Il Pd e il carburante psicologico del vendolismo

Quanto c'è di idolatrico nel Nichilismo pugliese (nel senso di Nichi)

Marianna Rizzini

C'è la riunione del Pd pugliese, ci sono i 400 sostenitori di Nichi Vendola che rendono l'assise “democraticamente inagibile”, come ha detto il segretario regionale Sergio Blasi, e c'è chi, nel Pd, dice: è Vendola che aizza. Eppure non basta.

    C'è la riunione del Pd pugliese, ci sono i 400 sostenitori di Nichi Vendola che rendono l'assise “democraticamente inagibile”, come ha detto il segretario regionale Sergio Blasi, e c'è chi, nel Pd, dice: è Vendola che aizza. Eppure non basta. Non basta la critica, non basta l'ombra dell'inchiesta giudiziaria, non basta l'accusa di populismo. Nulla di tutto questo basta ad avvelenare l'immagine del presidente uscente della regione Puglia, uno che in teoria poteva essere il candidato debole e che invece continua a essere il candidato (o autocandidato) forte – forte delle sue parole evocative (“sono stato travolto dalle contumelie”, “non ambiento duelli rusticani”) e forte di una folla di adepti entusiasti, tra cui le “donne di sinistra”, così si sono definite, che ieri hanno scritto una lettera a Pier Ferdinando Casini: perché metti il veto a Nichi?, era la domanda firmata, tra le altre, da Letizia Paolozzi, Fulvia Bandoli, Elettra Deiana e Rosetta Stella. Men che meno è bastato affermare che i vendoliani rifuggono il dialogo per difendere “il posto con i denti”, come ha fatto il sindaco di Bari Michele Emiliano, l'uomo che il Pd (non tutto il Pd) voleva infine candidare. E anzi ieri Emiliano si arrendeva alle primarie: “Le chiedo io a Vendola”, diceva, ma a condizione che si faccia la legge che permette di correre senza prima dimettersi da sindaco (ma Vendola ha risposto rialzando la posta: “Niente subordinate”). Gira che ti rigira, nulla ha contribuito a buttare giù Nichi Vendola dal piedistallo di stima idolatrica che lo fa apparire sempre più garibaldino e sempre più taumaturgico agli occhi del popolo pugliese – che in questi giorni, armato di cartelli di puro amore o puro disfattismo innamorato (“o Nichi o niente”) tratta Vendola come un Obama in luna di miele post elettorale, senza risparmiare, anche dall'interno del Pd, sfoghi di animosità contro i detrattori dell'idolo non ricandidato.

    Dici “Vendola” e il nome “Vendola” sprigiona attorno a sé un'energia belluina (nel caso dei contestatori più esacerbati) e un carburante psicologico potente (nel caso dei simpatizzanti occasionali). Nichi resisti, Nichi non mollare, Nichi tu sì che sei onesto, scrivono gli aspiranti elettori sui tadzebao issati nelle piazze, e a ogni piazza c'è una nonna che stringe la mano al presidente o gli regala un orecchino, come a voler fugare qualsiasi traccia di residuo pregiudizio antigay – mentre i nipoti, dice un vendoliano, non dimenticano la cosiddetta iniziativa “Bollenti spiriti”, e cioè i premi della regione “a favore delle idee giovanili innovative”. Nichi è amico di don Verzé, osservano i cattolici, inizialmente non convinti dalla pur cattolica formazione vendoliana e poi felici di fronte al presidente che dava segni di voler esportare il San Raffaele in Puglia. Mi piace sparigliare, dice NichiVendola, poeta per diletto e scombinatore di schemi per professione, citando i consigli della nonna giocatrice di carte e affidando a Ballarò l'universalmente osannato discorso sul ferimento di Silvio Berlusconi: un miele per i salotti riformisti, estasiati dal Nichi che si rammarica per il paese “in guerra con se stesso” e auspica “l'abbraccio” senza condizioni per la vittima colpita. Fatto sta che Vendola conquista consensi non solo nel sognante mondo ex bertinottiano – che di fronte ai fatti della Puglia teme (l'ulteriore) fine di tutto. “Vendola, da buon presidente, ha il diritto di correre questa corsa”, dice l'imprenditore Vincenzo Divella, ex presidente di centrosinistra della provincia di Bari, non nascondendo che le parole di Nichi “fanno ancora presa” su di lui. L'assessore Fabiano Amati, vendoliano del Pd, riflette invece su quello che Vendola chiama, al netto della falsa modestia, “l'assedio popolare nei miei confronti”, e individua due ragioni alla base di quel successo: “Il buon governo e la capacità vendoliana di indicare profezie che si verificano”.

    Né è parso efficace, finora, lo schieramento anti Vendola
    dell'intera falange pugliese dalemiana, tradizionalmente fortissima ma già una volta sconfitta da Vendola alle primarie del 2005 (e anzi Massimo D'Alema, negli ultimi giorni, quasi si è messo in disparte a guardare, tanto la situazione s'è fatta intricata).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.