No, con Emma non ci sto

Marco Burini

Tutti allineati e coperti, i cattolici impegnati di Roma. Nessuno che la voglia, o che dica di volerla, Emma Bonino presidente della regione Lazio. Parroci, catechisti, operatori pastorali per usare un neologismo orrendo. Sono molti e rappresentano una diocesi molto grande: più di due milioni e 800 mila abitanti, di cui due milioni 473 mila battezzati distribuiti in 336 parrocchie, migliaia di preti e decine di migliaia di religiosi e religiose. Eppure l'umore percepito nei sondaggi più freschi (per quello che valgono) è meno ostile.

    Tutti allineati e coperti, i cattolici impegnati di Roma. Nessuno che la voglia, o che dica di volerla, Emma Bonino presidente della regione Lazio. Parroci, catechisti, operatori pastorali per usare un neologismo orrendo. Sono molti e rappresentano una diocesi molto grande: più di due milioni e 800 mila abitanti, di cui due milioni 473 mila battezzati distribuiti in 336 parrocchie, migliaia di preti e decine di migliaia di religiosi e religiose. Eppure l'umore percepito nei sondaggi più freschi (per quello che valgono) è meno ostile, c'è un testa a testa con la Polverini e statisticamente una bella fetta di elettori potenziali della Bonino siede nei banchi delle 711 chiese dell'Urbe, senza contare le diocesi suburbicarie (Albano, Frascati, Palestrina…). Solo che non escono allo scoperto. Lo fanno invece gli altri.

    Candidarla è un peccato contro natura”, taglia corto don Filippo Di Giacomo, vaticanista di lungo corso, nonché ciociaro doc, che conosce bene sacri palazzi e base cattolica. “Quel giorno me ne andrò in gita. Ma come si fa a votare un'abortista come la Bonino? Sarà perché a suo tempo ho votato per la lista di Ferrara ma mi pare un assurdità, l'ennesimo segnale di confusione del Pd”. Niente male per uno come lei che scrive sull'Unità: “Ma se avrà presentato almeno cinquanta mozioni contro il Vaticano… è un'anticlericale livorosa”. “La Bonino non mi è mai piaciuta, non condivido le sue campagne”, dice Elena Liberatori, catechista nella parrocchia di Gesù Divin Maestro, zona Gemelli.

    Evidentemente quelli del centrosinistra non avevano un nome, avevano chiesto a Zingaretti ma quello avrà pensato: una poltrona ce l'ho già. Certo che il Pd sta messo male, a prescindere dagli ultimi scandali”. Drastico anche don Nunzio Currao, parrocco di San Filippo Neri alla Pineta Sacchetti, zona nord. “Come si fa a votare una persona che porta alta la bandiera del laicismo e di tutti i controvalori? E' stata un buon commissario europeo, ma come governatore non ce la vedo”. Per di più di una regione che ospita la Santa Sede. “Non c'entra. Parlo di valori come la famiglia e la salute che non sono solo religiosi, ma umani”. La questione antropologica, come direbbe il vicario emerito di Roma, Camillo Ruini. “Qui non si sa più chi è l'uomo. Cose succede se alla regione ci mettiamo una che dice tutto il contrario?”. Don Nunzio spiega che in parrocchia “si fanno itinerari di fede poi ognuno decide in coscienza, ovviamente dopo aver studiato programmi e candidati”. Insomma non c'è più il fedele che va dal parroco a chiedergli chi votare. “Ce n'è più di uno, invece, e io dico: prendi i tuoi valori e confrontali con quelli dei candidati”.

