Testori lo diceva maggiore nel Novecento, questo Gran Lombardo che divide i cattolici
Il nostro eroe letterario così scrisse: “Noi italiani, nell'immensa maggioranza, siamo laici o cattolici o pagani secondo le ore del giorno, le circostanze della vita, le occasioni, gli umori. Come, del resto, nei secoli rinascimentali: quando in ogni ceto e ambiente sociale convivevano sulle pareti e negli animi le immagini e i miti di Gesù e Madonne, Apollo e Muse, Mosè e Salomè, Santi e Martiri miracolosi e medioevali, Venere e Diana con habitués innumerevoli.
Il nostro eroe letterario così scrisse: “Noi italiani, nell'immensa maggioranza, siamo laici o cattolici o pagani secondo le ore del giorno, le circostanze della vita, le occasioni, gli umori. Come, del resto, nei secoli rinascimentali: quando in ogni ceto e ambiente sociale convivevano sulle pareti e negli animi le immagini e i miti di Gesù e Madonne, Apollo e Muse, Mosè e Salomè, Santi e Martiri miracolosi e medioevali, Venere e Diana con habitués innumerevoli. E (a differenza di adesso), ben poche intolleranze, tipo: San Francesco e la Maddalena sì, Dalila o Mercurio chissà, su Rita da Cascia o le Tre Grazie bisogna prendere una posizione, su Nettuno o Salomone bisogna chiedere al reverendo, ma a proposito di Bacco si fa ma non si dice. Meglio lasciar perdere” (la Repubblica, 23 gennaio 2008).
E' proprio vero, Arbasino dà tutto subito, come ha scritto Alfonso Berardinelli (il Foglio, 28 ottobre 2009). Dà tutto subito ogni volta, verrebbe da aggiungere, una continua ricapitolazione del mondo che sorvola i discrimini: religiosi e miscredenti, laici e cattolici, cristiani e pagani. Un sincretismo formale che irrita i volonterosi apologeti del contenuto. In seguito all'“imponente riscrittura” di “Fratelli d'Italia” (Adelphi 1993), il direttore della rivista Studi Cattolici (Opus Dei), Cesare Cavalleri, nel febbraio '94 scrive una stroncatura che prende le mosse da una questione di stile, “diffidare degli autori che riscrivono lo stesso libro (personalmente ho in sospetto Manzoni, figuriamoci Arbasino)”, ma che ha di mira la sostanza: la “panna montata”, il “vuoto di valori” eccetera. (Il resoconto della polemica è citato in breve nella Cronologia del primo volume dei Meridiani Mondadori).
Affrontare in questo modo le risonanze religiose dell'opera arbasiniana è tempo perso. La controversia non fa presa sulla conversazione, meglio ripercorrere gli incroci personali. Lo sa bene il critico letterario Fulvio Panzeri, collaboratore di Avvenire e Famiglia Cristiana nonché maestro elementare a Besana Brianza, che per Bompiani ha curato le opere di Tondelli e Testori. “Per quanto riguarda Tondelli – ci dice – si conoscevano ma non si frequentavano. Pier Vittorio aveva lavorato a lungo a una ricerca universitaria in cui comparava le diverse redazioni di ‘Fratelli d'Italia'.
Pochi mesi prima di morire, avrebbe voluto scrivere un saggio su Arbasino, che in fondo è l'ispiratore del suo ‘Altri libertini'”. Ciò che lo accomuna a Testori è lo stile morale dell'illuminismo lombardo incarnato da Manzoni, appunto, ma anche da Parini, Dossi e Gadda, l'“ingegnere in blu”. “All'inizio degli anni Ottanta – ricorda Panzeri – quando Testori era attaccato violentemente dalla sinistra radical chic per il suo cristianesimo radicale, Arbasino si discosta dal coro e paragona lo smozzicato balbettio del feto che chiede di essere lasciato in vita di ‘Factum est' a certe invenzioni del grande Beckett. Testori ricambia la stima che ha sempre avuto nei suoi confronti e in una delle ultime interviste, poco prima di morire, dice che il maggior scrittore italiano del secondo Novecento non è Calvino, ma Arbasino. Sono due modi diversi di affrontare la realtà: Arbasino registra il malessere, Testori entra sul campo di battaglia”. Entrambi in nome di un “vero realismo” che Arbasino descrive così nell'“Anonimo lombardo” (prima edizione 1959): “Esprimere attraverso uno ‘stile', con mezzi prima di tutto linguistici, un ‘mondo morale', una ‘società', e nello stesso tempo il giudizio che si intende darne, e che è già ‘dentro' quel mondo, quella società – sempre sostenendo che le parole devono servire alle idee e non le idee alle parole”.
Panzeri sottolinea il carattere non ideologico dell'opera di Arbasino. “E' il suo pregio. Dagli anni Sessanta in poi le sue pagine sono il diario dello sfascio civile”. Forse il suo agnosticismo ideologico imbarazza i lettori cattolici che non sanno bene come catalogarlo. “E' la difficoltà di tutti i suoi interlocutori”, secondo Panzeri. “Quella di Arbasino è la stessa inclassificabile grandezza di Testori che non rientrava nei ranghi del cattolicesimo istituzionale, sempre a metà tra bestemmia e preghiera. Anche nel momento di massimo riavvicinamento alla chiesa, Testori non poteva fare a meno dei propri furori linguistici”. Un'eterodossia stilistica che diventa inclassificabilità dogmatica per l'uno e per l'altro. “Altrimenti non sarebbero così liberi nel giudicare la realtà”, osserva Panzeri. Sarebbe dunque sbagliato derubricare a religione da tinello le sue reminiscenze (“Di sera, dopopranzo, in sala, perdinci, perbacco, caspita, rosario e radio” è un formidabile haiku della Cronologia). Accanto alle annotazioni di folklore e devozione ci sono le frequentazioni, come quelle di “Parigi o cara” (1960) con il cattolicissimo François Mauriac e i più inquieti Jean Cocteau e Julien Green, che attestano una certa conoscenza della cultura cattolica. Resta il fatto che quando scrive sui giornali Arbasino disdegna le sistemazioni teoriche ed è affascinato dallo splendore del sacro: “Milioni di pagine sofisticate e accademiche possono riuscire teologicamente pregevolissime. Però risultano marginali e decorative per una gran massa di fedeli e credenti cui importano soprattutto le grandi questioni fondamentali e primarie, con risposte autorevoli e nette, generalmente evitate.
E prima di tutto: come mai, da parecchio tempo, gli dei e Profeti principali delle massime religioni hanno smesso di compiere quei prodigi e miracoli che li hanno resi famosi e venerati, e oltre a tutto a loro non costavano un soldo?” (Repubblica del 18 agosto 1996, ma la domanda ricorre altre volte). Secondo Panzeri non sono parole nostalgiche né irridenti. “Rispetto al disastro attuale della società italiana, lui guarda agli anni Sessanta come a un Eden in cui tutto era possibile, con valori e genialità di ben altra sostanza. Non è un'operazione nostalgica ma l'indicazione di un modello di rigore intellettuale e morale”. Altro che panna montata, qui abbiamo a che fare con uno scrittore di valore più che di valori. La sua lingua non comunica, esiste. Una lingua-mondo così pericolosamente (mondanamente) simile alla Parola attestata dai credenti. Ah, se tu squarciassi i cieli e scendessi…
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