore alla media: mediamente 30,5 per cento contro il 40,2 per cento dell'Europa a 27 e il 42,8 per cento italiano nel 2008. Inoltre l'introduzione della flat tax non ha fatto diminuire il gettito, l'effetto paventanto dagli anti flat tax.

    Rispetto al 2005, il gettito nominale dell'imposta sul reddito nei paesi europei con la flat tax è cresciuto mediamente del 16,8 per cento annuo, contro il 5,9 per cento dell'Ue a 27 e il 6,9 per cento dell'Italia (che nel frattempo ha aumentato le aliquote con la finanziaria 2007). Naturalmente non tutto l'aumento è direttamente attribuibile alla flat tax, perché il pil e i redditi sarebbero presumibilmente cresciuti anche senza di essa: quanto meno, si può dire che l'aliquota unica non ha aperto voragini fiscali. Su questo punto s'è abbattuto lo scetticismo del Fondo monetario internazionale, che nel 2006 ha pubblicato un paper molto critico, evidenziando come, nella maggior parte dei casi, il gettito dell'imposta sul reddito si fosse contratto.

    Lo studio, tuttavia, risente del brevissimo lasso di tempo trascorso dall'implementazione delle riforme: in quattro degli otto casi esaminati, erano passati solo uno o due anni. E' chiaro, anche per i sostenitori più accesi della flat tax, che nell'immediato le entrate erariali possono diminuire: l'effetto Laffer, cioè l'aumento del gettito conseguente la riduzione delle aliquote, si vede nel medio termine, di pari passo all'accelerazione della crescita economica (grazie a un sistema fiscale meno punitivo) e all'emersione del nero (perché il costo-opportunità dell'evasione cresce). Lo stesso Fmi, comunque, riconosce che la flat tax rafforza gli stabilizzatori automatici: cioè, durante le recessioni, la pressione fiscale cala in misura relativamente più rapida, dando sollievo all'economia (all'altro estremo stanno imposte pro-cicliche come la nostra Irap). Un'altra ammissione è quella secondo cui “riforme che implicano un allargamento della soglia minima di reddito non tassabile sono benefiche sia per i ricchi che per i poveri” e la riduzione dell'evasione che generano “un aumento nella progressività effettiva”. Quindi, sono infondate le preoccupazioni di chi teme effetti perversi in tema di equità, o – nel nostro paese – di incompatibilità con l'articolo 53 della Costituzione, secondo cui “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Infatti, come ha sostenuto Silvio Boccalatte in un paper dell'Istituto Bruno Leoni, la Carta si riferisce al sistema tributario nel suo complesso e non alla sola imposta sul reddito.
    La flat tax è possibile e utile dopo la crisi come lo era prima, nell'Europa occidentale come in quella orientale. Possono esserci delle ragioni per contrastarla, e nessuno si illude che rimpiazzare, in Italia, cinque aliquote con una soltanto sia semplice. Per favore, però: non dite che è impossibile.

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