Così il Pd si prepara a un dopo Pd simile al vecchio Pds
C'è chi dice che sarebbe un suicidio, una follia, una pazzia e che per carità il Partito democratico è un progetto irreversibile e non c'è possibilità alcuna né di tornare indietro né di pensare a un futuro senza Pd.
C'è chi dice che sarebbe un suicidio, una follia, una pazzia e che per carità il Partito democratico è un progetto irreversibile e non c'è possibilità alcuna né di tornare indietro né di pensare a un futuro senza Pd. Ma se fino a poco tempo fa pensare a un futuro post Pd poteva apparire una semplice eresia oggi la situazione è diversa, e tra sindaci che si dimettono, cattolici che lasciano, dirigenti che si azzuffano non deve sorprendere se nel maggior partito dell'opposizione sempre più dirigenti sono pronti a dare una risposta alla seguente domanda: che cosa c'è dopo il Pd?
Andando a stuzzicare alcuni esponenti democratici emerge un quadro interessante che potrebbe riassumersi con la battuta di un vecchio senatore: “Il sogno inconfessabile di una fetta consistente del partito è dar vita a una vera alternativa democratica capace di mettere insieme le principali forze di sinistra creando una versione aggiornata di laburismo blairiano. Per capirci, una specie di vero e proprio Pds 2.0”. Blair con un tocco ultraweb.
“Beh – dice Michele Meta, deputato del Pd – si tratta di un'ipotesi frutto di un ragionamento che fanno in molti, e per qualcuno è un esito naturale: lo si vede a occhio nudo che in alcune parti d'Italia, senza lo spirito con cui il partito è nato, spesso non si riesce a stare insieme. Ma se oggi il Pd è un mostro a due gambe è molto difficile credere che per andare più veloce sia preferibile avere una gamba piuttosto che averne due”.
A confermare la presenza di una certa pulsione a dirottare il Pd verso una nuova interpretazione della Terza via è anche il professor Michele Salvati, che nell'aprile 2003, su questo giornale, fu il primo a ipotizzare la nascita del Pd. “Se esiste una parte del partito che inizia a ragionare su che cosa c'è dopo il Pd? Sì, assolutamente sì”. In questo senso, la recente chiusura della prima sede democratica – ricordate il Loft? – è qualcosa in più di un contratto d'affitto che non viene confermato. Perché accanto all'addio ai mille metri quadrati di via di San Teodoro vi è un modello a cui il Pd sta rinunciando: c'è il vecchio spirito del Lingotto che viene evocato come fosse un ectoplasma, ci sono le primarie che non sono più un vero tratto distintivo del partito e c'è la progressiva convinzione che il Pd non debba più essere costruito come se fosse potenzialmente un contenitore unico di tutte le espressioni politiche del centrosinistra.
Ieri era Walter Veltroni a sostenere che nel Pd “non esiste la possibilità di un ritorno alle case d'origine”, ma oggi l'ipotesi che ci sia qualcuno pronto a lavorare per creare un dopo Pd la sostiene, tra gli altri, anche il senatore veltroniano Giorgio Tonini. “A lungo andare, l'egemonia dalemian-bersaniana può produrre un effetto di questo tipo. Una delle prime cose dette da Bersani quando diventò segretario fu quella di affermare che il Pd è un partito di sinistra, e non di centrosinistra; e i segnali che il nostro partito stia virando su una Cosa nuova, su un disegno che ha come caratteristica non più un bipolarismo tra due partiti ma un multipolarismo tra tanti partiti più o meno grandi, sono evidenti.
C'è l'impassibilità con cui la segreteria ha assistito alle miniscissioni di parlamentari del Pd e c'è soprattutto l'idea di non ostacolare una resurrezione di un partito di centro che possa raccogliere i moderati. Un futuro dopo il Pd? E' difficile, sì, ma non stento a credere che qualcuno ci stia pensando”.
La riflessione su che cosa possa esserci dopo il Pd incuriosisce molti democratici, ma una delle più affascinanti fantasticherie registrate in campo dalemiano è quella di avere un giorno con sé perfino l'attuale ministro dell'Economia. “Tremonti – racconta un importante dirigente del Pd che conosce da anni D'Alema – ci ha messo nei pasticci. Il Pd di Bersani aveva il compito di fronteggiare il governo di Berlusconi giocando principalmente la carta di una politica economica un po' socialista e un po' liberale. Bersani questo lo sta facendo bene, ma fino a quando ci sarà un Tremonti che esprime una politica che a volte sembra essere più a sinistra della nostra è come se i nostri avversari ci tagliassero ogni giorno un po' di erba sotto i piedi. E' anche per questo che nel Pd in molti si augurano che un giorno socialisti come Tremonti e come Sacconi possano in un certo senso essere dei nostri”.
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