    Più cauto don Marco Fibbi, parroco di San Romano martire (quartiere Tiburtino), fino a pochi mesi fa portavoce del vicariato. “Noi ci muoviamo a livello prepolitico, anche perché il laicato non si aspetta più da noi preti nomi di persone o partiti”. Tantomeno i più giovani che ostentano indifferenza alla politica. “La mia comunità è piena di universitari, la Sapienza è qui vicino. Non sono interessati ed è un peccato perché quella è la stagione ideale. Ma la politica ci riserva uno spettacolo poco edificante, da entrambe le parti”. Don Marco conferma che “i fedeli sono sensibili ai temi etici, solo che trovano poco riscontro nella prassi politica, così si è scavato un solco con l'associazionismo cattolico”. Forse si concentrano le energie nel sociale a scapito delle battaglie culturali. “Lo escludo. Quando c'era da mobilitarsi lo si è fatto: vedi il referendum sulla legge 40 o la vicenda di Eluana”.

    L'associazionismo cattolico a Roma è presente in massa, un serbatoio di voti. Ma le bocche sono cucite. Quelli di Sant'Egidio non hanno voglia di parlare del caso Bonino, forse anche perché prima di scegliere la leader radicale era circolato il nome di Mario Marazziti, portavoce della comunità. Non si esprimono neanche quelli del centro Caritas della stazione Termini. Pulitissimo, efficientissimo, sembra il Pronto soccorso di una città del nord: pareti bianche e azzurre, personale in camice, poster di benvenuto in ideogrammi cinesi. Se provi a domandargli della Bonino, ti mettono in mano un biglietto da visita. “Parli con il nostro addetto stampa”. Il quale a sua volta rimbalza il cronista al vicariato “perché la Caritas non è un'associazione ma un organismo diocesano”. “Non c'è una posizione ufficiale sul tema” dice laconico il capo ufficio stampa, Angelo Zema, che dirige anche il settimanale diocesano RomaSette. In effetti il cardinale vicario, Agostino Vallini, privilegia una linea pastorale e per le questioni etiche, dice Zema, “rimanda al recente incontro del Papa con gli amministratori della regione Lazio, ai quali ha chiesto una politica di difesa della vita e di educazione delle giovani generazioni”.

    Se la base non parla, si tastano i vertici. Il presidente delle Acli, Andrea Olivero, giudica “fortemente negativa” la candidatura Bonino. “E' una personalità autorevole, ma da un Partito democratico che cerca un rapporto stretto con i cattolici non mi aspettavo che candidasse una paladina del laicismo. E poi la Bonino è una liberale estrema che ha poco a che fare con la società civile e il sindacato come li intendiamo noi, fu tra i promotori di un referendum contro i patronati. Ma il vero problema è il segnale che si dà al paese. Se nel Lazio sono i radicali a dare il candidato, e per di più senza un accordo politico nazionale, non si può pensare che gli elettori ti voteranno comunque pur di non scegliere l'avversario; il male minore non è una logica sempre vincente”. Eppure ci sono cattolici che non la mettono giù tanto dura, la Bonino non li scandalizza. “A parte il fatto che oggi è difficile identificare l'elettore cattolico – ribatte Olivero – in molti di noi l'inquietudine è viva. Noi delle Acli sulle grandi questioni etiche siamo sempre stati sulla breccia. Perciò l'alleanza con i radicali è sbagliata, così il mondo cattolico non ha alcuna garanzia”.

    Meno inquieta Chiara Geloni, vicedirettore di Europa, quotidiano che ha pubblicato mail di credenti che definiscono i radicali “il partito più cristiano al momento presente in Italia” (evidentemente i simpatizzanti si annidano nella rete). Anche lei viene dal mondo cattolico. “Sono di Massa Carrara e non conosco bene Roma, ma credo sia una realtà più complessa di altre diocesi. La politica radicale ha elementi di attrazione per i cattolici – pena di morte, fame nel mondo – anche se c'è forte competizione con Sant'Egidio. Ma la Bonino si illude se pensa che basti. Dipende tutto da lei, se vuole fare una bella battaglia radicale oppure vincere davvero”. Finora i radicali hanno ragionato così: no al Vaticano talebano e sì allo scisma sommerso, i veri credenti li rappresentiamo noi. Uno schema non particolarmente raffinato. “Ma non era mai successo che ingaggiassero una battaglia maggioritaria come questa. Devono cambiare registro, ma spero che Bonino ce la faccia”, conclude Geloni. Almeno una esce allo scoperto.