Il sindaco di Bologna, Delbono, si è dimesso

Piccoli grandi disastri del Partito Democratico

Claudio Cerasa

Per capire che cosa sta davvero succedendo al malandato corpaccione del Partito democratico, bisogna allargare l'obiettivo e inquadrare la Puglia soltanto come uno dei numerosi sintomi della grave sofferenza del Pd di Pier Luigi Bersani.

Leggi qui perché sono bastate poche ore e adesso in Puglia è tutto chiaro (o quasi)Leggi qui quanto c'è di idolatrico nel Nichilismo pugliese (nel senso di Nichi)Leggi qui dove era l'insostenibile intoppo tra Vendola, D'Alema e Bersani.

    Per capire che cosa sta davvero succedendo al malandato corpaccione del Partito democratico, bisogna allargare l'obiettivo e inquadrare la Puglia soltanto come uno dei numerosi sintomi della grave sofferenza del Pd di Pier Luigi Bersani. Il no D'Alema day celebrato domenica scorsa dai 192 mila pugliesi che hanno scelto Nichi Vendola come candidato del centrosinistra per le prossime regionali – e non il dalemiano e lettiano Francesco Boccia – rivela un Partito democratico che a poche settimane dalle elezioni si ritrova con problemi non da poco da risolvere quasi in ogni regione d'Italia.

    Senza volersi soffermare troppo sui pastrocchi bolognesi – dove le dimissioni del sindaco Flavio Delbono, avvenute ieri in seguito a una storiaccia di spese pazze su cui ha iniziato a indagare anche la procura della Repubblica con l'accusa di uso improprio di fondi pubblici a fini privati, creano parecchi imbarazzi al Pd anche nell'unica regione in cui i democratici non hanno rivali: l'Emilia Romagna di Vasco Errani – ci sono diversi casi in cui il Pd sembra non riuscire a scendere in campo senza prendere pallonate. L'eccessiva timidezza di Bersani – e il fatto che l'unico vero progetto del segretario del Pd (l'alleanza strategica con l'Udc) non si sia concretizzato quasi in nessuna regione – ha creato poi rapidamente le condizioni per mettere l'intero partito nelle mani di un D'Alema, diventato secondo alcuni un pochino troppo confusionario.

    E come ripete in queste ore un importante dirigente democratico, “l'illusione di poter imporre alla base del partito qualsiasi scelta in nome del fine superiore del partito porta i nostri leader a cadere nello stesso tranello in cui si è inabissata la Juventus, dove una dirigenza miope continua a credere che non ottenere buoni risultati sia dovuto esclusivamente alle cattive performance degli uomini che la squadra mette in campo, senza accorgersi invece che dietro le cattive prestazioni dei giocatori c'è una società che non si ricorda più come si gioca a calcio”. A sessanta giorni esatti dalle prossime regionali, dunque, capita che il Pd non abbia ancora un candidato in Calabria, in Campania e in Umbria; che l'unica regione in cui l'Udc appoggerà con certezza il Partito democratico sarà il Piemonte di Mercedes Bresso; e che il candidato sindaco di Venezia del Pd, Giorgio Orsoni, risulta essere un tremontiano che non ama Visco, che non ama Prodi e che a molti sembra essere uscito più da un Circolo della libertà che da una sezione del Pd. A questo va poi aggiunto che, dopo la clamorosa ma non certo inaspettata sconfitta di Francesco Boccia alle primarie di due giorni fa, il prossimo autogol del Partito democratico rischia di essere la presidenza della regione Umbria: dove con la minoranza del Pd (veltroniani e franceschiniani) che lavora duro per far sì che il candidato alla regione sia scelto con le primarie e con la maggioranza del Pd che tenta invece di imporre a ogni costo senza primarie l'attuale governatrice Rita Lorenzetti, il Partito democratico corre il serio pericolo di arrivare alle regionali in grosso affanno anche nel suo fortino del centro Italia.

    Il risultato è che l'unico vero candidato che la coppia Bersani-D'Alema è riuscita a imporre per le elezioni è quello che tra tutti gli aspiranti governatori ha meno possibilità di vittoria: Filippo Penati. Se ci si pensa bene, infine, le maggiori delusioni registrate dalla coppia D'Alema-Bersani sono arrivate dalle due “regioni laboratorio” in cui i due leader avevano più lavorato per tentare di sperimentare una possibile alternativa al berlusconismo, e dove non solo i dalemiani e i bersaniani non sono riusciti a portare alla corsa per la presidenza della regione un proprio candidato, ma alla fine il Pd sarà costretto ad appoggiare con entusiasmo i candidati di due partiti – i radicali nel Lazio e Sinistra e libertà in Puglia – che messi insieme oggi non arrivano neppure al sei per cento. E' vero che se si guardano con attenzione le singole realtà regionali le prossime elezioni potrebbero regalare al centrosinistra non un cattivissimo bottino (prendete la stessa Puglia, dove con la candidatura centrista di Adriana Poli Bortone le possibilità che Rocco Palese riesca a battere Nichi Vendola non sono poi così alte) ma è anche vero che non può sorprendere se in questa confusione democratica sono sempre di più i dirigenti del Pd che iniziano a porsi una domanda semplice semplice: ma un partito così ha ancora senso oppure no?

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.