Nella Puglia dei cacicchi

Ecco dove era l'insostenibile intoppo tra Vendola, D'Alema e Bersani

Marianna Rizzini

Nichi Vendola non demorde, divide il mondo in briganti e galantuomini, sorride ai fan alla fiera libraria salentina e si sente molto poco preistorico: “Qui sembra di essere tornati ai sacrifici rituali”, ha detto ieri a chi gli chiedeva delucidazioni sulla sua decisione di ricandidarsi alla presidenza della regione Puglia

    Nichi Vendola non demorde, divide il mondo in briganti e galantuomini, sorride ai fan alla fiera libraria salentina e si sente molto poco preistorico: “Qui sembra di essere tornati ai sacrifici rituali”, ha detto ieri a chi gli chiedeva delucidazioni sulla sua decisione di ricandidarsi alla presidenza della regione Puglia a marzo, con o senza primarie, comunque sia e qualunque sia la posizione di Massimo D'Alema. Nichi Vendola gioca d'azzardo mentre dice agli altri “voi giocate d'azzardo”, cita al Corriere della Sera la nonna che gli ha insegnato “l'importanza dello spariglio a scopone scientifico” e intanto si aggira per la Puglia alla testa di un manipolo di giovani muniti di cartelli inneggianti a lui, il poeta-presidente – “sempre i soliti”, dicono i nemici di Nichi, individuando a ogni piede mosso da Vendola la medesima squadra di fan capitanata dal beniamino delle ragazze vendoliane, l'ombrosissimo Nicola Fratoianni, dirigente locale di Sinistra e Libertà (e però qualche giorno fa pure i giovani del Pd si sono mostrati assai vendoliani, a differenza dei vertici del partito). “Niente sortilegi per spazzarmi via”, dice Vendola, portando in trofeo l'orecchino donato da un'anziana signora per strada e augurandosi pubblicamente una “bonifica morale” che stride con il garantismo degli ultimi mesi, avvelenati dalle inchieste sulla sanità pugliese.

    Il Pd, nel frattempo, dopo il “niet” dalemiano a Nichi, attende l'esito delle consultazioni affidate al segretario locale Sergio Blasi – un mandato esplorativo alla ricerca di un candidato adatto all'allargamento della coalizione. Solo due settimane fa, però, pareva che il Pd (Pier Luigi Bersani in testa) non avesse nulla in contrario alla candidatura di Vendola. E solo due mesi fa l'Udc non era sembrata così antivendoliana, tanto che il Corriere del Mezzogiorno aveva dato per cosa quasi fatta il via libera di Casini. Poi, in concomitanza con l'inasprimento della polemica nazionale interna ed esterna al Pdl, l'Udc è parsa, sì, sempre più propensa all'abbraccio con la sinistra, ma il suo “no” a Nichi s'è fatto sempre più lampante. Vendola, su Repubblica, la butta sui poteri forti. L'acquedotto pugliese che non ho voluto privatizzare interessava a Francesco Gaetano Caltagirone, dice. Ma negli ambienti industriali di Bari, racconta un osservatore locale, non si è mai parlato di Caltagirone per la “via dalemiana alla privatizzazione dolce”, bensì di Nicola Putignano. Sia come sia, gli imprenditori cominciano a dare segni di insofferenza per il micidiale intoppo, tantopiù che tutti conoscono i dati: in Puglia l'Udc sfiora il nove per cento. Alessandro Laterza, presidente della Confindustria di Bari, avverte che il valzer di nomi “non interessa al cittadino” e paventa la nascita di “un governo regionale comunque debole”. Vincenzo Divella, noto imprenditore della pasta ed ex presidente di centrosinistra della provincia di Bari, dice che “il centrosinistra in questo momento ha un unico candidato serio, Nichi Vendola”.

    Nel Pd locale la storica falange dalemiana si scontra con il vendolismo degli assessori regionali pd Guglielmo Minervini e Fabiano Amati (che al Foglio dice: “Vendola ha governato così bene che non si può non ricandidarlo”). Né si può far finta di non sapere che, se Vendola si sfila, portando via un dieci per cento o più di consensi al centrosinistra, l'Udc potrebbe considerare vincente l'altro schieramento. Poco percorribili pure le primarie (aborrite da Casini e da Di Pietro) e la candidatura di Michele Emiliano, sindaco di Bari appena eletto: il suo “abbandono” della città porterebbe alla disaffezione di una parte dell'elettorato pd. E per quanto si dica che la priorità è “l'allargamento della coalizione” e si minimizzi l'importanza del terzo nome, non si sa bene dove andare a pescarlo, l'eventuale terzo nome. Perché su ogni possibile ipotesi pende un “no” o un dubbio o un mugugno. Se si prende, come si sussurra nel Pd barese, “un imprenditore d'area montezemoliana della Confindustria locale”, ci si potrebbe scontrare con la minore risonanza mediatica del suo nome rispetto a quello di Vendola.

    Se si prende Andrea Boccia, deputato del Pd ed ex sfidante di Vendola, si potrebbe andare incontro al veto dello stesso Vendola. Se poi si prende Blasi, che con Vendola ha rapporti di buon vicinato, vai a sapere Vendola (a quel punto) che fa.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.