Il Papa in sinagoga con una visita e un discorso più spirituali che politici
Il portavoce vaticano padre Federico Lombardi conferma al Foglio che "la visita del Papa vuole essere semplicemente un ulteriore passo di un dialogo approfondito e di un cammino irreversibile verso la reciproca conoscenza”. Benedetto XVI conosce bene le divergenze interne al mondo ebraico rispetto al suo pontificato e risponderà con una visita che, nei gesti e nell'atteso discorso in sinagoga, avrà connotati prettamente religiosi e spirituali.
Il giorno dopo le polemiche scoppiate a seguito delle dichiarazioni del rabbino emerito di Milano Giuseppe Laras circa l'inopportunità dell'invito rivolto dalla comunità ebraica di Roma a Benedetto XVI a visitare la sinagoga (è oggi pomeriggio che il Papa, ventiquattro anni dopo Giovanni Paolo II, varcherà la porta del tempio romano) il portavoce vaticano padre Federico Lombardi conferma al Foglio che le intenzioni del Pontefice sono sempre le medesime: “Andare avanti con fiducia, dedizione e speranza”, spiega. “Del resto, la visita del Papa vuole essere semplicemente un ulteriore passo di un dialogo approfondito e di un cammino irreversibile verso la reciproca conoscenza”.
Benedetto XVI conosce bene le divergenze interne al mondo ebraico rispetto al suo pontificato e, più in generale, rispetto alla chiesa cattolica. Divergenze non dell'ultima ora, ovviamente. E a tutte risponderà a suo modo. Ovvero con una visita che, nei gesti e nell'atteso discorso in sinagoga, avrà connotati prettamente religiosi e spirituali. Almeno così dicono i preparativi delle ultime ore: un testo spirituale, religioso, non politico, quello che Benedetto XVI sta scrivendo per domani. Un testo che, in scia a quanto già fece Giovanni Paolo II nel 1986, vuole ricordare quell'alleanza profonda che accomuna le due fedi: come già sancì la dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II, ci sono radici comuni e c'è un ricchissimo patrimonio spirituale a legare indissolubilmente ebrei e cristiani. Disse Papa Wojtyla: “Chi incontra Gesù Cristo incontra l'ebraismo”. Parole ricordate anche da Benedetto XVI nell'agosto del 2005 quando entrò nella sinagoga di Colonia (la prima delle tre sinagoghe visitate da Ratzinger: Colonia, New York e, domani, Roma): “Sia gli ebrei che i cristiani riconoscono in Abramo il loro padre nella fede e fanno riferimento agli insegnamenti di Mosè e dei profeti. La spiritualità degli ebrei come quella dei cristiani si nutre dei salmi. Con l'apostolo Paolo, i cristiani sono convinti che i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”.
Il terreno sul quale camminare insieme non è soltanto quello spirituale, non è solamente quel legame particolare – “siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”, fu la frase storica pronunciata da Wojtyla nel 1986 –, ma è anche quello pratico. Per questo ci sono i campi della “dignità dell'uomo”, dell'“amore e del rispetto verso tutte le creature” da salvaguardare. Campi sui quali cristiani ed ebrei possono fare fronte comune senza cedere alle sirene del secolarismo e del relativismo.
Poi certo, c'è quella condanna che, in particolar modo la comunità ebraica di Roma che nei secoli passati sottostava anch'essa al potere temporale del papato, ritiene importante. Quella condanna che già la Nostra aetate aveva sancito laddove deplorava “gli odii, le persecuzioni e tutte le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque”.
Benedetto XVI ha ricevuto in Vaticano la congregazione per la dottrina della fede. Davanti ai suoi “ex colleghi” ha parlato di due temi che interessano molto gli ebrei: il rientro nella chiesa cattolica dei lefebvriani (con quel vescovo Richard Williamson dichiaratamente negazionista sulla Shoah) e la questione dell'annuncio del Vangelo in ogni situazione e territorio, dunque anche ai non credenti o a coloro che professano altre fedi. Il Papa si è augurato che la piena comunione coi lefebvriani venga presto raggiunta anche grazie al superamento delle divisioni dottrinali. Insieme, citando la Dominus Iesus, la dichiarazione sull'unità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della chiesa che tanto aveva fatto discutere il mondo ebraico quando venne promulgata, ha ricordato che il magistero della chiesa offre il proprio contributo alla formazione della coscienza non solo dei credenti, ma anche di quanti cercano la verità e intendono dare ascolto ad argomentazioni che vengono dalla fede ma anche dalla stessa ragione. Insomma, non soltanto ai cristiani ma a tutti.
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